Un nuovo di libro di Emilio Gentile sul Futurismo: “La nostra sfida alle stelle”

RECENSIONE

Fonte:  WUZ 

 
 

Grazia Casagrande

02 Aprile 2009

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Titolo «La nostra sfida alle stelle». Futuristi in politica
Autore   Gentile Emilio
 
Dati   147 p., ill., brossura
 
Prezzo   € 15,00
 
Prezzo IBS   € 12,00
 
Editore   Laterza
 
Collana   I Robinson. Letture
 
EAN   9788842088400
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“La nostra sfida alle stelle”. Futuristi in politica, di Emilio Gentile

“In questa epoca in cui noi siamo, il ritmo della vita è straordinariamente violento e fulmineo. È dato dalle macchine colossali e terribili del lavoro e della distruzione, che sono qualcosa di mezzo per il loro organismo vivente, velocità e forza, tra l’uomo e la natura, tra la volontà dell’uomo e le energie della natura.”
AUDIO: Filippo M. Marinetti, Definizione di futurismo

Questo libro, di cui qui di seguito potete leggere la prefazione, è davvero prezioso per inquadrare il senso profondo del movimento futurista. Quello che ha significato nelle arti figurative è universalmente riconosciuto e, anche se in letteratura non ha raggiunto l’autorevolezza ottenuta in altri paesi (ad esempio quello russo di Majakovskji), rimane un movimento che ha rotto l’impero del romanticismo e ha infranto la supremazia dannunziana.

