25 aprile: retoriche, significati, nuove strumentalizzazioni

28 Aprile 2009

Tony Schilirò ci invia questo breve scritto che afferma essere di un ex democristiano. In esso, l’autore dice che ha fatto bene Berlusconi ad accettare la sfida di Franceschini e che bisognerebbe trasformare il 25 aprile in una festa anticomunista. Non è possibile minimamente condividere quest’idea. Il 25 aprile è stato e rimarrà sempre la festa della fazione e dell’odio, comunque la si voglia camuffare. E’ ingiusto trasformarla in una festa anticomunista. A questa data sono inchiodate le responsabilità di tutte le forze partigiane non comuniste e dei decennni successivi di celebrazioni cielleniste dei partiti antifascisti volontariamente e vigliaccamente sempre succubi dei comunisti sino ai fasti eversivi e anticostituzionali dell’ “arco costituzionale”. Il 25 aprile è la festa delle mattanze. I francesi hanno buon motivo di disprezzare la faziosità dei politici  italiani che annegano le loro responsabilità e le loro false verginità nella distruzione di ogni valido principio di coesione nazionale. Oggi, nonostante gli equibri politici siano cambiati, non possono cambiare e non cambiano i riferimenti storici di date – simbolo. Noi ci ritroviamo con gli antifascisti che combatterono a Salò e per la RSI e con i giovani del regno che furono fucilati dal regio esercito per non voler combattere contro i fratelli del nord. Ci rintroviamo anche e nondimeno con quei partigiani che da anni e anni hanno smesso di partecipare alle vuote e gravissime retoriche resistenziali ed hanno posto fine a qualcosa che andava definitivamente storicizzato e riportato agli ambiti che gli sarebbero toccati e che gli toccano, non altro. Ricordiamo uno dei leader massimi della resistenza qualche anno prima della sua morte, azionista ed ebreo (non so se sionista). Egli ammise, sul Corriere della Sera, quello che mai sino ad allora era stato ammesso: dell’assoluta marginalità numerica dei “resistenti”: forse…80.000. Fermo rimane che gli aspetti assolutamente accidentali (assistere a gravissime ingiustizie, rappresaglie di diversa gravità, assassinii subiti in famiglia o da parte di parenti e di amici) poterono diventare e diventarono decisivi nella scelta di parte per non pochi degli italiani che andarono a combattere per l’una o per l’altra parte. Fermo rimane anche quello che mai è stato detto, quanti partigiani erano delle canaglie fasciste che cambiarono casacca diventando ancora più violente e fanatiche. E, su quello che mai è stato ancora detto, su quante furbe canaglie misero il fazzoletto partigiano al collo a cose fatte, intascando privilegi e pensioni. Bande di irregolari che andarono ad occupare i gangli dello Stato. Partitocrazia trifolca di partigiani divoratori del bene pubblico. Non si può perdonare a gente come Gianfranco Fini nulla su questo piano, a gente che ha fatto indietreggiare il dibattito storico e l’acquietamento passionale e politico-ideologico raggiunto finalmente in Italia ad anni e anni indietro, aprendo baratri solo nell’interesse di chissà che cosa… dello sdoganamento israelitico e del passaporto sionista? Queste canagliate sono non meno gravi di quelle dei “resistenti”, i vincitori vinti, o i vinti vincitori che dir si voglia. Non hanno fatto e non fanno l’interesse degli italiani, dell’Italia al di sopra delle parti. E il 25 aprile rimane e rimarrà la data della divisione più sanguinosa, giammai della liberazione. Non si possono scambiare vuoti simulacri per la cruda realtà, che  è quella delle lotte intestine, è quella dell’Italia sconfitta.
Con costoro ci abbracciamo e ci stimiamo da anni. E riusciamo anche a comprenderci, da anni. Per loro e per noi c’è prima e inanzitutto l’Italia, non ci sono le passioni di parte, gli odi della fazioni, i fanatismi interessati, la storia pressocché inventata e riempita di idoli distruttivi. Bande ormai sparute che ancora gozzovigliano ai piedi della Patria allora distrutta e sconfitta. E la chiamano liberazione. Festa mai sentita dagli italiani come qualcosa di proprio neppure nei dolorosi anni di primo postguerra, in cui l’antifascismo furoreggava fanatico e implacabile, sotto le azioni scellerate della “volante rossa” e i passaggi clandestini di partigiani criminali all’est organizzati dal PCI con le sue strutture clandestine asservite a Mosca. Moranino docet. A proposito di questi antifascisti, mai si è pensato da parte dei centri di storia partigiana, ad iniziare dagli Istituti Gramsci, di redigere un repertorio biografico dei partigiani ante 8 settembre 1943. In riferimento, poi, alla risoluzione approvata dal Parlamento Europeo il 2 aprile, sull’equiparazione fra fascismo, nazismo e comunismo, essa offende ogni più elementare buon senso. Fantapolitica e fantastoria. L’Unione Europea può e deve guardare soltanto al futuro, essa è nata soltanto per questo. Per affrontare la storia del recente passato, ci vorranno ancora decenni, forse due generazioni. Lasciamo stare queste buffonate senza limiti, che sul piano storico non hanno riscontro alcuno e rendono solo un servizio alla stupidità umana espressione di incoscienza morale ancora una volta al servizio dei pasticci pseudo “post” ideologici e dell’insensatezza del voler piallare a tutti costi allo stesso modo cose dissimili di cui non ci si perita per l’ennesima volta di cercarne le genesi. Genesi che inchiodano le responsabilità e i fallimenti clamorosi delle classi politiche liberali e democratiche dell’età del colonialismo e dell’imperialismo. In primis, quelle inglesi, francesi, statunitensi e… polacche. Non solo dunque quelle italiane e tedesche. Su tutto ciò, invece, aleggiano le tenebre dell’ignoranza imposta, dell’ignoranza voluta, dell’ignoranza interessata. Da qui, le carnevalate che riportano gli aspetti più truci di quegli anni da non dimenticare, che distruggono anche sul piano della storia delle dottrine politiche e della classificazione dei regimi il minimo barlume di ragione. E qui abbiamo non solo la responsabilità dell’egemonia culturale comunista, ma anche e non di meno, prepotente e sempre più arrogante e minacciosa, quella dei club sionisti. Domenico Cambareri

