Satira e versi amari: il turpe Gianfranco, ovvero tutta una carriera politica senza coerenza e senza responsabilità morale

16 Agosto 2010

Giuseppe Spadaro

 

LA BALLATA DEL TURPE GIANFRANCO

Abbiamo ricevuto già da tempo questi versi dello scrittore Giuseppe Spadaro su Fini. Le occasioni di pubblicarle non sono mancate mai, come ogni lettore può ben intuire, ma abbiamo sempre soprasseduto con il suo consenso. Adesso, dopo gli ultimi ininterrotti misfatti che abbiamo visto essere consumati sulla scena della politica nazionale, causati quasi sempe dal “turpe Gianfranco”, riteniamo utile farlo. Anche perché non serpeggia soltanto ma è effettivamente esplosa in tanti italiani di qualsiasi estrazione politica l’amarezza e la rabbia per il comportamento di quest’uomo, che può ben essere additato come il sicario numero uno della politica italiana, avendo superato l’altro “Pinocchio” (così Gianfranco chiamava Massimo) delle scene nostrane. Satira amara che ha ripreso a tambureggiare con gli e-mail di amici e non amici. L’invito espresso da altri, che qui risparmiamo di rivolgere ai lettori, è quello di inviarlo direttamente all’interessato. Eulà.

 

Passa un giorno, passa l’altro
imperversa il vil Gianfranco,
non sappiam se perché è scaltro
o perché figliuol d’un can…Ora è il primo della classe,
come aveva allor sognato
quando bischero a Bologna
l’avean dà per ritardato.Disquisisce, puntualizza,
sentenziando a tutto spiano,
e pensar che, bene o male,
ha fatto solo il Magistrale.Volea far l’americano,
e vedersi “i Mercenari”,
ma a Bologna non è aria
di far tanto i temerari…Da Bologna arriva a Roma,
smilzo, insipido ed afflitto,
chiuso in camera d’affitto
a studiarsi il manuale…Eja, Eja, Alalà!
para qua e piglia là…
stendi il braccio, apri la mano:
ha imparato il saluto romano.

D’ingegnacci non è priva,
ben si sa, la Capitale,
ma al furbastro è decisiva
la Repubblica Sociale.

Il sociale, d’ora in poi,
se lo ficca nel DNA,
e con ènfasi bestiale
lo racconta ovunque va…

Impara poi “Boia chi molla!”
e prché no? anche W il Duce!
A tenersi stretto il culo
è diventato un paraculo.

E daje de tacco e daje de punta
pranza assieme a Donna Assunta,
poi il sociale, tutto pimpante,
lo recita pure a Giorgio Almirante.

Il gioco è fatto: rien ne va plus!
Lo scilinguàgnolo non gli difetta,
doppiopetto e cravatta blu:
la carriera già lo alletta…

Mai però in camicia nera:
porta sfiga alla carriera!
E prima o poi s’ha da rinnegare
‘sta Repubblica Sociale…

Con D’Alema han fatto il patto
di non dirsi l’uno all’altro:
Tu sei Questo e Tu sei Quello,
non torniamo al manganello!

Ma Gianfranco al Quirinale,
folle di brama vuole arrivare,
anche a costo di rinnegare
perfino la Repubblica Sociale…

Or D’Alema è triste e stanco:
non ce la fa con quel Gianfranco!
Vuoi veder che quel fetente
mi diventa Presidente?

Che burrasca, un temporale,
veder Fini al Quirinale!
Ma il Compagno non rinnega,
non rinnega il buon D’Alema…

E se i vivi son fregnoni,
non può dirsi anche dei morti:
“Non rompeteci i coglioni,
noi quassù siamo i più forti!”

“E’ da mo’ che in quest’Empireo
siamo già pacificati,
ora questo fregno buffo
ci vorrebbe abbaruffati…”

Morti rossi e Morti neri
si radunano a Congresso:
“Non vogliamo questo fesso,
non ci può rappresentare!”

“Che giustizia venga fatta
contro un verme di tal fatta!
Invochiam dal Padreterno
che lo butti giù all’Inferno…”