MAGISTRATURA ORDINARIA: RUOLI GIUDICANTE E REQUIRENTE

CAMERA DEI DEPUTATI

 

   N. 5201


 

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

NERI, PISANU, ANEDDA, BECCHETTI, DONATO BRUNO, FRAGALA’,

GAZZILLI, MARINO, MAROTTA, PECORELLA, SAPONARA, SELVA,

SIMEONE, URBANI, VITALI

 

Istituzione dei ruoli organici giudicante

e requirente della magistratura ordinaria

 

Presentata il 30 luglio 1998

PROGETTO DI LEGGE – N. 5201

 



        Onorevoli Colleghi! – La Costituzione vigente postula una differenza di status dei giudici e dei pubblici ministeri: mentre i giudici “sono soggetti soltanto alla legge” (articolo 101, secondo comma) e godono direttamente delle garanzie di inamovibilità e distinzione solo per funzioni (articolo 107, primo e terzo comma), il pubblico ministero “gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario” (articolo 107, quarto comma), e perciò delle garanzie di cui all’articolo 107, primo e terzo comma, se e solo se esse siano a loro estese dalle norme ordinarie (articolo 108) dell’ordinamento. E’ noto che, nell’Assemblea costituente, si pervenne a questa soluzione dopo un ampio dibattito fra i sostenitori di due tesi contrapposte: quella dell’appartenenza del pubblico ministero al potere esecutivo (Leone, Bettiol) e quella della sua inclusione nel potere giudiziario, con tutte le garanzie previste per i giudici. La tesi che prevalse fu quella di attribuire al pubblico ministero uno status tale da non pregiudicarne la posizione di parte pubblica nel processo di rito accusatorio che già allora era in discussione e auspicato da molti.
        In particolare, l’onorevole Giovanni Leone, rinunciando alla propria posizione e illustrando l’emendamento presentato dal Ministro di grazia e giustizia Grassi e che poi è diventato l’attuale articolo 107, quarto comma, della Costituzione, sostenne che: “il legislatore, in futuro, nello stesso momento in cui darà luogo ad una riforma integrale del nostro sistema penale, sarà costretto a rivedere la caratteristica di fondo del pubblico ministero”. Egli propose perciò all’Assemblea di “rimandare in sede di discussione del nuovo ordinamento giudiziario quali dovranno essere le garanzie da accordare al pubblico ministero, perché si dovrà far luogo a tale riforma in armonia perfetta con quella che verrà adottata in sede di compilazione del futuro codice di procedura penale, del codice civile e di procedura civile”.
        La posizione definitiva dei Padri costituenti fu dunque quella lungimirante sia di copertura della situazione allora esistente sia di apertura a nuove situazioni. In presenza del codice del 1930, il quale attribuiva al pubblico ministero funzioni talora analoghe a quelle attribuite al giudice, non senza casi di cumulo nella stessa persona della funzione giurisdizionale e accusatoria (processo pretorile), e della disciplina del Guardasigilli Togliatti, la quale poneva il pubblico ministero sotto l'”alta sorveglianza” (e non più sotto la direzione) del Ministro di grazia e giustizia, il testo costituzionale marcò nettamente la distinzione tra le figure di giudice e di pubblico ministero, senza però esplicitarne la rispettiva natura, la quale, per il giudice, si desume dalla sua funzione giurisdizionale tipica, mentre, per il pubblico ministero, si ricava, indirettamente, per esclusione da quella giurisdizionale, oltre che, tra l’altro, dal suo essere organo che promuove obbligatoriamente l’azione penale (articolo 112 della Costituzione). Entrambi gli organi venivano inquadrati all’interno della magistratura (ordinaria), garantendone così l’indipendenza. La Costituzione volle però che, a fissare le specifiche e proprie garanzie di indipendenza del pubblico ministero, fossero le norme dell’ordinamento