Disoccupazione & disoccupazione

Fonte: Destra per il sociale

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mercoledì 23 settembre 2009

La disoccupazione è una “bomba sociale” però la Casta continua a ripetere il solito catalogo dei luoghi comuni neo – liberisti (di Gino Salvi)

di Gino Salvi

E passato poco tempo, poco più si un mese, da quando ci hanno detto, trionfalisticamente, che l’inflazione era “a zero”. Peccato che, già alla fine d’agosto, i prezzi fossero di nuovo in risalita. Dopo questo “fuoco di paglia” ecco che, a settembre, si parla di “uscita dal tunnel della crisi”. Purtroppo anche quest’annuncio sir rivelerà un “miraggio”. Perché, proprio oggi, su Il Sole 24 Ore, ci dicono che la disoccupazione, in Italia, è arrivata “al 7,4% nel secondo trimestre dal 6,7% dell’analogo periodo del 2008”. Secondo l’Istat si tratta “del livello più alto degli ultimi tre anni”. Ovvero “rispetto al primo trimestre 2009, al netto dei fattori stagionali, il tasso di disoccupazione aumenta di un decimo di punto”. In parole povere, l’Italia ha perso, anzi abbiamo perso 378 mila posti di lavoro. Mentre il numero delle persone in cerca d’occupazione è salito a 1.841.000 unità. La disoccupazione morde, in percentuali differenti, sia al Nord (dal 3,8 al 5,0 per cento), sia al Centro (dal 6,4 al 6,7 per cento), sia al Sud (al 12,0 per cento) e riguarda, soprattutto, gli uomini a fronte d’una sostanziale stabilità per la disoccupazione femminile. Questa è la realtà. Da questa realtà che cosa possiamo trarre? Innanzitutto che i cosiddetti “spargitori di pessimismo” o “seminatori di vento” sono semplicemente delle persone che guardano alla realtà e che non si fanno delle illusioni. Secondo: i consumi continuano a stentare e, secondo Confcommercio, caleranno fino al 2013. Infatti “quest’anno e il prossimo anno caleranno infatti dello 0,6%”. Terzo: certi economisti, certi banchieri e anche certi politici (dico “certi” perché è sbagliato fare “di tutta l’erba un fascio”) devono uscire dal loro mondo ovattato di teorie neo – liberiste e comprendere che (perché poi la questione si riduce alla semplice economia domestica) se un lavoratore guadagna soltanto 1.300 euro di stipendio al mese ed ha due mutui sulle spalle, per gravi necessità familiari difficilmente poi potrà avventurarsi nella giungla dei consumi. Nonostante le “sirene” che gli proporranno gli acquisti più spericolati attraverso delle forme d’indebitamento come il prestito o la carta di credito “revolving”. Anzi, un lavoratore preoccupato da questa crisi tenderà, se gli è possibile, anche a risparmiare. Francamente quando sento dei commenti diciamo “specialistici” mi domando sempre se un economista prenda mai l’autobus per andare in ufficio o se un banchiere vada mai a comprare un etto di prosciutto o un litro di latte al supermarket. Io credo di no. Perché, altrimenti, non si spiegherebbero le contraddizioni infinite che aleggiano su questa crisi gravissima. Contraddizioni che dimostrano soltanto la palese difficoltà a comprendere sia le persone che stanno dietro ai numeri e alle cifre, sia che l’unica strada per uscire da questa crisi è prendere finalmente coscienza del fallimento sia del neo –liberismo, sia della globalizzazione. Non faccio “il tifo per la crisi”, come fa una certa sinistra, però so che con questo neo – liberismo e con questa globalizzazione dalla crisi non se ne esce. Dico soltanto, ed è una questione di puro e semplice buonsenso, che non è possibile chiedere ai cittadini di spendere nei consumi del denaro che non hanno e poi sorprendersi e ricercare altre complesse quanto inutili spiegazioni quando i consumi stessi calano. E’ indispensabile una politica vera, una politica nazionale, una politica dei fatti concreti che ci liberi da una “camicia