Economia dello sviluppo e paradosso italiano

29 Aprile 2010

Alberto Savastano – Politiche e metodologie dello sviluppo

alberto.savastano@libero.it

PARADOSSO ITALIANO

 

L’ Economia dello Sviluppo prevede che la crescita economica e sociale di un Paese, l’ incremento del PIL – ovvero, lo Sviluppo – si ottengono attraverso la corretta mobilitazione dei fattori i produttivi (Natura, Capitale e Lavoro) la quale si rivela essenziale per accertare se i progetti d’ investimento pubblici e privati, produttivi, infrastrutturali e sociali, siano o meno in grado di produrre sufficiente “surplus di valore” o “valore aggiunto” e quindi “redditività” finanziaria e sociale.
L’Economia dello Sviluppo prescrive, altresì, che la redditività debba essere ricercata e quantificata preventivamente perché esistono progetti fisiologicamente non redditivi, nei confronti dei quali ogni intervento posto a supporto, dopo la loro realizzazione, si rivelerà inesorabilmente vano.
Quanto sopra si rivela particolarmente utile per analizzare la complessa crisi economica che travaglia, oggi, il nostro Paese.
Dall’autunno 2008, a causa dell’inondazione di titoli tossici liberati dalla bolla speculativa dei mercati finanziari internazionali, a livello globale, si sta vivendo l’ incubo di drammatici sconvolgimenti dei Fattori produttivi con consequenziali sfondamenti e scardinamenti delle finanze e delle economie nazionali.
 Allo scopo di proteggere il Paese da tali sciagurate evenienze, il Governo italiano intervenne con tempestività, anzi in anticipo rispetto a tutti gli altri Paesi, con l approvazione del Decreto legge 185/2008, “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale” di cui tutti ricordiamo l’eco dell’encomiabile spirito di solidarietà umana e sociale con i quali tale Decreto legge fu annunciato: : “Nessuna risparmiatore perderà un euro, nessun lavoratore perderà il posto, nessuna banca fallirà, il sistema bancario e le imprese saranno rifinanziati per impedire che – a causa degli effetti negativi prodotti dalla bolla speculativa dei mercati finanziari internazionali – il circuito Banca-Impresa possa entrare in crisi con gravi ripercussioni sul sistema produttivo, occupazionale e, quindi, sull’Economia reale.
 Con l’evolvere degli eventi, tuttavia, grazie anche a tale lungimirante Decreto, la solidità della situazione finanziaria ed economica del Paese può essere misurata dalla reale consistenza dei suoi Fattori produttivi. FATTORE NATURA: I prodotti del suolo non mancano mentre siamo carenti di materie prime del sottosuolo che importiamo. Tradizionalmente, comunque, abbiamo ottemperato a tale insufficienza considerando i costi delle stesse come dei “trasferimenti “cioè come oneri da far “slittare” sui prezzi di vendite dei prodotti finiti.
IL FATTORE CAPITALE: Il Sistema bancario nazionale presenta molta liquidità perché avendo effettuato un ridotto ricorso al mercato dei titoli tossici non ha subito perdite di rilievo. La consistenza del risparmio delle famiglie ci viene invidiata all’estero. Le Banche hanno bisogno di rafforzare i loro patrimoni (Basilea 2) ma si sentono in forze e, comunque, i T-Bond, prudentemente deliberati con il Decreto di cui sopra sono sempre disponibili .
IL FATTORE LAVORO: le risorse umane non mancano e il loro livello qualitativo e di specializzazione è buono. La crisi economica in corso ha creato molta disoccupazione alla quale, tuttavia, il Governo sopperisce con generosa Cassa integrazione.
Paradossalmente, però, malgrado la sostanziale tenuta dei Fattori produttivi, l’ Italia versa in una grave crisi economica. Posta in questi termini, si tratta, di una crisi difficile da accettare malgrado le spiegazioni di molti, peraltro accreditati, osservatori che, di fatto, si rivelano poco persuasive.
1. Effettivamente, l’ entità delle oscillazioni positive e negative della serie storica della domanda di consumi interni non è tale da rappresentare la causa o una concausa significativa dell’attuale livello di crisi economica del paese;
2. Le Esportazioni “non vanno così male per l’Italia, se i dati (Guido Tabellini e Giorgio Barba Navaretti; Marco Fortis, rispettivamente su Il Sole 24 Ore del 2 e del 6 aprile u.s.) mostrano che le quote di mercato italiane hanno tenuto meglio di quelle di altri Paesi