giudiziario e dunque il legislatore ordinario. Ne risulta che, soprattutto con riguardo ai modi di organizzazione, queste garanzie di indipendenza dei pubblici ministeri sono inevitabilmente più tenui di quelle previste per i giudici, dal momento che i primi, a differenza dei secondi, non risultano cadere nella previsione di cui all’articolo 101, secondo comma, della Costituzione, e dato che per essi vale la necessità di conciliare le esigenze di autonomia dell’ufficio con quella dell’organizzazione interna del medesimo ufficio. Restava, e resta, preclusa ogni possibilità di sottoporre tanto la magistratura ordinaria (e speciale) nel suo complesso, quanto i singoli uffici del pubblico ministero (sia presso le giurisdizioni speciali che, a maggior ragione, presso quelle ordinarie) alla potestà gerarchica del Governo, del Ministro di grazia e giustizia o di qualunque altro potere dello Stato.
        Quando, nel 1989, in aderenza al sistema costituzionale e agli auspici dei Padri costituenti, fu adottato il nuovo codice di rito accusatorio, esso eliminò i casi di cumulo di funzioni giudicanti e requirenti in capo alla stessa persona-organo e ridisegnò il ruolo processuale dei giudici e dei pubblici ministeri separandoli con nettezza e tentando per ciascuno dei due una ricostruzione coerente ed omogenea, anche se con risultati non sempre soddisfacenti, in seguito aggravati da talune pronunce della Corte costituzionale. Nel rito accusatorio, la posizione istituzionale del giudice è quella del soggetto disinteressato rispetto alla lite, cioè rispetto al rapporto sostanziale che egli deve dirimere. Diversamente, la posizione istituzionale del pubblico ministero, che pure deve essere imparziale in presenza di una pluralità di notizie di reato e cioè prima dell’avvio delle indagini, è quella di chi svolge il ruolo di “parte” del processo, in quanto portatore nel caso concreto dell’interesse punitivo dello Stato che egli tende a realizzare attraverso la pronuncia del giudice. Deriva da ciò la necessità di sfuggire alla giurisdizionalizzazione del pubblico ministero e dunque di separare nettamente il suo ruolo da quello del giudice. Questa necessità della separazione dei due ruoli discende non solo dal principio della natura di parte del pubblico ministero e di terzietà del giudice, ma anche da altri che trovano posto nella Costituzione, e segnatamente il principio della parità delle parti nel processo e quello della pienezza del diritto di difesa, i quali, congiuntamente ai precedenti, costituiscono i canoni fondamentali del “giusto processo”. Il principio della parità si ricava dagli articoli 3 e 24 della Costituzione ed è contenuto nell’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Inoltre, “la partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento” è espressamente citata nella direttiva 3 del nuovo codice. E’ chiaro che questa parità non può essere altrimenti intesa che nel senso della equidistanza: l’accusa, che è parte, è pari alla difesa, che è l’altra parte, se e solo se l’una e l’altra parte sono ugualmente distanti dal giudice, che è terzo e sopra le parti. Non c’è dubbio che questa equidistanza sia turbata dall’appartenenza dei giudici e del pubblico ministero allo stesso ruolo e alla stessa carriera. Né la questione può essere relegata ai soli aspetti soggettivi. Propriamente, il problema non è l’imparzialità del giudice, ma la sua terzietà. L’imparzialità attiene alle doti soggettive della persona, la terzietà riguarda il ruolo istituzionale del soggetto. Un giudice che appartenga allo stesso ruolo del pubblico ministero può ben essere imparziale (nel senso soggettivo di sereno, equo, non fazioso o condizionato o interessato), ma non può essere terzo (nel senso oggettivo di distinto e separato). Un adagio diffuso nei Paesi anglosassoni rende bene questa differenza fra l’aspetto personale-soggettivo della imparzialità e quello istituzionale-oggettivo della terzietà: justice must not only be done, it must also be seen to be done.
