Dopo il ritornello della crisi finita, è da chiedere come davvero uscire dalla crisi, con tutto l’entusiasmo di Silvio e nostro, e non scherziamo

23 Settembre 2009

Enea Franza

C’è crisi ! Come ne usciamo ?

 

Che la crisi non sia finita lo avvertiamo un po’ tutti, anche semplicemente girando per le città ed entrando nei negozi siano essi del centro che delle periferie di grandi e piccole città. I commercianti, per quando ci abbiano abituato a non prendere molto sul serio le loro lamentele, sono alla presa con minori vendite, minori incassi e con costi di gestione che, invece, rimangono rigidi.  Ma allora tutto il cianciare della e sulla ripresa… di che si discetta ?
Tutto parte dalla considerazione che è in ripresa il mercato immobiliare americano,  cioè sta riprendendo il settore che ha originato la crisi. Il mercato delle case (acquisti e vendite, ma anche affitti e locazioni) è un mercato molto particolare; poche transazioni (quelle degli scambi) fanno i prezzi per l’intero mercato. Essenzialmente per questo motivo è un mercato molto sensibile alle bolle speculative. Poi, ad ingenerare in tutti la sensazione (certamente positiva) che ci stiamo avviando verso una situazione migliore, contribuisce la ripresa dei prezzi delle materie prime necessarie a produrre. Poi sono in crescita (soprattutto in Usa ed Europa) gli indici che misurano la fiducia dei  responsabili degli acquisti e delle imprese manifatturiere.
La crisi invece, a mio avviso non è affatto passata. E per capirne il perché bisogna partire dai motivi che  hanno generato la crisi stessa. Secondo alcuni, la crisi attuale  ha le sue cause nell’eccessiva rapidità dello sviluppo della globalizzazione[1] che non ha permesso la elaborazione di un complesso di regole minimali certe, condivise e rispettate da tutti i partner in materia di politiche del lavoro, di rispetto dell’ambiente, di tutela della famiglia, di sanità ecc. Viceversa, di ciò non si occupano gli accordi in sede WTO, che impegnano indistintamente tutti gli Stadi aderenti  a garantire verso gli altri membri dell’organizzazione lo “status” di “nazione più favorita” (most favourite nation): le condizioni applicate al paese più favorito (vale a dire quello cui vengono applicate il minor numero di restrizioni) sono applicate (salvo alcune eccezioni minori) a tutti gli altri stati. Peraltro, a differenza di quanto avveniva in ambito GATT, il vecchio accordo sul commercio mondiale, con cui il WTO condivide l’obiettivo dell’abolizione o della riduzione delle barriere tariffarie al commercio internazionale, oggetto della normativa del WTO sono, però, non solo i beni commerciali, ma anche i servizi e le proprietà intellettuali. In pochissimi anni (dal 1994 costituzione del WTO ad oggi gli aderenti sono passati da 76 Stati originari del GATT, agli attuali 153  tra cui ci sono l’India, Brasile e la Repubblica Popolare Cinese).
Inoltre, le politiche economiche adottate per contenere la situazione che sembrava avviata verso un punto di rottura, ed in particolare le azioni anti-crisi coordinate e concordate a Washington e condivise anche dalla U.E.[2], si sono realizzate semplicemente attraverso il semplice trasferimento degli “asset malati” di grandi banche internazionali agli stati nazionali[3].
Ciò è stato fatto per salvare il debole meccanismo della fiducia minato alle fondamenta dalla montagna di promesse di pagamento messe in circolazione dalle banche (soprattutto americane)  e che, allo scoppio della crisi, erano con la certezza di non essere più onorate a scadenza[4]. Tuttavia, adesso che non si parla più di titoli tossici non vuol dire che essi si siano improvvisamente volatilizzati o siano divenuti ottimi titoli ! Il debito quindi rimane tutto in piedi.
E’ cambiato in verità il creditore: gli Stati nazionali in luogo delle banche. Sicuramente in quanto enti sovrani, gli Stati risultano (nella percezione comune)  più stabili di tante banche, ma il debito è rimasto inalterato nel suo ammontare. Anzi la crisi, come ho già troppe volte evidenziato su queste pagine, di per sé ha contribuito ad aumentare la pressione sugli Stati, aumentandone il debito.  