3. Lo squilibrio dei mercati internazionali da prezzi sleali e troppo bassi praticati dai Cinesi è un dato di fatto, ma la natura strutturale del fenomeno più che essere imputabile alle logiche ed alle dinamiche proprie del mercato (sul quale, tuttavia, si riflettono le ricadute negative ) vanno individuate ed imputate al malgoverno delle relazioni politiche bilaterali (tutela speculativa degli interessi egoistici nazionali anteposti alla dovuta severa condanna delle iniquità sociali di quel Paese) e multilaterale (imperdonabile inosservanza da parte di alcune Organizzazioni internazionali delle specifiche finalità e dei precisi ruoli istituzionali loro affidati dalla Società civile internazionale per armonizzare la concertazione internazionale sulla corretta applicazione delle regole del Commercio, del Lavoro, dell’ Ambiente ecc.)
E’ in questa direzione diplomatica e governativa che bisogna operare prioritariamente per ricercare i nuovi equilibri dei prezzi; nel frattempo – sul mercato – bisogna continuare a starci; combattendo ulteriormente!
Negli anni ’60, l’Italia edifico il “Miracolo economico” superando ostacoli ben più complessi di quelli attuali, quindi, a meno che non si ritenga che le difficoltà di mercato in cui ci dibattiamo siano insostenibili e, che sia, conseguentemente, il caso di “fermare le macchine e chiudere tutto”, sarà bene stringere i denti e continuare ad esplorare nuove direzioni e nuovi prodotti, senza dimenticare mai che in economia le variabili di mercato costituiscono, da sempre, una costante e che, in quanto tali, vanno tecnicamente solo aggredite e dominate.
Nel profondo rispetto dei risultati degli studi condotti sulla grande crisi da parte di prestigiose Istituzioni internazionali quali l’ OCSE, il Financial Stability Forum ecc e/o degli autorevoli pronunciamenti espressi sullo stesso tema da altrettanti autorevoli osservatori che imputano la causa prima della crisi : “ … al rallentamento ormai ventennale del tasso di crescita della produttività sia del lavoro che dell’insieme dei fattori produttivi ”..al processo decisionale per l’allocazione delle risorse (Guido Tabellini e Giorgio Barba Navaretti il Sole 24 Ore del 2/4/2010”, ritengo che la soluzione della crisi passi obbligatoriamente per il rispetto integrale delle regole dell’ Economia dello Sviluppo e, più specificatamente per l’applicazione sistematica e generalizzata delle metodologie del valore aggiunto e della redditività.
Una giustificazione plausibile della grave crisi potrebbe essere individuata nell’indisponibilità di Fattori produttivi ma ove ciò non sussiste, come, di fatto, è per l’Italia, la responsabilità della Politica ai appalesa in tutte le sue aggravanti. L’Economia dello Sviluppo, infatti, non individua la crescita economica nella mera detenzione dei Fattori produttivi bensì nella capacità di mobilitarli correttamente al fine di produrre valore aggiunto e redditività soddisfacenti per accrescere produttività e PIL.
L’ Italia, purtroppo, fin dall’ immediato dopoguerra – tranne alcuni tentativi soffocati sul nascere – non ha mai applicato le Metodologie dell’Economia dello Sviluppo ed ha conseguentemente esposto i progetti d’investimento realizzati ad elevatissimi rischi di insuccesso e conseguente imperdonabile sperpero delle risorse finanziarie agli stessi allocate.
Conclusivamente, la mancata crescita del PIL e dello Sviluppo non può essere, superficialmente, ricondotta alle sole interferenze del malaffare ma anche e soprattutto alla – spesso complice – mancanza di una cultura e di una corretta professionalità in materia di analisi preventiva degli investimenti. La Politica dovrebbe tradurre in obbligo l’impiego di tali metodologie e le Parti sociali – Guru storici dello Sviluppo economico e sociale del Paese – abbandonare lo sterile, improduttivo ed egoistico tiro della coperta e puntare sulla crescita del PIL favorendo il recepimento, la diffusione e l’applicazione sistematica e generalizzata delle “Metodologie del “Valore aggiunto” e della “Redditività”

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