        Quanto al principio della pienezza della difesa, non v’é chi non veda, specie dopo tanta pratica degenere cui ci ha abituato la recente cronaca giudiziaria, che esso non è assicurato da un regime di comunanza di carriera tra giudici e pubblico ministero. Soprattutto in un’epoca, in cui, a causa di quel perverso circuito noto come “mediatico-giudiziario”, gli effetti della pena si scontano sull’immagine dell’imputato “prima” del processo, l’appiattimento della figura del giudice su quella del pubblico ministero (che, ormai, nell’opinione pubblica, è esso stesso chiamato e considerato “giudice”) lede il diritto pieno alla difesa. Proprio perché lo spazio della giurisdizione viene, nei fatti, travolto da quello della investigazione e dell’accusa, è necessario separare nettamente il titolare dell’una da quello dell’altra. Per ragioni costituzionali, oltre che per le citate ragioni pratiche, sarebbe doveroso riformare lo status dei magistrati del pubblico ministero al fine di differenziarlo da quello dei giudici, di garantirne l’indipendenza secondo le modalità richiamate dal testo costituzionale e non ancora definite, di renderlo compatibile con le esigenze di coordinamento interno degli uffici e di unità dell’azione investigativa sia a livello locale che nazionale. Allo stesso modo, sarebbe altresì auspicabile una diversa disciplina della composizione del Consiglio superiore della magistratura, allo scopo di assicurare che la componente togata corrisponda proporzionalmente alla consistenza numerica dei due organici, così come è opportuno che sia modificato l’attuale sistema elettorale della componente togata per evitare degenerazioni correntizie e partitiche della libera associazione fra i magistrati.
        La presente proposta di legge ha uno scopo più limitato ma ugualmente fondamentale. Essa non tocca la differenza di garanzie di indipendenza dei pubblici ministeri rispetto a quelle, attualmente identiche, previste per i giudici; prende atto che una differenza di status fra gli uni e gli altri si ricava dal testo della Costituzione e del nuovo codice di rito e si propone di separare i rispettivi ruoli organici, anche al fine, richiamato da precise direttive del Parlamento europeo, di allineare l’organizzazione giudiziaria del nostro Paese a quelli di democrazia più consolidata continentali e anglosas- soni, dove l’istituto della separazione è ormai collaudato.
        Con la presente proposta di legge si concede al Governo la delega ad emanare disposizioni per disciplinare la fase transitoria del passaggio dall’assetto attuale a quello nuovo, nonché le modalità per l’accesso ai concorsi relativi ai due distinti ruoli organici. Per la formazione preliminare di coloro che intendono partecipare ai concorsi, si prevede la formula dei corsi-concorsi i quali, essendo diretti ad aspiranti non ancora inquadrati nei distinti ruoli, possono essere svolti ovviamente da un unico organismo, da utilizzare eventualmente anche per l’accesso alla professione forense.
        Confidiamo che la presente proposta di legge sia favorevolmente valutata e, se del caso, migliorata dal dibattito parlamentare, che ci auguriamo permeato dallo spirito di collaborazione che deve caratterizzare l’attività legislativa soprattutto quando si proponga di dare attuazione a precetti costituzionali e a modificare una disciplina, quale quella vigente, che si è così clamorosamente dimostrata lesiva delle garanzie fondamentali dei cittadini.