 


Per una concordia e per una autentica unità nazionale è necessario un 25 Aprile anticomunista

Il 25 Aprile è appena passato e la maggior parte degli italiani lo ha trascorso assieme alle famiglie in campagna, per nulla coinvolti da una data che in linea teorica è fondamentale per il nostro Paese.

Perché gli italiani non sentono questa festa? Quali sono i motivi?

Giampaolo Pansa che ha dedicato molta parte della sua vita giornalistica alla ricerca della memoria storica della Resistenza e della guerra civile del 1943-45 lo ha detto chiaro e tondo qualche giorno fa: “il 25 Aprile non è la festa di un popolo ma è la festa di un partito; questa data era diventata un’adunata della sinistra che copriva di insulti chiunque parlasse dal palco e non appartenesse al loro clan. Ecco perché l’ opinione pubblica negli anni aveva disertato questi appuntamenti. Perché non la sentiva più una festa nazionale”.

I comunisti per 65 anni hanno utilizzato questa data per alimentare una cultura di odio e di rancore. Su queste basi come poteva nascere l’unità nazionale e l’amore per la Patria?

Nei giorni scorsi, Franceschini ha invitato ai festeggiamenti del 25 Aprile Berlusconi, probabilmente, non perché fosse cambiato il clima, ma solo con il preciso intento di metterlo in difficoltà. Tutto prevedeva il segretario del PD tranne che il Presidente del Consiglio raccogliesse la sfida facendo saltare così un’altra “casamatta ideologica” e cioè, che questa data simbolica della resistenza antifascista rimanesse una riserva esclusiva della sinistra.

Il resoconto delle cronache del giorno dopo ci dicono che, tranne a Milano dove Formigoni è stato fischiato e a Roma dove Alemanno è stato sconsigliato dalla Polizia alla partecipazione, quasi tutto è andato liscio. Il  che significa che si è fatto un passo in avanti verso il processo di autentica unità nazionale.

Ma il cammino è ancora lungo perché l’Italia oltre che antifascista deve diventare anche anticomunista altrimenti non ci potrà mai essere una condivisione patriottica.

E’ vero che il 2 Aprile u.s. il Parlamento Europeo ha approvato una Risoluzione che equipara il comunismo, al nazismo e al fascismo ma questa risoluzione è arrivata 20 anni dopo la caduta del muro di Berlino e dopo quasi 65 dalla fine della guerra, ma soprattutto questa risoluzione non ha coinvolto emotivamente gli italiani.

Infatti è ancora troppo forte l’attrazione comunista in molti ambienti della nostra Nazione. Per rendersene conto basta frequentare qualche scuola e università e ascoltare non tanto gli studenti, che miracolosamente rifiutano il comunismo, quanto soprattutto i professori che essendo oggi di quella generazione che ha fatto il ’68, continuano a respirare e a vivere la nostalgia della falce e martello.

Peggio ancora accade in molti ambienti cattolici, spesso anche di piani alti, che lasciano  basiti per non dire scandalizzati la gente comune per la loro sfacciata contiguità con ambienti neo e post comunisti.

Come si può intuire quindi, il cammino di autentica unità nazionale è ancora lungo ma l’ottimismo deve regnare sovrano perché questo governo Berlusconi si sta segnalando positivamente anche su questo aspetto.

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