Il rapporto con la politica è davvero complesso. Il nazionalismo modernista è la convinzione che l’Italia doveva avere un ruolo da protagonista nel quadro internazionale connette il futurismo con gli altri movimenti di “radicalismo nazionale” che sorsero nei primi decenni del Novecento in Italia. Se si legge il manifesto “Tripoli italiana” di Marinetti dell’11 ottobre 1911 (e non 1912) e se si ascolta l’esortazione, sempre di Marinetti del 1924, su La battaglia di Adrianopoli, il peso del movemento futurista in politica sarà già più che esplicito.
                                     AUDIO: Filippo M. Marinetti, La battaglia di Adrianopoli
                                        Introduzione
                              «La nostra sfida alle stelle»
Fece così irruzione, nell’epoca bella della modernità trionfante, che si svolgeva all’insegna della ragione e della rispettabilità, un movimento artistico che praticava con l’azione la ribellione contro l’ottimismo e il moralismo convenzionale dell’Europa liberale inneggiando alla guerra e alla rivoluzione. Prima del futurismo, in Europa, centro della civiltà mondiale, altri gruppi di intellettuali, di poeti, di scrittori, di artisti si erano ribellati contro la cultura e l’arte dominanti: dal romanticismo al decadentismo, dall’impressionismo al simbolismo, la cultura europea dell’Ottocento era stata il campo di battaglia di una guerra secolare fra il vecchio e il nuovo, fra la libertà creativa e la disciplina accademica, fra l’affermazione della personalità individuale e l’imposizione delle regole sociali. La novità più originale del futurismo, nei confronti di altri movimenti artistici di innovazione in lotta contro l’egemonia della tradizione, era il suo radicale, integrale, viscerale, aggressivo rifiuto del passato nella sua totalità, e, nello stesso tempo, l’ambizione di conferire alla propria azione rivoluzionaria una dimensione totale, mirante a trasformare l’essenza stessa dell’essere umano, proiettandolo in un nuovo mondo e in una nuova epoca, dove spazio e tempo sarebbero stati aboliti dall’energia della velocità. «Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creato l’eterna velocità onnipresente».
«Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!…».
Con questa frase si concludeva il manifesto del futurismo, scritto da Filippo Tommaso Marinetti e pubblicato il 20 febbraio 1909 come editoriale sul quotidiano di Parigi «Le Figaro». Nasceva così un nuovo movimento di avanguardia, che inaugurava, con il programma annunciato attraverso un manifesto, un nuovo stile di intervento degli artisti nella vita pubblica. Altri manifesti furono pubblicati negli anni successivi dai futuristi, che si proposero subito di estendere la loro azione di rinnovamento oltre il campo dell’arte per investire ogni aspetto della vita individuale e collettiva. Insieme ai manifesti, alle mostre d’arte e alla pubblicazione di opuscoli, riviste e libri che nell’estetica, nella composizione e nella grafica esprimevano il nuovo stile futurista, per propagandare le loro idee i futuristi inscenarono nelle principali città d’Italia, nei teatri, le «serate futuriste», dove all’esibizione delle loro idee e delle loro creazioni artistiche, giudicate stravaganti e scandalose, spesso accolte con fischi e insulti, seguivano scontri violenti con il pubblico. Esibizioni simili accompagnarono le mostre futuriste in varie città europee, da Londra a San Pietroburgo, provocando ovunque le reazioni scandalizzate dei benpensanti e le acclamazioni entusiastiche dei giovani artisti, poeti e letterati in rivolta contro la tradizione e le convenzioni della società borghese.
Il futurismo era il primo movimento artistico del Novecento che proponeva una rivoluzione antropologica per creare l’uomo nuovo della modernità, identificata con il trionfo della macchina e della tecnica, le possenti forze nuove sprigionate dal potere creativo dell’uomo, destinate a cambiare radicalmente l’uomo stesso, fino a generare una sorta di antropoide meccanico, essere disumano e sovrumano insieme, partorito dalla simbiosi fra l’uomo e la macchina. L’uomo nuovo vagheggiato dal futurismo era una creatura primordiale, animata da istinti violenti di conquista e di dominio, avidamente disposta a vivere nuove esperienze, a sperimentare nuove forme di cultura, di arte e di poesia, a dominare la natura trasformandola incessantemente, e trasformando con essa l’essere umano. L’uomo futurista doveva essere in perpetua lotta con se stesso e con i propri simili per non rimanere imprigionato nel tempo e nello spazio di un presente assoggettato al passato, e distruggere ogni convenzione consacrata dall’autorità della tradizione, perennemente proteso al superamento di se stesso, alla continua ricerca della novità nel futuro.
Precursori di questo uomo nuovo, gli artisti futuristi volevano anticipare nelle loro creazioni estetiche la nuova esperienza di una modernità definitivamente liberata da ogni legame con il passato. Per questo, essi si ribellavano contro tutto ciò che nella civiltà moderna appariva infettato dall’insidia paralizzante della tradizione, consistente nel reprimere la vitalità primordiale dell’uomo nuovo entro le convenzioni di una modernità estetica, morale, sociale e politica, addomesticata dal predominio di una razionalità pacifica, misurata, temperata, conciliante e tollerante, ispiratrice di una politica che predicava una democratica e umanitaria eguaglianza fra uomini e donne, fra nazioni e razze. I futuristi disprezzavano la modernità della società liberale borghese, che avversava la rivoluzione più che la reazione, ed era contraria alla superstiziosa preservazione del vecchio usurato, ma era altrettanto ostile all’aggressiva ricerca del nuovo mai sperimentato.
L’aggressività di una nuova vitalità primordiale era l’aspetto della modernità che i futuristi esaltavano con maggior passione, trasferendola dalla poesia alla vita. I futuristi cantavano «l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà», proclamavano che «il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia». Essi assegnavano al poeta il compito di prodigarsi «con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali». Dall’esaltazione dell’aggressività nella perpetua ricerca del nuovo, il futurismo procedeva con dogmatica perentorietà alla glorificazione della guerra come «sola igiene del mondo», esaltando il militarismo, il patriottismo, «il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna». L’aggressività futurista proclamava il primato della virilità, temendo nell’emancipazione della donna la prevaricazione del sentimentalismo sulla bellicosità primordiale del maschio, che invece il futurismo voleva eccitare con l’esaltazione della violenza, come espressione massima della vitalità primordiale. E non solo in senso metaforico.
