MEDITERRANEO. Immigrazione e geopolitica

Luglio 2002
Mino Mini
 
Pubblichiamo il testo della conferenza tenuta a Roma presso il Cenacolo di  Via Valdina della Camera dei Deputati da Mino Mini nel luglio 2002 sia per la validità delle acute analisi e degli interrogativi prospettati dall’Autore, non necessariamente condivisibili come nel caso delle preoccupazioni che nascerebbero da un forte avvicinamento della Russia all’Europa per il conseguente sbilanciamento nel mezzogiono asiatico (le repubbliche turco-mongoliche). Sia per dimostrare come altri amici, oltre a Domenico Cambareri e Gino Ragno, abbiano raggiunto in via autonoma conclusioni non dissimili su aspetti e temi di indubbia importanza nello scenario internazionale e in particolare sull’allargamento dell’Unione Europea alla Turchia. Siamo stati tra i primi in Italia, non solo a destra, a promuovere ripetutamente e con abbondanza di motivazioni e di proposte ciò, di fronte a tutta una serie di conventicole di piccole, scriteriate, attardate e ottuse “élite”, intellettualmente e culturalmente inette, politicamente inconcludenti, che guidano i raggruppamenti maggiori e minori del variegato e disperso panorama politico che sta a “destra”. Che, per colpa di simili referenti, annaspa e confonde ad ogni piè sospinto significati e ambiti di concetti fondamentali quali tradizione, identità, radici, nazione, cultura europea, fede religiosa, libertà religiose e cucina brodaglie culturali con fraintendimenti e generalizzazioni paradossali ma anche con strumentali, fuori tempo e grette interessenze sui soliti luoghi comuni del suo solito analfabetismo, come quello relativo all’Illuminismo, da cui discendono direttamente i concetti di Patria e di Nazione (su ciò, rimandiamo alla lettura del Documento Politico di Domenico Cambareri, che, pur nella legittima autonomia delle posizioni personali, costituisce punto di riferimento e di dibattito primario per gli amici de L’Europa della Libertà).
 

 

 

 

 

  1. L’immigrazione come fenomeno geopolitico
 
Nel gran parlare che se ne è fatto, il fenomeno dell’immigrazione, specialmente quella clandestina, è stato esaminato sotto gli aspetti settoriali dell’economia e della sicurezza nonché sotto quello, più preoccupante, dell’assimilazione o integrazione degli immigrati nel corpo sociale e politico del nostro paese. Fatti nuovi – come vedremo – spingono a cercare il superamento di una così settoriale e contingente visione del fenomeno per collocarlo in una dimensione geofilosofica e, nel caso specifico, geopolitica.
 
Si presentano così al nostro esame due scenari geopolitici tra i quali si colloca la posizione dell’Italia che dovremo valutare servendoci di due categorie di giudizio con valenza geopolitica che ci permettano di capire come può essere vissuto il Mediterraneo. Ebbene il Mediterraneo può essere vissuto in due modi:
   come frontiera ovvero come uno “star di fronte” in atteggiamento difensivo, quando va bene, altrimenti di minaccia. Vige, per questa categoria, la concezione dell’homo homini lupus che da Plauto ad Hobbes impronta la storia delle relazioni fra gli uomini all’insegna della spietatezza e preclude ogni possibilità di vera politica;
   come cerniera di ribaltamento (questo il 2° modo) di un mondo verso l’altro per effettuare l’allargamento di un universo in pluriverso. Ciò implica la ricerca di forme nuove di compatibilità entro le quali far convivere le diverse identità che costituiscono il Mediterraneo in un ecumene più elevato civilmente. In parole più semplici significa fare politica mediterranea dove il compito di mediare e comporre investe, a livelli superiori, realtà politiche, economiche, culturali e religiose distinte che devono essere rispettate nella loro diversità.
 
Dagli scenari che andremo a sviluppare sembra emergere una volontà superiore che non vuole si faccia politica nel Mediterraneo e spinge perché nello stesso si mantenga la condizione di frontiera. E poiché i rapporti all’interno del Mediterraneo riguardano soprattutto l’Italia sorge il sospetto, non privo di fondati riscontri, che contro la stessa, contro di noi, sia in atto da tempo una politica, nemmeno tanto occulta, di depotenziamento.
 
 
  1. Il primo scenario: il Mediterraneo
 
Per la comprensione di quanto si andrà ad esporre, facciamo affidamento sulla conoscenza scolastica della geografia del Mediterraneo non potendo, purtroppo, esibire alcun grafico.
 