 

PROPOSTA DI LEGGE

 

Art. 1.


        1. Nel rispetto dei princìpi del giusto processo, di uguaglianza, di parità delle parti nel processo, di terzietà e indipendenza del giudice, di pienezza ed effettività del diritto alla difesa, nonché del principio di indipendenza del pubblico ministero, le funzioni della magistratura sono distinte in funzioni di natura giudicante e in funzioni di natura requirente e sono esercitate da magistrati appartenenti ai due distinti ruoli dei giudici e dei pubblici ministeri inquadrati nei rispettivi organici.
        2. I due ruoli organici di cui al comma 1 sono costituiti a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e ad essi sono assegnati i magistrati che alla stessa data esercitano le rispettive funzioni.
        3. I magistrati assegnati ad uno dei ruoli di cui al comma 1 hanno facoltà di opzione per il passaggio all’altro ruolo entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
        4. Sino all’espletamento delle procedure attuative delle opzioni, i magistrati restano in servizio nei posti cui sono assegnati alla data di entrata in vigore della presente legge.
        5. Il primo comma dell’articolo 4 dell’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è abrogato.

Art. 2.


        1. Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore delle presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni che consentano il passaggio, in sede di prima attuazione della presente legge, tra i due ruoli della magistratura giudicante e requirente e i corrispondenti organici della magistratura, con l’osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

                a) prevedere il passaggio da un ruolo all’altro della magistratura ordinaria sulla base delle opzioni operate nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplinando le modalità di presentazione delle domande, del loro esame e della decisione su di esse da parte del Consiglio superiore della magistratura;

                b) prevedere che il passaggio di cui alla lettera a) possa avvenire esclusivamente verso distretti giudiziari diversi da quelli di appartenenza del richiedente;

                c) approntare le misure atte ad evitare che, in conseguenza dell’accoglimento delle domande, si verifichino carenze di organico in uno dei due ruoli organici o in qualunque ufficio;

                d) definire le modalità dei concorsi per titoli da espletare per la formazione delle graduatorie di opzione nel caso in cui esse superino le disponibilità di posti in uno dei due ruoli organici o nelle piante organiche degli uffici giudiziari, evitando ogni accoglimento di domande oltre il numero dei posti disponibili;

                e) assicurare la contestualità delle assunzioni delle nuove funzioni al fine di evitare vacanze per effetto dell’accoglimento delle domande di opzione;

            f) salvo che ai fini della valutazione della professionalità acquisita per il conferimento di incarichi direttivi, prevedere il collocamento nel ruolo per il quale si sia optato con la stessa anzianità maturata nel ruolo di provenienza;

                g) prevedere la decadenza dall’opzione per coloro che, nelle more dell’espletamento delle procedure di passaggio, abbiano presentato domanda di partecipazione al concorso per la copertura di posti resisi vacanti nel ruolo organico di appartenenza.

Art. 3.


        1. Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di accesso ai distinti ruoli dei giudici e dei pubblici ministeri e di assetto organizzativo di questi ultimi, sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

            a) prevedere che l’accesso ai due ruoli della magistratura avvenga soltanto per concorsi pubblici esterni distinti per ciascun ruolo, salve le disposizioni attuative dell’articolo 106, secondo e terzo comma, della Costituzione;

                b) individuare le materie e le modalità dei concorsi tenuto conto della diversità delle funzioni da assegnare;

            c) prevedere che l’accesso al ruolo organico giudicante o a quello requirente avvenga secondo la formula del corso-concorso, mediante una preventiva selezione concorsuale per titoli ed esami dei partecipanti al corso di formazione propedeutico al concorso definitivo;

            d) prevedere che i magistrati, già appartenenti ad uno dei due ruoli della magistratura, vincitori di concorsi per l’accesso all’altro ruolo, non possano essere assegnati, nei primi cinque anni, nello stesso distretto ove hanno svolto le precedenti funzioni.        2. L’articolo 190 dell’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, è abrogato.
        3. Nell’articolo 192, sesto comma, dell’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, le parole: “salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura” sono soppresse.
        4. Decorso il termine per esercitare l’opzione di cui all’articolo 1, comma 3, i magistrati ordinari possono partecipare ai concorsi per il conferimento di posti relativi esclusivamente al ruolo organico di appartenenza. Essi possono altresì partecipare a concorsi non riservati per il conferimento di posti relativi all’altro ruolo organico a condizione che il concorso sia bandito entro quattro anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sia stata tempestivamente e validamente esercitata l’opzione di cui all’articolo 1, comma 3, e che l’opzione stessa non sia stata accolta a causa della migliore collocazione in graduatoria di altri aspiranti.
        5. Sono abrogate tutte le norme incompatibili con la presente legge. Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore dei decreti delegati di cui all’articolo 2 ed al comma 1 del presente articolo, un testo unico al fine di armonizzare le norme di cui alla presente legge con l’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.
        6. I decreti legislativi di cui all’articolo 2 ed al comma 1 del presente articolo sono adottati ai sensi dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
 
 

 

 

 


 

CAMERA DEI DEPUTATI

 

   N. 3064


 

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

 

d’iniziativa dei deputati

 

NERI, ANEDDA, IACOBELLIS, LA RUSSA, SELVA

 

Modifica degli articoli 102, 104, 105, 106 e 111 della

Costituzione

 

Presentata il 25 gennaio 1997

 

PROGETTO DI LEGGE – N. 3064

 



