Acqua e popoli: gli Stati al servizio della speculazione finanziaria?

23 Febbraio 2021 Autore: Enea Franza

Condividiamo in pieno le preoccupanti valutazioni e i fondati giudizi espressi dall’autore dell’articolo, Enea Franza, in merito al grave debordare sempre più accentuato delle derive economiche, politiche e sociali destabilizzanti imposte da una delle ulteriori manifestazioni del capitalismo tossico. L’applicare il metro del mero profitto finanziario, ovvero delle molteplici invisibili aggiunte che le ripercussioni applicative di tale metodo impongono a pro degli incrementi esponenziali lungo la catena del monopolio e della detenzione e distribuzione dell’acqua come oggetto proprio in via esclusiva alla logica commerciale della vendita e dell’acquisto, è qualcosa di moralmente inaccettabile e soprattutto di politicamente da respingere e da contrastare. La certezza della garanzia dell’accesso al bene primario dell’umanità deve essere fornita e non può che essere fornita dagli Stati e dalle Organizzazioni interstatuali, semmai fatta soltanto amministrare mediante delimitate e precise concessioni della gestione della custodia e distribuzione a società private (senza mai pretermettere il diritto ad esercitare controllo diretto e continuo sull’adempimento delle clausole contrattuali), ma non può essere piegata alla logica del profitto privato e delle nuvole delle fluttuazioni delle borse. Questa è una logica aberrante con cui gli Stati che la attuano di diritto e di fatto diventano soggetti pubblici posti al servizio esclusivo della speculazione privata. Assurdità totale che viene a vulnerare mortalmente, evertere, annullare il basilare requisito della esclusività della sovranità degli Stati e a sancire la primarietà del profitto privato su tutta la sfera della sicurezza delle disponibilità e dell’efficienza dei beni pubblici primari destinati alla vita e alla sopravvivenza delle comunità nazionali, ovvero dei popoli che gli Stati istituzionalmente rappresentano. – D.C.

L’acqua quotata al mercato dei derivati

Dr. Enea Franza, Direttore del dipartimento di scienze politiche di UniPeace-Roma – Lo scorso 11 dicembre, il Relatore Speciale dell’ONU sul diritto all’acqua Pedro Arrojo-Agudo ha espresso grave preoccupazione alla notizia che l’acqua, come una qualsiasi altra merce, verrà scambiata nel mercato dei “futures” della Borsa di Wall Street. Secondo l’alto funzionario delle Nazioni Unite l’inizio della quotazione di tale bene essenziale per la vita segna un prima ed un dopo che rimarca un passaggio epocale che apre alla speculazione dei grandi capitali ed alla emarginazione di territori, popolazioni, piccoli agricoltori e piccole imprese ed è una grave minaccia ai diritti umani fondamentali.

Secondo l’ONU, già oggi un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile e dai tre ai quattro miliardi ne dispongono in quantità insufficiente.

In buona sostanza, ben otto milioni di esseri umani all’anno muoiono per malattie legate alla carenza di questo bene così prezioso. Questa operazione, secondo il Relatore, meramente speculativa, renderà vana nei fatti, la fondamentale risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 2010 sul diritto universale all’acqua.

In effetti, l’acqua scarseggia e le cause sono varie. Contribuisce alla crisi, oltre l’incontrollato incremento demografico, l’eccessivo sfruttamento di questa risorsa da parte del settore primario e dell’industria, rendendo l’acqua – sulla carta un bene largamente disponibile vista la sua diffusione sul pianeta – un bene prezioso perché sempre più raro.

Essa, inoltre, è minacciata dal surriscaldamento globale e dai relativi cambiamenti climatici. Lo studio “Importance and vulnerability of the world’s water towers”, pubblicato  un anno  fa, ha, infatti, mostrato come montagne e ghiacciai di tutto il mondo non riescano più a stoccare ed immagazzinare l’acqua, e come questo porterà in pochi anni ad una vera e propria emergenza idrica planetaria con quasi (è la previsione scioccante) due miliardi di persone che letteralmente moriranno di sete.

Se oggi l’acqua può essere quotata in Borsa, è perché già da tempo l’acqua è considerata come merce e, quindi come qualsiasi alto bene sottoposta ad una logica di profitto. Inoltre, la sua gestione è in molti Paesi privatizzata. Il Nasdaq Veles California Water Index, per esempio, quotava l’acqua, l’8 dicembre scorso, a $ 486,53 per piede acro, una misura di volume comunemente usata negli Stati Uniti equivalente a 1.233 metri cubi.

Gli esperti del Chicago Mercantile Exchange (in breve CME), mercato globale dei derivati, in realtà sostengono che la quotazione dell’acqua potrebbe consentire una migliore gestione del rischio futuro legato a questo bene e, quindi, assicurarne un ottimale utilizzo. A titolo di esempio, il CME Group riporta che il 40% dell’acqua attualmente consumata in California viene utilizzato per irrigare i suoi nove milioni di acri di colture, ma che l’Indice consentirebbe ad un produttore agricolo di pianificare in anticipo la modifica dei costi dell’acqua di cui ha bisogno per l’irrigazione su larga scala. Questo permetterebbe inoltre ad un utente finale commerciale, come un produttore, di gestire meglio i rischi economici e finanziari quando i prezzi dell’acqua fluttuano.

Per altro verso, è evidente che la decisione presa dal mercato americano rende vana una qualsiasi norma statale, atteso che un eventuale accaparramento delle fonti attraverso l’approvazione di concessioni di derivazione che non garantiscano il principio di solidarietà a livello planetario si rifletterebbe inevitabilmente anche sulle decisioni interne degli Stati.

Nel nostro Paese, ad esempio, nel 2011, 27 milioni di cittadine/i italiane/i si espressero nel referendum dicendo che l’acqua doveva uscire dal mercato e che non si poteva fare profitto su questo bene. Oggi, una proposta di legge ancora più tutelante (“Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque” A. C. n. 52) è in discussione presso la Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati.

Per intanto, di fatto, quindi e però, il mercato globale vince ancora una volta sulle decisioni degli Stati nazionali. E ai cittadini non resta che stare a guardare…