Berlusconi e Bersani si prendono a testate?

24 Agosto 2010

Domenico Cambareri

Per una svolta della crisi

 

L’ininterrotta sequela di attacchi e di contrattacchi polemici tra finiani e PdL e la corona di fango che sui media li accompagna con fatti politici e di natura personale in cui l’immagine dei protagonisti è fatta a pezzi. Il linguaggio usato che offende oltre ogni limite l’espressione del contrasto politico e porta le contumelie a un grado di rozzezza visto sono durante gli anni più ringhiosi degli antiberlusconiani. Le minacce reiterate, velate e non, dimostrano che Bocchino, Granata e Briguglio sono incontrastati attori della scena in cui dissennatezza verbale e insensatezza politica fanno tutt’uno. Tutto questo dimostra che lo stillicidio a cui Fini ha sottoposto il governo ha portato a un dissanguamento generalizzato. A poco e nulla è finora servito il ruolo, a volte egregio, di maggior realismo espresso sul terreno delle dichiarazioni da Moffa e talora da Urso. Nulla si nota di dichiarazioni di parlamentari che potrebbero dare un impatto meno catastrofico, almeno sul piano emotivo, ai cittadini più diversi nel dare manforte ai Moffa, non meno vicini a Fini dei primi, come La Morte, Valentino, Berselli, Malgieri, Perina, Siliquini. Si dirà che poiché è guerra aperta con Berlusconi, nei primi e più focosi cimenti conviene mandare subito all’assalto gli sfrenati. Non so se è una logica che paga e che pagherà bene. Men che mai quella di Luca Barbareschi, uno dei tanti gratificati da Fini che pensa a creare il culto della sua immagine ma non so a cosa sia servito e a cosa serva in politica.
Il dato di fatto è uno, indiscutibile, al di là dell’ultimatum di Berlusconi sui punti di programma (giustizia, mezzogiorno, fisco, federalismo, sicurezza). Al di là dalla fantasmagorica e pusillanime risposta di Bocchino. La maggioranza non esiste più.
Unica possibilità, prima del ritorno al voto, è quella di esperire, su valutazione del Quirinale, un governassimo a due, tra Berlusconi e il PD di Bersani, per un governo politico di salvaguardia degli interessi primari e non di settori e di giungle del Paese. Ma, per fare questo, ci sono diversi prelimari: oltre a volerlo tutti e due gli attori, i punti devono essere concordati e apertamente andare contro la storia delle solidificate difese di gruppi e ceti (le “rendite politiche” del palazzo delle autority della Rai etc…) e contro le campagne pubblicitarie politiche di scelte dissennate, quali il “no al nucleare” , il sì al federalismo che fa l’occhialino alle regioni a statuto speciale, che invece andrebbero abolite. D’altronde, non ci può essere, a nostro, avviso, un governo di alcun tipo che non sia a giuda Berlusconi.
In questo, le innovazioni legislative apportate a più riprese dal 1994 in poi dovrebbero temperare le interpretazioni del dettato costituzionale in materia di prerogative presidenziali. Esse rimarrebbero fatte salve entro il limite legato dalla scelta operata dagli elettori: che, cioè, il Presidente della Repubblica potrebbe e dovrebbe perseguire qualsiasi via realizzabile purché il premier incaricato sia sempre quello che è uscito dalle urne o, in alternativa, un nome da questi indicato purché gradito dal Quirinale. Non altre possibilità, se non il ricorso alle urne per una o tutte e due le camere. Qui non vi è alcuna operazione di ingegneria costituzionale artificiosa e pasticciona, ma vi è la coerenza del voler perseguire la tendenza delle trasformazioni materiali e formali in essere nel Paese da molti anni, su cui ci siamo più volte apertamente espressi rivendicando un maggiore ruolo sia alla carica del presidente del consiglio sia a quella del capo dello Stato. Su ciò, è bene ricordarlo, abbiamo sempre appoggiato le esternazioni presidenziali rivolte alle camere quando invece in tanti, ad iniziare dall’ex presidente del Senato, Pera, hanno mosso rilievi e giudizi affatto negativi verso il Quirinale.
Non riteniamo possibili e perseguibili altre strade. Berlusconi con la Lega e senza i finiani non raggiunge una maggioranza parlamentare e sarebbe comunque alla totale mercé del club dei terroni dei borghi subalpini, rinomati sponsorizzatori delle moltiplicazioni infinite delle pseudo dirigenze federaliste. Con i finani e la Lega, il governo continuerebbe ad essere un colabrodo e un danno per la Nazione. Sarebbe un ammalato terminale senza più il minimo controllo sul proprio corpo. Per di più, se venisse associato il CCD, la cosa non cambierebbe ma aggraverebbe i problemi. Gli ex dc di Casini e la Lega di Bossi sono uguali e contrari. D’altronde, in anni e anni di governo, sino ad oggi, la Lega ha perseguito una linea drammaticamente involutiva. Essa si è innervata nella logica del potere romano e delle regioni come e più degli altri partiti, ma ha operato con scelte “ad escludendum” che pesano ogni giorno di più proprio sulle autonomie comunali e provinciali schiacciate dal peso del potere e del parassitismo esercitato dalle regioni mini-stati.
L’idea dei governi tecnici, salvo scenari particolarmente accentuati, dovrebbe appartenere definitivamente al passato. Altre vie non ci paiono affatto percorribili. Rimane effettivamente solo il ricorso alle urne. Oggi però non sappiamo a cosa potrebbe servire. Se del buon sale potesse all’improvviso dare del senno in più a Berlusconi e a Bersani, si potrebbe aprire uno spiraglio del tutto inaspettato, finora inconcepibile sul piano dei veti reciproci. L’urgere di una crisi senza sbocchi impone tuttavia scelte molto coraggiose e lucida intrepidezza ai capi dei due maggiori partiti. Ma sia l’uno che l’altro saprebbero liberarsi dai tanti squali che li circondano e dagli amici amiconi che li vogliono pilotare come finora hanno fatto?