        Onorevoli Colleghi! – In un periodo di grandi cambiamenti che investono l’intero nostro contesto sociale, economico e politico, deve registrarsi la quotidiana necessità dell’adeguamento delle strutture istituzionali rispetto alle esigenze della comunità nazionale che non riescono più a trovare adeguata risposta in previsioni normative scritte più di mezzo secolo fa e che, se pur mantengono in larga misura validità nella parte di affermazione dei princìpi generali e dei diritti fondamentali dei cittadini, mostrano ormai evidenti limiti con riferimento all’organizzazione degli organi e dei poteri dello Stato.
        In particolare, l’attenzione si ferma su quelli che sono o dovrebbero essere i poteri terzi e cioè quei poteri dello Stato previsti e finalizzati a garantire la legalità complessiva del sistema ed il primato della legge, nonché la soluzione dei conflitti tra cittadini, tra questi e la pubblica amministrazione e tra pubblici poteri: l’ordine giudiziario ed il suo organo di autogoverno.
        Praticamente da sempre è presente nella dottrina giuridica e nella pubblica opinione il dibattito del rapporto tra magistratura inquirente e magistratura giudicante e tale dibattito registra una diversità di opinioni che dalla valorizzazione del principio di unicità della giurisdizione si spinge fino al suo opposto e cioè all’affermazione della impossibilità che inquirenti e giudicanti possano appartenere allo stesso ordine, con tutta la gamma delle sfumature che tra l’una e l’altra è possibile immaginare.
        La evidente diversità delle funzioni esercitate ha invero fatto interrogare studiosi, operatori del diritto e semplici cittadini sulla opportunità di riservare a giudici e pubblici ministeri uguale status, ma l’esperienza della istituzione di magistrature speciali nel periodo fascista orientò il Costituente dell’ultimo dopoguerra ad optare decisamente per una forte tendenza alla unicità della giurisdizione e ad avere un pubblico ministero talmente terzo e sottratto alle influenze del potere politico e del Governo da inserirlo a pieno titolo e senza alcuna distinzione nell’ordine della magistratura ordinaria, fino al punto che le funzioni inquirenti sono state ritenute una species tra tutte quelle esercitabili dai magistrati.
        La scelta operata dalla vigente Carta costituzionale è assolutamente condivisibile per il perseguito fine di assicurare anche al pubblico ministero quelle garanzie di indipendenza ed autonomia che sono a presidio della terzietà ed imparzialità della magistratura, ma ha dato luogo a più di una perplessità quella unicità di ruolo che vede accomunati i titolari dell’obbligo di esercizio dell’azione penale e quindi necessariamente chiamati ad un ruolo di parte, ancorchè rappresentativo degli interessi generali e dello Stato, con coloro i quali erano invece chiamati all’esercizio della giurisdizione vera e propria, e quindi chiamati ad un ruolo terzo di equilibrio finalizzato a ripristinare la legalità violata sia nei rapporti interprivati sia da parte del cittadino avverso il contenuto del precetto penale.
        La lunga vigenza di un processo penale di tipo inquisitorio, pur senza mai far venir meno le motivazioni ed i contenuti di tale dibattito, aveva forse attenuato gli elementi di più stridente contrasto tra i fautori delle tesi contrapposte, elementi che sono invece stati rivitalizzati dall’entrata in vigore, nell’ottobre del 1989, del nuovo codice di procedura penale fortemente ispirato ad un modello di processo accusatorio all’interno del quale accusa e difesa avrebbero dovuto essere due parti alla pari ed il dibattimento essere il momento centrale dell’accertamento della verità processuale davanti ad un giudice effettivamente terzo.
        Questa marcatura del ruolo di parte del pubblico ministero unita allo stravolgimento, conseguente alle tante emergenze giudiziarie e di ordine pubblico di questi anni, di alcuni dei canoni fondamentali dell’originario impianto accusatorio del codice di procedura penale, ha pertanto riproposto con forza la problematica di una più netta distinzione tra chi è titolare dell’esercizio dell’azione penale e chi è chiamato all’esercizio della giurisdizione e cioè tra chi nel sistema giudiziario ha una funzione di parte, con tutte le sue citate peculiarità, e chi ha invece un ruolo terzo e di garanzia.