Geograficamente il Mediterraneo è articolato in due bacini: occidentale e orientale. L’asse di ripartizione passa per L’Adriatico, entra nello Ionio e all’altezza di Cipro piega ad ovest, separando, a sud di Malta, l’Italia dal Golfo della Sirte.
 
Geopoliticamente la ripartizione prosegue inoltrandosi, ad ovest, il canale di Sicilia e collegandosi all’asse ispano – magrebino che ha, più o meno, le stesse caratteristiche dell’Adriatico. Ad est l’asse passa sotto Cipro e si arresta. A nord di tale punto abbiamo la linea di contatto fra l’Europa ed il Medio Oriente di cui la Turchia – come vedremo più avanti – rappresenta il nodo per essere posta nell’imbocco di Dardanelli attraverso i quali il Mediterraneo diventa Mar Nero. Un tempo questa era la Rotta dei tre mari: Adriatico, Egeo, Mar Nero che univa popoli e culture diverse.
Per comprendere meglio il senso di questa ripartizione e quanto appresso si dirà si ponga mente alla posizione dell’Italia nel Mediterraneo. Il canale di Otranto, che chiude l’Adriatico è largo – da Otranto a Valona – 90 Km. Poco più della distanza tra Roma e Civitavecchia. Otranto, invece, dista da Roma, in linea d’aria, 550 Km. Sempre nell’Adriatico Ancona dista da Zara 150 Km., mentre dista da Roma – in linea d’aria – 210 km. Il canale di Sicilia nel punto più stretto misura 140 km. Trapani dista 240 km. da Tunisi, ma 800 km. da Roma. Cagliari ne dista 275 km. e si trova a 400 km. da Roma. Ma l’aspetto geopoliticamente più rilevante è la distribuzione della popolazione nelle città costiere o che hanno accesso, per sistema territoriale, con il Mediterraneo. Prendiamo in considerazione solo le città al di sopra di 500.000 abitanti. Partendo da Gibilterra abbiamo nove città dell’Arco latino: Barcellona, Marsiglia, Genova, Roma e Napoli con 11,2 ML di abitanti, Malaga, Valencia e Palermo con altri 1,6 ML che uniti ai primi danno un totale di 12,8 ML di abitanti. Nella zona di contatto nel  bacino orientale abbiamo Atene, Istambul, Smirne e Salonicco con 13,3 ML di abitanti. Di fronte, sulle Rive Est e Sud abbiamo 17 città riunite, alcune, in conurbazioni o legate dalla breve distanza a formare aree vaste di tipo metropolitano: Adana (in Turchia) Aleppo, Damasco-Beirut in Siria con 5,05 ML di abitanti.  La metropoli virtuale Amman – Gaza – Gerusalemme – Tel Aviv con 4,9 ML di abitanti. La conurbazione Alessandria – Cairo con 13,8 ML di abitanti ed infine Tripoli, Tunisi, Algeri, Orano, Tangeri, Casablanca-Rabat-Salè (che gravita sul Mediterraneo) con 26,5 Ml di abitanti.
Riassumendo:
Riva Nord (Arco latino)
12,8 ML
 
Zona di contatto
13,3 ML
 
Riva Sud e Est
50,25 ML
 
 
 
 
 
La somma delle prime due supera di poco la metà della popolazione della Riva Sud ed est.
 
I dati enunciati sono del 1994 e non rivelano per intero la realtà demografica. Una proiezione effettuata nel 1990 da B. Kayser in EDM Jaca Book 1996, dava per il 2025 – da qui a 23 anni – un tasso di crescita globale (1990-2025) del 18,2% per l’arco latino e la zona di contatto, del 125% per la Riva Sud ed Est. E stiamo parlando delle città costiere mentre per tutta la popolazione urbana dei paesi rivieraschi il tasso sale da 18,2% al 18,4% per le prime e dal 125% al 221% per le città delle Rive Sud e Est. Siamo in presenza di una vera bomba demografica.
 
La domanda che ci poniamo è la seguente: dove si riverserà questa popolazione?
 
 
  1. Il secondo scenario geopolitico: il Mediterraneo e l’Europa
 
Esaminiamo ora il secondo scenario geopolitico che riguarda l’Europa e il Mediterraneo.
 
L’Europa (in specie i paesi non mediterranei) ha vissuto e vive il Mediterraneo essenzialmente come frontiera da rafforzare e difendere. Potremmo a tal riguardo, ricordare la guerra del Kossovo che ha posto l’Italia in una condizione di conflittualità diretta con i paesi frontalieri, richiamare dal più lontano passato il caso del Libano oggi in mano siriana e via elencando, ma l’esempio più eclatante è quello recentissimo della Gran Bretagna la quale, con decisione autonoma, ha inviato navi da guerra nel Mediterraneo a fermare i battelli che trasportavano immigrati.
 