Peraltro, i dati economici mostrano che gli eccessi di leva (ovvero gli eccessi di impieghi delle banche sul loro patrimonio), gli squilibri nella governance nella finanza internazionale (esempio i paradisi fiscali), il deficit di regolamentazione (basti pensare che più dei ¾ delle contrattazioni su titoli avvengono fuori mercato tra le sei più grandi banche del globo) e le politiche troppo permissive (vedi bonus ai manager ed la generale impunità dei reati finanziari) non hanno a tutt’oggi subito alcun freno ed anzi, vecchie pratiche, come le operazioni allo scoperto in prodotti derivati e cattivi costumi adottati dalle banche nell’erogazione del credito sembrano essere riproposte dalle stesse: in altri termini la lezione non sembra essere stata metabolizzata dai grandi banchieri che continuano (e continueranno) a fare business nello stesso modo come lo facevano prima della crisi … né di più né di meno, come se nulla fosse successo.
Se la crisi è nella globalizzazione, o meglio nelle vorticose modalità di realizzazione, la via di uscita non può che essere, allora, coordinata a livello globale in una sede che sicuramente deve essere più ampia dell’attuale G20, che solo per fare un esempio non raccoglie importanti paesi Arabi e dell’Africa.
Su questo il nostro Paese può fare da stimolo ponendo ad alta voce i problemi e suggerendo vie d’uscita nei consessi internazionali, ma certamente non può fare di più … !
Peraltro, a ben vedere, la situazione italiana è peculiare. La crisi economica, che ha colpito duramente le economie occidentali, sembra aver colpito meno aspramente il nostro Paese: se pur entrati malissimo (es. alto deficit pubblico), le nostre grandi banche, che nei fatti condividevano con le banche estere lo stesso modello di business, hanno tuttavia avuto a che fare con attivi più buoni, che le hanno salvate dalla crisi.
Ciò nondimeno la forte riduzione del commercio internazionale e la crisi di liquidità ha penalizzato le nostre esportazioni ed i consumi interni  causando una sensibile contrazione del PIL. Ma il debito pubblico, pur incrementatosi, è cresciuto meno rispetto a quello degli altri paesi occidentali e, comunque, è stato messo al riparo dall’enorme risparmio privato.
Spieghiamo meglio, quali sono state a nostro parere, le motivazioni della tenuta del nostro Paese.
In poche parole, potremmo individuare i seguenti punti di forza del sistema Italia nei confronti della crisi. In fondo si tratta di caratteristiche che fino a qualche tempo fa sono stati  considerati da molta letteratura economica punti di debolezza, cioè: poca economia finanziaria; una forte presenza dell’industria manifatturiera; presenza di molte piccole imprese sparse sul territorio; un mercato del lavoro flessibile per la presenza di un forte lavoro sommerso; molto risparmio; un sistema bancario radicato sul territorio; un paese che soffre del c.d. “mal di mattone” e che caratterizzato dall’ avere 85% delle famiglie con case di proprietà; forte presenza dello Stato nell’economia (economia di tipo misto).
Inoltre, ha contribuito certamente l’azione del Governo giocata molto  sull’impatto mediatico, di annunciati interventi a garanzia delle crisi di liquidità delle grandi banche corroborata da una accorta politica di moral suasion, da aumenti di capitale, ed dalla previsione di titoli a garanzia delle banche in difficoltà, nonché con il finanziamento della “cassa integrazione” e di azioni di sostegno consumi.  Tali politiche nell’immediato hanno avuto certamente un impatto di stabilizzazione e di allontanamento della crisi indotta dal panico che ha pervaso l’economia globale la scorsa primavera, ma sono insufficienti a garantire una qualche possibilità al Paese per adeguato sviluppo futuro.

[1]

Molto stimolante la ricostruzione del Ministro Tremonti che racconta come in 20 anni (1989 -2009)

[2]

Almeno nella parte della Presidenza Francese.

[3]

Mi riferisco ai mutui subprime e agli altri titoli c.d. tossici in pancia di banche come Citibank, Merril Lynch, Goldman Sachs ecc.

[4]

Ne “La Grande Truffa” – Aiel Editore, cerco di spiegare cosa in effetti sia avvenuto;

 

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