        Ciò detto, tuttavia la cultura e la tradizione giuridica e giudiziaria del nostro Paese ci hanno consentito di apprezzare concretamente i vantaggi di una autonomia ed una indipendenza riconosciute al massimo livello a tutti i magistrati e ci hanno consegnato un potere giudiziario di norma effettivamente terzo rispetto agli altri poteri dello Stato ed in grado di garantire il primato della legge e ciò nonostante le marginali, anche se gravi, distorsioni e la scarsa efficienza di un sistema giudiziario che va profondamente rivisto nella sua struttura organizzativa e nei meccanismi di funzionamento.
        Le ragioni esposte, l’esperienza maturata in questo mezzo secolo di vita della vigente Costituzione e le ragioni dettate dagli effetti dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale suggeriscono, se non impongono, una revisione delle norme costituzionali che riguardano la magistratura per rendere più aderente il suo status alle esigenze di una comunità profondamente diversa da quella dell’immediato dopoguerra, mantenendo e perfezionando le irrinunciabili garanzie di autonomia ed indipendenza che, sole, possono garantire una separazione dei poteri dello Stato davvero in grado di coniugare le finalità di buon governo con i diritti dei cittadini.
        L’articolo 1 sostituisce l’articolo 102 della Costituzione e ribadisce l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine della magistratura e, nel suo ambito, specifica la differenza di funzioni tra i giudici ed i pubblici ministeri. Mantiene inoltre il divieto di istituzione di magistrature straordinarie o speciali.
        L’articolo 2 sostituisce l’articolo 104 della Costituzione: il primo comma del nuovo testo diviene il primo comma del nuovo articolo 102 ed, in particolare, rivede la composizione del Consiglio superiore della magistratura, riducendo da due terzi alla metà i componenti eletti dai magistrati ed aumentando da un terzo alla metà quelli eletti dal Parlamento in seduta comune. Viene inoltre introdotta la scelta del presidente e del vicepresidente nell’ambito dei componenti e senza vincolo di scelta tra quelli eletti dal Parlamento. Viene, infine, introdotta la definitiva non rieleggibilità dei componenti in luogo della vigente solo immediata non rieleggibilità e ciò al fine di rimarcare il ruolo di assoluta autonomia che l’eletto nell’organo di autogoverno deve mantenere rispetto al corpo degli amministrati.
        L’eliminazione della presidenza del Consiglio superiore della magistratura da parte del Presidente della Repubblica tende ad armonizzare l’organo di autogoverno rispetto ad ipotesi di riforma tendenzialmente in senso presidenzialista e comunque tiene conto del fatto che anche nell’attuale assetto costituzionale il ruolo del Presidente della Repubblica si è sempre più allontanato da una posizione di neutralità e da una funzione di garanzia per assumere sempre più marcate connotazioni politiche.
        L’articolo 3 sostituisce l’articolo 105 della Costituzione, introducendo un secondo comma che prevede l’espresso divieto per il Consiglio superiore della magistratura di svolgimento di un’attività di indirizzo politico, con ciò rimarcando la sua natura di organo costituzionale di alta amministrazione e di autogoverno della magistratura in rapporto non equivoco con gli altri poteri dello Stato.
        L’articolo 4 riformula l’articolo 106 della Costituzione e, al secondo comma, prevede il reclutamento con distinti concorsi per giudici e pubblici ministeri al fine di sottolineare la diversità delle funzioni già enunciata nel nuovo testo dell’articolo 102, ma prevede anche una riserva di legge ordinaria per disciplinare l’eventuale cambiamento delle funzioni, con ciò ribadendo l’unicità dell’ordine.
        L’articolo 5, infine, modifica il testo dell’articolo 111 della Costituzione rimuovendo, al secondo comma, le limitazioni al ricorso in Cassazione contro i provvedimenti sulla libertà personale. Al terzo comma, inoltre, si abolisce la limitazione alle sole questioni attinenti alla giurisdizione per la ricorribilità in Cassazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.
        Quest’ultima previsione è di particolare rilievo perché rappresenta un tentativo concreto di procedere verso la unicità della giurisdizione con la individuazione di un unico giudice di legittimità per tutte le materie sottoposte al vaglio giurisdizionale ordinario o amministrativo.
        Le altre norme della seconda parte, titolo IV, sezioni I e II della Costituzione, rimangono invariate in quanto compatibili con quelle modificate ed armonicamente raccordate a garanzia dei diritti fondamentali tutelati.