di Nesso” che ci sta consumando. Una camicia di forza, intessuta di teorie economiche tanto rigide quanto fallimentari. Non è certo il momento giusto per sciorinare il classico catalogo dei luoghi comuni come deregulation, anatemi antiprotezionistici, antistatalismo, flessibilità, fino al paradosso della “crescita senza occupazione”. Sia chiaro. E’ certamente vero ciò che affermò, nell’ottobre del 2008, Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria e, cioè, che la questa crisi “non mina le basi del capitalismo”. Ma è altrettanto vero che gli autentici nemici di un sano capitalismo che abbia per pilastri l’uomo, il lavoro e il territorio, sono proprio il neo – liberismo e la globalizzazione. Come aveva preconizzato il politologo svedese Rudolf Kjellen (1864-1922), con la sua distinzione fra capitalismo “creativo” e capitalismo “usurocratico” e che, oggi, definirei “globalizzante”. Come spiegano benissimo, a titolo d’esempio, la vicenda italiana della Mivar e quella francese di Pierre Jallatte. La profonda differenza fra il capitalismo classico e la degenerazione neo – liberista è data dal fatto che in quest’ultima la centralità non spetta al polo “produttivo” rappresentato in Italia dalla piccola e media impresa ma, bensì, dal polo bancario – finanziario di per sé largamente improduttivo, a livello d’economia reale. Forse a qualcuno i termini “neo – liberismo”, “globalizzazione”, “globalizzazione finanziaria” sembreranno delle parole asettiche e, sostanzialmente, innocue. Non è così. “Neo – liberismo” significa stipendi e salari più bassi per i lavoratori, turni più lunghi e tagli alla sicurezza per gli operai nelle fabbriche. “Globalizzazione” significa delocalizzazione delle aziende e disoccupazione. “Globalizzazione finanziaria” significa speculazione e perdita dei propri risparmi. Come insegnano le recenti vicende dei cosiddetti “mutui subprime” e il fallimento della banca statunitense Lehman Brothers. Perciò le parole sono tutto meno che leggere. Dietro alle parole, possono esserci, abilmente camuffate, la povertà e, finanche, come insegna, la vicenda di Jallatte, la morte. Son altresì convinto che la battaglia contro il neo – liberismo, la globalizzazione sia economica sia finanziaria rappresenti una priorità per le forze politiche nazionali di destra. Al di là delle sigle partitiche. Se è vero com’è vero che la radice della politica è da ricercarsi nel dualismo amico – nemico, teorizzato dal grande politologo tedesco Carl Schmitt, allora fra i nemici pongo, oltre al marxismo, il neo – liberismo e la globalizzazione. Mentre fra gli amici, con altrettanta convinzione, metto un sano capitalismo, il lavoro, la Nazione. E voglio anche mettere in guardia coloro che considerano la lotta di cui sopra come una “battaglia di sinistra”. Non c’è nulla di meno vero. Come possono le forze politiche di sinistra dirsi, da un lato, contrarie alle tendenze neo – liberiste e globalizzatrici se, poi, le accettano sotto la maschera dell’immigrazione di massa dalla quale discendono l’abbassamento del livello dei salari e l’innalzamento degli affitti? Si tratta d’una contraddizione politica irrisolta, che ha portato la sinistra neo – comunista ad essere “incapacitante” nel periodo del secondo governo Prodi. Ma, al di là delle analisi e delle polemiche, soprattutto, vorrei che non si confondessero i responsabili della crisi (ovvero gli adepti della globalizzazione finanziaria) con le vittime (i lavoratori, le loro famiglie, le casalinghe, i precari, i pensionati, le giovani coppie) e facciamo sì che non siano le vittime a pagarla. Quelle vittime che il processo d’accumulazione neo – liberista vorrebbe gettare nella miseria dei “nuovi poveri”, insieme ai poveri di sempre.

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