Che fare di fronte alla crisi e alla deflazione?

24 Novembre 2005
Enea Franza
Nel mondo della finanza gli investimenti spesso non sono prudenziali e al servizio dell’economia reale ma meramente speculativi, perciò in grado di accentuare enormemente l’instabilità di un sistema di per sé fluttuante e instabile. Il futuro immediato: guidare i fallimenti necessari e avviare misure transitorie atte a proteggere i più deboli, rivitalizzare i consumi e la produzione.
 
Una vera valanga sta arrivando sull’economia europea ed italiana.  Ad annunciarlo non sono solo le dichiarazioni del Ministro dell’economia fatte ieri all’inaugurazione della Cattolica, ma gli annunci di tante imprese metalmeccaniche americane ( i dati dell’economia USA indicano che i prezzi a ottobre sono scesi dell’1%, questo non accadeva dal ’47) ed europee che comunicano la situazione di crisi in ininterrotta espansione…
Nella sostanza, si sta materializzando quello che scrivevo già dal giugno scorso sulle pagine del Borghese: la prima fase della crisi innescata dalle terribili e ingiustificabili “marachelle” delle Banche Americane (complici quelle europee) lascia il passo ad una nuova fase critica che toccherà purtroppo le famiglie. In effetti, se la crisi finanziaria ha per ora lasciato indenni le famiglie, in particolare quelle che vivono di reddito di lavoro dipendente e pensioni, la nuova fase della crisi colpirà le fasce più basse della popolazione, colpendo i salari, gli stipendi e aprendo per tanti le porte della disoccupazione.
Seguendo le indicazioni del nostro Ministro, non farò previsioni, ma non mi sento di fare nessuna speculazione se segnalo che  la crisi è già evidente negli Usa e che toccherà nei primi mesi del 2009 le imprese di quel grande paese, e poi, dopo l’estate, colpirà con maggiore forza le imprese europee. Che sta in realtà succedendo ?
I consumatori, atterriti  dalla crisi  amplificata dai media, stanno restringendo i consumi e questo, in una economia di mercato, innesta una spirale molto pericolosa di sfiducia nel futuro che non stimola di certo i consumi …  anche se si avvicinano le tradizionali feste natalizie
Peraltro, la maggior parte dei consumi avviene nei paesi di capitalismo davvero voluttuari, dove possono facilmente essere sostituiti o ridotti. Mi riferisco ai consumi per viaggi, abbigliamento e beni alimentari di lusso, ma anche con riguardo a molti beni durevoli che hanno invero un ciclo economico ma che la prassi delle vendite a rate ha indotto molti consumatori a dismettere prima della loro usura meccanica.
Sostenere l’economica, come molti economisti suggeriscono, con la riduzione delle tasse ha il vantaggio di costituire un sistema rapido per “rifinanziare” il sistema, ma il clima di sfiducia generale che sta coinvolgendo tutti mi lascia forti dubbi sulla efficacia di questa misura: l’effetto sarà davvero quello voluto di incremento nei consumi ?
Io non ci credo. Infatti, la tentazione di ridurre la spesa è forte ed è alimentata dai media, che amplificano una situazione di per sé già grave. Di questo fenomeno sono succubi le fasce medie della popolazione, che in questi anni hanno sostenuto i consumi. D’altra parte, l’alternativa di un intervento diretto dello Stato, con un incremento della “spesa per investimenti”,  ha un carattere di lentezza che ne riduce fortemente l’impatto anti-congiunturale.
Che fare? … partiamo da dove la crisi è partita… !
Ho detto già da tempo (ed oramai su questa mia posizione il consenso è unanime) che la causa della crisi non è dovuta dal fatto che alcuni paesi, Cina in primo luogo, hanno avuto forti eccessi di risparmio ed altri invece hanno solo consumato (USA).
Lo dimostrano i dati economici a disposizione: negli anni 90 gli USA hanno aumentato i consumi al 3% e gli investimenti del 6%;  negli anni 2000 e fino al 2006, sempre negli USA, gli investimenti sono stati del 6% e poi sono rallentati….ma i consumi non sono stati molto superiori… Cosa non ha funzionato lo sappiamo. E’ stato  il mercato finanziario che, nel formare i prezzi, non ha considerato il rischio di fallimento della controparte!  Conseguentemente le banche sono state poco capitalizzate (di qui le problematiche sulla regolamentazione su cui si dovrebbe discutere) e ciò ha determinato un comportamento destabilizzante relativo alla poca attenzione alle garanzie offerte dai soggetti prenditori di denaro…
