Liberazione & liberatori. La Ciociaria, Cassino e la belva di Alphonse Juin

25 Aprile 2010

Mario Di Febo

 

Via la lapide d’onore dedicata a Juin da san Luigi dei francesi a Roma, via il suo corpo dall’Hôtel des Invalides a Parigi

Le atrocità di cui Mario Di Febo scrive sono state riconosciute in convegni internazionali di studi storico-militari in anni recenti. I francesi tentarono appena e, probabilmente, maldestramente, di negare quello che era impossibile negare. Diversi anni addietro, avevo progettato di fare scoppaire uno scandalo politico e storico.  Ma poi, gli imprevisti della vita, nel mio caso legate alla mia salute, mi hanno portato, sino ad oggi a non realizzare quel progetto. Quale era? Quello di distruggere la lapide che nella chiesa di san Luigi dei Francesi a Roma (ad angolo con l’ingresso laterale posteriore del Senato della Repubblica a Roma, e con a fianco il centro culturale francese) “onora” la belva di Alphonse Juin. I governi e i parlamenti francesi, i capi di stato maggiore dell’esercito francese, tutta l’Armée e tutte le Forze Armate francesi si sarebbero dovuti sentire e dovrebbero ancora oggi sentirsi profondamente feriti nell’onore per gli atti di cotanta bestialità contro la popolazione civile italiana. Ma anche questo fa parte delle fulgide pagine della liberazione…. Oggi, toccherebbe più che mai al governo italiano, in uno con il Capo dello Stato, rappresentante del popolo e capo delle Forze Armate, chiedere al governo francese la rimozione di tale lapide di esaltazione di un crimine inespiabile, che offende le vittime italiane e ogni espressione di virtù guerriera. E la rimozione dall’Hôtel des Invalides del corpo di tale sciagurato criminale. Chiediamo ai massimi vertici istituzionali di Parigi e di Roma un grande scatto di dignità e di salvaguardia dell’onore dei due popoli . E di salvaguardia della civiltà europea. Anche dopo tanti anni. Domenico Cambareri

 

Alphonse Juin

Si posizionò con le sue truppe durante le battaglie di Cassino nella zona più vicina alla costa tirrenica della linea Gustav. Da diverse fonti è pervenuto un suo comunicato, alla vigilia dell’attacco del 14 maggio 1944, alle truppe marocchine, i cosiddetti goumiers della divisione del generale Dody e della divisione del generale Guillaume:
« Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete »
 
L’invio di tale comunicato fu confermato dai fatti. Nelle ore successive allo sfondamento della linea Gustav, settemila soldati marocchini, liberi dal comando, si avventarono su un’ampia area delle provincie di Frosinone e di Latina devastando, razziando, uccidendo, violentando. Le conseguenze furono spaventose: secondo le fonti ufficiali furono stuprate più di duemila donne dagli 8 agli 85 anni. Furono sodomizzati all’incirca ottocento uomini; tra di essi anche il prete di Santa Maria di Esperia, don Alberto Terrilli, che morì poi per le ferite. Le vittime vennero rozzamente definite “marocchinate”. Poi furono uccisi impalati gli uomini che cercavano di proteggere le donne e i bambini. Fu razziato il 90% del bestiame. Testimonianze ricordano come truppe canadesi, uscendo dalla loro area di competenza, intervennero riuscendo a fermare in parte lo scempio su richiesta della popolazione in fuga. Quando la notizia si diffuse il Vaticano chiese ufficialmente che le truppe franco-maghrebine non entrassero a Roma.
Alberto Moravia scrisse il romanzo La ciociara su questi fatti e Vittorio De Sica lo tradusse nell’omonimo film con Sofia Loren.
Il generale Juin divenne dopo la guerra capo di Stato Maggiore della Difesa nazionale e dal 1951 fu comandante per il centro Europa della NATO. Alphonse Juin, malgrado non parteggiasse per Charles de Gaulle, non sostenne il colpo di Stato dei generali. Morì il 27 gennaio 1967 e fu sepolto all’Hôtel des Invalides.

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