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

 

Art. 1.


        1. L’articolo 102 della Costituzione è sostituito dal seguente:

        “Art. 102. – La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.
        A tale ordine appartengono i giudici, cui spetta l’esercizio della giurisdizione, nonché i pubblici ministeri, cui spetta l’esercizio dell’azione penale.
        L’ordinamento giudiziario regola e disciplina l’accesso e la progressione in carriera di tutti i magistrati ordinari.
        Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.
        La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia”.

Art. 2.


        1. L’articolo 104 della Costituzione è sostituito dal seguente:

        “Art. 104. – Fanno parte di diritto del Consiglio superiore della magistratura il primo presidente ed il procuratore generale della Corte di cassazione.
        Gli altri componenti sono eletti per metà da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie e per metà dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.
        Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un presidente ed un vicepresidente.
        I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.
        Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali né ricoprire cariche pubbliche elettive”.

Art. 3.


        1. L’articolo 105 della Costituzione è sostituito dal seguente:

        “Art. 105. – Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.
        Il Consiglio non può adottare atti o deliberazioni di indirizzo politico”.

Art. 4.


        1. L’articolo 106 della Costituzione è sostituito dal seguente:

        “Art. 106. – Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso.
        Per le nomine dei magistrati ordinari sono indetti concorsi distinti per le funzioni di giudice e di pubblico ministero. Il cambiamento delle funzioni è consentito solo nei casi e con le modalità previste dalla legge.
          La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari.
        Su designazione del Consiglio superiore della magistratura possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di Cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni d’esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori”.

Art. 5.


        1. L’articolo 111 della Costituzione è sostituito dal seguente:

        “Art. 111. – Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
        Contro le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge.
        Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è sempre ammesso il ricorso in Cassazione”.

 


 

CAMERA DEI DEPUTATI

 

   N. 3066


 

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

 

d’iniziativa dei deputati

 

NERI, ANEDDA, IACOBELLIS, LA RUSSA, SELVA

 

Modifica degli articoli 135 e 137 della Costituzione

 

Presentata il 25 gennaio 1997

 