Dall’esaltazione della violenza nasceva la simpatia dei futuristi per i rivoluzionari e i libertari, pur disprezzando gli ideali dell’anarchismo e del socialismo come miti umanitari. Dall’esaltazione della violenza, ancora, nascevano il disprezzo dei futuristi per la democrazia parlamentare e l’incitamento a una politica estera aggressiva, militarista e imperialista, in nome di una nuova grandezza italiana, tutta proiettata verso il futuro, senza retoriche evocazioni di grandezze passate. Dall’esaltazione della violenza, infine, nasceva la decisione dei futuristi, dopo la guerra di Libia, di concentrare la loro azione pratica nella campagna irredentista contro l’Austria, che sfociò nell’interventismo futurista fin dall’inizio della Grande Guerra.
Cominciò con la Grande Guerra la stagione del futurismo politico, l’unico, fra i movimenti di avanguardia del Novecento, a dar vita ad un partito politico che nutriva l’ambizione di essere l’artefice di una rivoluzione italiana per creare, in una nuova Italia futurista, il laboratorio dove attuare una rivoluzione antropologica mirante alla creazione dell’italiano nuovo.
Forse non sono pochi, ancora oggi, coloro i quali considerano la politica del futurismo una deviazione dal cammino dell’arte, fatta per errore, illusione, opportunismo o comunque per motivi che non appartenevano alla natura estetica del movimento. Non sembra possibile spiegare altrimenti l’esaltazione del nazionalismo, la glorificazione della guerra e l’adesione al fascismo da parte di un’avanguardia artistica, ormai unanimemente celebrata come uno dei movimenti rivoluzionari fondatori dell’arte moderna.
La condanna irrevocabile delle idee e delle gesta politiche futuriste appare attenuata, nel giudizio di alcuni studiosi, soltanto dalla valorizzazione di elementi anarchici e persino bolscevichi, presenti fra gli artisti futuristi, oppure attraverso una scrupolosa rilevazione delle differenze e dei contrasti tra futurismo e fascismo: per concludere, in entrambi i casi, con una retroattiva assoluzione del futurismo per il suo coinvolgimento nell’esperienza fascista, motivandolo con l’ingenuità politica di Marinetti e degli artisti futuristi o con la sostanziale estraneità del futurismo, in quanto movimento essenzialmente artistico rivoluzionario, rispetto alla politica reazionaria e totalitaria del fascismo. Un modo più sofisticato per banalizzare il problema della politica futurista è considerarla nulla di più che uno dei tanti espedienti propagandistici escogitati dal fondatore del movimento per dare maggiore pubblicità alle idee estetiche e agli assalti culturali contro la tradizione e il costume borghese. La politica futuristica non sarebbe quindi da prendere sul serio come problema politico.
Una soluzione del genere potrebbe reclamare il conforto di una conferma competente: quella delle autorità pubbliche che sorvegliavano le manifestazioni futuriste. Il prefetto di Milano, il 17 maggio 1910, così definiva il fondatore del futurismo, commentando un tentativo di manifestazione contro l’Austria da parte di «alcuni adolescenti»:
II Marinetti è quel tale poeta futurista, squilibrato, che già tentò, alcuni mesi or sono, una dimostrazione anti-austriaca al teatro lirico quasi per far dimenticare al pubblico il fiasco solenne che precedentemente in quella sera stessa e in quello stesso teatro avevano fatto le poesie declamate da lui e dai suoi accoliti.
Ieri sera egli continuò nello stesso sistema approfittando del momento di onda patriottica che i triestini avevano sollevato in Milano.
Il giudizio delle autorità sui futuristi in politica non mutò durante le giornate della campagna interventista. Le manifestazioni inscenate da Marinetti e dai futuristi, scriveva il prefetto di Milano al ministro dell’Interno il 16 settembre 1914, costituivano un «fatto che per sé stesso meriterebbe neppure di essere riferito»:
Questi futuristi, V.E. lo sa, nemici delle arti, dei musei, delle accademie, degli istituti di cultura, della musica classica, di tutto ciò infine che essi considerano convenzionale sono veri esaltati i quali senza essere politicamente affatto rivoluzionari o repubblicani amano il rumore ed il disordine, perciò odiano la tranquillità e la pace che chiamano indegne dell’uomo moderno. Ripetute volte qui a Milano ed altre città italiane si sono compiaciuti disturbare rumorosamente conferenze scientifiche, spettacoli teatrali e sempre ebbero la peggio, perché ovunque coi fischi ed altri mezzi più persuasivi il pubblico li fece tacere cacciandoli da ogni luogo e anche ieri sera in Galleria pubblico milanese diede prove molto palesi della sua avversione per essi.
Si può ritenere un errore considerare la politica un aspetto importante del futurismo, ma è certo che i primi a commettere questo errore furono i futuristi stessi, e sarebbe comunque interessante capire perché e come errarono, impegnandosi appassionatamente nel tentativo di realizzare un loro mito dello Stato nuovo. La politica del futurismo è una piccola tessera nella storia italiana del primo ventennio del Novecento. Anche se la sua capacità di conseguire risultati concreti fu molto scarsa, l’esperienza politica del futurismo merita attenzione per conoscere meglio il ruolo del radicalismo nazionale nella crisi del sistema liberale e nell’origine del fascismo. Se adottiamo come criterio per valutare il significato storico della politica futurista la sua effettiva efficacia nella vita italiana, si possono avere dubbi plausibili sulla serietà e persino sull’esistenza di una politica futurista, con una parte importante nella natura e nella storia del movimento. Illusione, errore, propaganda, opportunismo possono essere accettati, da questo punto di vista, come moventi delle gesta politiche futuriste. Un simile criterio, tuttavia, non è adeguato a definire, da un punto di vista storico, la logica di un atteggiamento e di un impegno concreto nella politica, che caratterizzarono dal 1914 al 1920 un’esperienza singolare nella storia delle avanguardie. Rimane infatti il problema di comprendere i motivi delle scelte politiche del futurismo, che influirono notevolmente sulla vita del movimento. Quanto ai rapporti con il fascismo nel periodo fra l’inizio del 1919 e la fine del 1920, quando si concluse definitivamente l’esperienza del futurismo politico, è importante rilevare le differenze e i contrasti, ma è anche necessario non trascurare le affinità, e rintracciarne le origini, individuare i motivi di un legame che fu occasionale né contingente, se, dopo una rottura temporanea, fu in seguito riallacciato all’ascesa di Mussolini al potere e durò, nonostante i dissensi, fino alla fine del fascismo.
© 2009, Laterza
Emilio Gentile – La nostra sfida alle stelle. Futuristi in politica
147 pag., ill., € 15,00 – Laterza (I Robinson)
ISBN 978-88-42-08840-0  
 
 
 

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