Cerchiamo di cogliere il processo di formazione in atto dello scenario che stiamo esaminando.
 
Il trattato di Pratica di Mare del 28 maggio scorso ha aperto nuove e non sempre esaltanti prospettive. Da un lato abbiamo una NATO che, persa la sua ragione d’essere nel 1989 con la fine del terrorismo atomico bilaterale, viene rivitalizzata con l’individuazione di una nuova categoria di terrorismo. Non c’è bisogno di citare Carl Schmitt per capire cosa questo significhi. Dall’altro lato abbiamo una Russia che aderisce condizionatamente all’organizzazione dell’Alleanza Atlantica come passo preliminare – si auspica – a entrare nella Ue. La prospettiva di un Europa estesa dall’Atlantico agli Urali è di quelle che hanno affascinato e affascinano – in modo diverso – molti di noi. Ultimo a parlarne è stato Antonio Saccà il 9 giugno scorso sul Secolo d’Italia prospettando rischi e, soprattutto, vantaggi. Anche lui, però, ponendo l’evento in un’ottica antimediterranea e antimussulmana. In sostanza in termini di frontiera.
 
E’ opportuno, allora, ricordare che la Russia si sposta oggi verso l’Europa perché la federazione di cui era lo stato-guida, l’URSS, si disciolse repentinamente nel giro di pochi giorni dell’agosto 1991. Con la secessione dell’Ucraina e della Georgia si chiuse, allora, l’accesso al Mar Nero e quindi al Mediterraneo.
 
Sembra sfuggire ai più che l’auspicabile ingresso della Russia in Europa, se non venisse bilanciato, sposterebbe l’asse politico di quest’ultima sulla pianura sarmatica con la conseguente periferizzazione del Mediterraneo. Ulteriore squilibrio sarebbe dato, inoltre dall’isolamento degli azeri, delle quattro repubbliche del Turkestan, dei tagiki. Musulmani tutti ma secolarizzati e con una popolazione diffusamente scolarizzata a livelli superiore in senso moderno. Isolamento che potrebbe portare alla rinascita del panturchismo dal Mediterraneo al Pacifico. In questo scenario, per ora solo possibile, si inserisce la dichiarazione del ministro spagnolo agli esteri Josep Piqué resa al Consiglio Europeo svoltosi a Siviglia la settimana scorsa: “L’Ue spera di aprire quest’anno i colloqui per l’ingresso della Turchia nell’Europa dei Quindici”. Ciò fa bene sperare per le possibilità che la Turchia, come zona di contatto, offrirebbe per un ruolo del Mediterraneo quale cerniera fra popoli diversi e che devono e vogliono veder riconosciuta e rispettata tale diversità. Non si dimentichi come questa nazione, senza rinunciare all’Islam, si sia secolarizzata già dagli anni 20 sostituendo la sharija con il codice civile svizzero, abbia adottato il codice commerciale tedesco e quello penale italiano; abbia abbandonato la scrittura in caratteri arabi e adottato i caratteri latini. Soprattutto fa sperar bene per la riapertura della “Rotta dei tre mari” di cui si è detto.
 
Fino a quando la Turchia non entrerà nella Ue sembra che l’Europa rimarrà ancorata alla visione del Mediterraneo quale frontiera e Siviglia – al di là delle frasi di circostanza – lo dimostra ampiamente.
 
  1. L’Italia tra i due scenari: Mediterraneo ed Europa
 
Data la contingenza riaffermata a Siviglia, L’Italia deve porsi il problema di come sviluppare una autonoma politica mediterranea e spingere l’Europa fuori del ristretto orizzonte degli egoismi continentali. Ma c’è una considerazione da fare ed un sospetto da fugare.
 
La considerazione. Sia che, nell’immediato, sia costretta percorrere la politica della frontiera, sia che aspiri – nel futuro – a svolgere quella di cerniera. Per l’uno o per l’altro ruolo purtroppo è inadeguata.
 
La frontiera, ci pone nella condizione di dover vigilare migliaia di chilometri di coste. La breve distanza da paesi frontalieri – come abbiamo visto – rende difficile qualsiasi intervento tempestivo. Basti pensare alla facilità con cui veniva praticato il contrabbando o agli itinerari della droga. La politica di frontiera implica anche, nell’ambito NATO, disporre di tecnologia adeguata che non abbiamo più e militari particolarmente addestrati su base diffusa e non soltanto su base elitaria come il caso dei nostri corpi speciali. Al momento fare i guardaportoni d’Europa non ci riesce possibile.
 