 Onorevoli Colleghi! – In un periodo di grandi cambiamenti che investono l’intero nostro contesto sociale, economico e politico, deve registrarsi la quotidiana necessità dell’adeguamento delle strutture istituzionali rispetto alle esigenze della comunità nazionale che non riescono più a trovare adeguata risposta in previsioni normative scritte più di mezzo secolo fa e che, se pur mantengono in larga misura validità nella parte di affermazione dei princìpi generali e dei diritti fondamentali dei cittadini, mostrano ormai evidenti limiti con riferimento all’organizzazione degli organi e dei poteri dello Stato.
        Tra i tanti aspetti, l’attenzione si ferma su quelli che sono o dovrebbero essere i poteri terzi e cioè quei poteri dello Stato previsti e finalizzati a garantire la legalità complessiva del sistema ed il primato della legge: nello specifico la composizione della Corte costituzionale e l’estensione del suo controllo sugli atti legislativi.
        Due sono le preoccupazioni principali che hanno interessato studiosi e politici in questi ultimi anni e sono preoccupazioni strettamente legate alla composizione della Corte, alle influenze politiche che ne possono condizionare l’operato ed al ruolo che la Corte è chiamata a svolgere.
        Riguardo alla composizione della Corte, e nel contesto del sempre maggior rilievo che si intende riconoscere alle autonomie locali, pare opportuno che le rappresentanze delle autonomie regionali vengano ammesse tra gli organi con potere di nomina dei giudici costituzionali.
        Poiché il numero complessivo dei giudici costituzionali appare adeguato, le nomine attribuite alle autonomie regionali vengono sottratte al Parlamento, alle supreme magistrature ed al Presidente della Repubblica, con un bilanciamento complessivo che pare più rispondente alle esigenze dell’attuale contesto socio-politico e con una riduzione della componente politica centralista che certamente contribuisce a fugare le preoccupazioni connesse alla valenza politica dell’operato della Corte.
        L’aspetto di garanzia poi è stato tenuto in grande considerazione ed a questa logica risponde ad esempio l’introduzione dell’elezione contestuale dei giudici costituzionali da parte del Parlamento e delle rappresentanze delle autonomie regionali. Si vuole cioè evitare che il perpetuarsi del sistema attuale possa ancora lasciare a lungo vuoti nella composizione della Corte e possa altresì condizionare le singole nomine ad estenuanti mercanteggiamenti o colpi di mano di maggioranze.
        Anche la durata del mandato pare da rivedere in quanto i nove anni attualmente previsti sembrano troppi ed espongono la Corte al rischio di una distonia temporale con la realtà socio-politica, atteso che i tempi della nostra società sono ormai generalmente accelerati e richiedono una costante capacità di adattamento ed aggiornamento che ci porta ad indicare come più adeguato un mandato della durata di sette anni.
        Queste modifiche sono tutte contenute nell’articolo 1 della presente proposta di legge che modifica il testo dell’articolo 135 della Costituzione.
        L’articolo 2 modifica invece l’articolo 137 della Carta ed introduce la possibilità di un controllo preventivo di costituzionalità che un quinto di deputati e senatori può congiuntamente chiedere alla Corte entro quindici giorni dalla definitiva approvazione di un provvedimento legislativo. E’ previsto l’effetto sospensivo di tale ricorso.
        Questa novità è di grande rilievo non solo perché una valutazione preventiva di costituzionalità mette al riparo da potenziali scompensi normativi derivanti da dichiarazioni di incostituzionalità successive all’entrata in vigore di una legge, ma anche perché tale possibilità rappresenta una concreta garanzia per l’opposizione di poter pretendere che la maggioranza eserciti sì i suoi diritti, ma senza che ciò possa avvenire in violazione delle regole costituzionali e con una valutazione del loro rispetto devoluta ad un organo terzo.
        Gli articoli 134 e 136 nella sezione I del titolo VI della parte II della Costituzione restano immutati.
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

 

Art. 1.


        1. L’articolo 135 della Costituzione è sostituito dal seguente:

        “Art. 135. – La Corte costituzionale è composta di quindici giudici titolari e di quattro supplenti, di cui tre titolari nominati dal Presidente della Repubblica, quattro titolari e due supplenti nominati con votazione contestuale dal Parlamento in seduta comune, quattro titolari nominati dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative e quattro titolari e due supplenti nominati con votazione contestuale dai consigli regionali in seduta comune o contestuale.
        I giudici supplenti non fanno parte della Corte. Assumono le funzioni esclusivamente nel caso di definitiva cessazione dalle stesse di uno dei titolari nominati dallo stesso organo e subentrano nell’ordine di elezione fino alla scadenza del mandato del titolare sostituito.
        I giudici della Corte costituzionale sono scelti fra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio.
        I giudici titolari della Corte costituzionale sono nominati per sette anni, decorrenti dal giorno del giuramento, e non possono essere nuovamente nominati.
        Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall’esercizio delle funzioni.
        La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il Presidente, che rimane in carica per un triennio ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall’ufficio di giudice.
        L’ufficio di giudice della Corte è incompatibile con quello di membro del Parlamento, di un Consiglio regionale, con l’esercizio della professione di avvocato e con ogni carica ed ufficio indicati dalla legge.
        Nei giudizi d’accusa contro il Presidente della Repubblica intervengono, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni sette anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari”.
Art. 2.


        1. L’articolo 137 della Costituzione è sostituito dal seguente:

        “Art. 137. – Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale e le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte.
        In ogni caso, con richiesta congiunta di un quinto dei deputati e di un quinto dei senatori può essere proposto davanti alla Corte giudizio di legittimità costituzionale su una legge approvata dal Parlamento entro quindici giorni dalla sua definitiva approvazione. Il ricorso sospende l’entrata in vigore della legge fino alla deliberazione della Corte.
        Con legge ordinaria sono stabilite le altre norme necessarie per la costituzione ed il funzionamento della Corte.
        Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione”.

 

 

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