Peraltro, come ha ricordato il Ministro dell’Economia, la crisi finanziaria non ha terminato di colpire, anzi è in arrivi il mostro dei mostri: gli hedge fund! Ma cosa sono ? La parola “hedge” significa letteralmente “coperto” e si riferisce alla strategia applicata nella gestione di tali fondi di investimento. Già, in realtà, il mostro dei mostri è una cosa molto conosciuta da chiunque opera sui mercati finanziari o semplicemente è alla ricerca di un investimento: si tratta dei famosi fondi comuni di investimento.
Tali fondi hanno tuttavia caratteristiche peculiari, oltre a limiti all’ingresso nel fondo, che non è aperto a tutti (la legge statunitense, paese dove sono nati all’inizio degli anni ‘50, prescrive che gli investitori abbiano un patrimonio di almeno un milione di dollari ed entrate nette per oltre 200.000 dollari e che il numero dei soci non debba essere superiore a 99). Essi hanno l’obiettivo di produrre rendimenti costanti nel tempo, però con una bassa correlazione rispetto ai mercati di riferimento, attraverso investimenti singolarmente ad alto rischio e con possibilità di ritorni molto fruttuosi. 
Ma dove è la differenza rispetto tra questi fondi d’investimento e quelli a cui affidiamo tutti con relativa sicurezza i nostri soldi ? Negli hegde fund la strategia d’investimento non è il semplice acquisto di obbligazioni, azioni (fondi comuni d’investimento a capitale variabile – mutual funds) e titoli di credito (money market funds) con l’obbiettivo di un rendimento relativo ad un benchmark. In essi, lo scopo è il raggiungimento di un rendimento assoluto.
Mi spiego meglio. L’inventore è un giornalista americano, Mr. Alfred Winslow Jones, che attiva il primo hegde fund nel ‘48 con una sistema d’investimento che ne battezza anche il nome, con una strategia che oggi chiameremmo “long/short equity”: si generano i rendimenti assumendo posizioni long su alcuni titoli ritenuti sottovalutati, finanziandosi con delle posizioni “short” su titoli sopravvalutati, il tutto cercando di non risentire dell’andamento generale del mercato azionario.  Insomma, la strategia è quella di tenere il piede in due staffe, per garantirsi sempre un guadagno, sia che un titolo in cui si è investito salga, sia che scenda.
Ad esempio, se si comprano azioni e si vuole evitare di perdere se queste dovessero decrescere in valore, si acquistano opzioni che garantiscono il diritto di vendita in un momento futuro dei titoli a un prezzo specifico: in questo modo si copre anche l’eventuale perdita.
Gli hedge fund, naturalmente, non sono gli unici a usare tecniche come le opzioni: lo fa qualsiasi banca d’investimento. Ciò che distingue un fondo speculativo è la tendenza a spingersi verso un rischio maggiore, alla ricerca di rendimenti superiori ai fondi comuni. Le strategie sono diverse, ad esempio, le vendite allo scoperto (short selling) in cui il fondo prende in prestito titoli che ritiene sopravvalutati, li vende e, una volta che il prezzo è sceso, li riacquista sul mercato a un prezzo più basso restituendoli al prestatore. Poi ci sono le tecniche global macro, simili allo short selling, ma applicate, anziché alle azioni, ad altri titoli (ad esempio le valute) che si muovono sulla base di eventi macroeconomici. Con le strategie event driven, infine, i fondi cercano di trarre vantaggio da operazioni straordinarie come fusioni, acquisizioni e fallimenti di aziende.
Allora il problema dove sta? Sta nel fatto che le tecniche di investimento non sono prudenziali, come tutto il mondo della finanza al servizio dell’economia reale richiederebbe, ma sono meramente speculative…e quindi sono strategie capaci di moltiplicare l’instabilità di un sistema  già instabile. Il rischio inoltre, cosi come il profitto, è moltiplicato per molte volte rispetto all’investimento iniziale ed in un mercato instabile e di deflazione come quello attuale, l’instabilità finanziaria ha conseguenze terribili sul comportamento degli operatori economici… ecco il mostro dei mostri!
Allora cosa bisogna fare…? 
Secondo me la ricetta è dura, ma non trovo alternativa valide alla cura. Detto in breve: guidare i fallimenti necessari ed improntare misure di breve termine per sostenere la disoccupazione ! Tutto qua ? …si…. Oltre, naturalmente, ripotenziare il mercato dei capitale e quello bancario ed eliminare le mele marce. Solo cosi si potrà ripartire.
 
 
 
 

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