Praticare, congiuntamente, la politica della cerniera non ci trova adeguatamente preparati. Rispetto alla popolazione della Riva sud ed est dovremmo disporre di credibilità in termini di modello di civiltà e qualità della vita, ma questo non è. La nostra collocazione in un “occidente” che è ormai oltreoceano e che scimmiottiamo provincialmente sia in termini di mode e di consumismo che in termini culturali, non fa di noi un riferimento credibile. Il nostro modo di vivere, le periferie alienanti delle nostre città non differiscono da quelle delle metropoli che ci stanno di fronte. Resta l’economia, la società opulenta del consumismo. Anche qui, stiamo perdendo colpi e credibilità. Sosteniamo la domanda interna ma non qualifichiamo la nostra mano d’opera, la “sostituiamo” con immigrati incolti ai quali offriamo lavoro.
Il basso livello si diffonde sempre di più e prospettiamo una sua maggiore espansione favorendo l’assimilazione. Non c’è ricerca né innovazione di un certo peso. Tantomeno vi è competizione economica internazionale.
 
Il sospetto. Scopriamo, da un libro denuncia di Paolo Cirino Pomicino (il noto Geronimo del Giornale) quello che da tempo si sospettava: la nostra economia è stata colonizzata dal capitalismo internazionale, ma quello che è peggio – dice Nazzareno Mollicone – con la politica delle privatizzazioni disposte da Amato sono state smantellate o alienate all’estero le grandi industrie a partecipazione statale, specialmente armamenti e spazio. Le uniche in grado di finanziarie da ricerca.
 
Poiché appare chiaro che la competizione internazionale non può attuarsi che a livelli di grandi concentrazioni – pubbliche o private che siano – e visto che le privatizzazioni hanno portato proprio alla distruzione delle nostre concentrazioni e quindi alla perdita di competitività e di credibilità per una politica mediterranea, sorge il quesito: E’ stato un caso, un calcolo sbagliato o azione deliberata?
Dove sono i responsabili? Quest’ultima domanda è puramente retorica, naturalmente. Siamo noi che votiamo.
 
Torniamo, per un momento, all’inizio del 2° scenario: Alessandro Sergeivich Ignatov, direttore generale del centro informativo presso la presidenza russa (ovvero Putin), proponendo la formazione di supercorporazioni russe e la loro stretta collaborazione con le forze produttive complementari della Ue per competere con l’America, la dice lunga su quale sarà la politica dell’Europa continentale e lascia intravedere la periferizzazione delle nazioni ridotte come l’Italia. Ma afferma anche “La teoria che i monopoli sono dannosi deve essere contestata perché la lotta contro i monopoli è, in verità, una forma mascherata di opposizione alla globalizzazione dell’economia russa. Ambedue le forme della globalizzazione dell’economia russa – la privatizzazione e la lotta contro i monopoli – sono frutti delle attività di agenti del Governo mondiale”.
 
Considerati i risultati dell’azione degli ultimi governi, manifesti nella perdita di livello competitivo della nostra economia clamorosamente denunciata dal governatore Fazio, dobbiamo dar ragione a Ignatov circa l’operato del Governo mondiale.
 
Poiché nonostante tutto ciò in Italia si continua a parlare di privatizzare Telecom, Eti, Tirrenia, Enel e si prospetta la privatizzazione delle poste e di Trenitalia occorre chiedersi, a conclusione del nostro intervento:
 
        chi decide in Italia e per conto di chi?
 
Questi gli scenari e questa la situazione italiana per quel che riguarda l’immigrazione sotto l’aspetto geopolitico.
Oltre a combattere l’immigrazione clandestina sembra opportuno porre attenzione alla dequalificazione del lavoro e soprattutto a riportare la nostra economia ad un livello competitivo la cui perdita è stata clamorosamente denunciata dal governatore Fazio. Sta al mondo della politica ed a quello della cultura riguadagnare all’Italia identità e rispetto.
 
 
Chi decide, chi comanda realmente in Italia?
 
 
 
 
(Relativamente al quadro geopolitico dell’inizio nuovo secolo e al vertice Nato-Russia citato da Mino Mini, vedi anche: Parvapolis, Domenico Cambareri, Martedì, 28 Maggio 2002, qui ripreso in Editoriali e articoli ante 2008: Roma. La storia due passi da casa. Nascono oggi la nuova Nato e il nuovo assetto planetario. I nuovi compiti dell’Italia e dell’Unione Europea. L’incontro tra i capi di Stato e di governo delle nazioni aderenti alla NATO, con il presidente Bush in testa e, come padrone di casa , Silvio Berlusconi, e del presidente russo Putin presso la base aerea di Pratica di Mare costituisce senza dubbio un evento di portata storica…)
 

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