Individuiamo le cause del nuovo assalto della crisi e agiamo, subito

21 Settembre 2011

Enea Franza

 

E’ questa una crisi diversa da quella del 2008 ? Perché?

Bisogna assumere nuove, radicali decisioni per fronteggiare le origini della crisi – Dare uno stop alla mondializzazione selvaggia del mercato del lavoro e alla concorrenza sleale delle esportazioni su cui il WTO nulla può fare e regole obbliganti al sistema finanziario occidentale che frusta e funesta senza tregua società e governi – Redistribuzione mondiale della ricchezza occidentale: quanto si potrà reggere ancora? – Se necessario, proteggere la credibilità dei “pagherò” del debito pubblico con il riappropriarsi del diritto di battere moneta.

 

 

Gli economisti sottolineano alcuni grandi differenze tra la crisi di tre anni fa e quella di oggi. Essi ritengono che le due crisi hanno origini diverse.
La crisi del 2008, sostengono, cominciò dal basso, dagli ottimisti che compravano le case grazie ai prestiti delle banche, mentre la crisi che stiamo vivendo è iniziata dall’alto. L’interpretazione prevalente sostiene che i vari governi, incapaci di stimolare le loro economie, hanno gradualmente perso la fiducia delle comunità finanziarie. Tale fatto, la perdita di fiducia e non altro, ha causato una progressiva riduzione negli investimenti privati, che di conseguenza ha alimentato disoccupazione e tassi di crescita bassi. I mercati e le banche in questo caso sono le vittime, non i carnefici.
Un’altra ipotesi che gli economisti più accreditati ripetono e che forse gode della più vasto consenso è che negli anni immediatamente precedenti la crisi del 2008, le imprese finanziarie e immobiliari avevano approfittato della crescente facilità nell’ottenere crediti. Quando scoppiò la bolla, il pesante intervento per diminuire i debiti che si rese necessario causò una pesante crisi recessiva.
Fin qui la ricostruzione di quello che è successo nella crisi passata. Questa volta, tuttavia, il problema sembra essere opposto. La stagnazione economica ha spinto aziende e privati a mettere al sicuro i propri risparmi, causando una forte riduzione dei consumi e della crescita.
La terza differenza costituisce un corollario delle precedenti ipotesi. Date le premesse, la crisi del 2008 ebbe una sola semplice (ma azzardata) soluzione: l’intervento dei governi per fornire liquidità a tassi d’interesse bassi e il rifinanziamento delle banche. Non fu certo facile perché costrinse tutti i cittadini dei vari paesi colpiti a pagare per gli errori altrui, ma alla fine, secondo gli economisti, evitò una depressione economica globale. Oggi una risposta di questo tipo non è possibile: i problemi non dipendono dalla mancanza di liquidità, ma dalla mancanza cronica di fiducia degli attori del mercato finanziario nella capacità dei rispettivi governi di far ripartire l’economia.
Se le cause sono queste, la soluzione è pressoché delineata. Per uscire da questa crisi, non basterà un’iniezione di nuovi capitali nel mercato, ma sarà necessario aspettare che i mercati abbiano recuperato fiducia, o che i governi abbiano preso misure significative per rilanciare l’economia. Ma ci vorrà molto tempo.
Noi pensiamo che le cose stiano diversamente. Il problema è determinato anche da un fatto sottaciuto o considerato del tutto ininfluente da molti economisti e politici: l’enorme pressione esercitata sull’Occidente dai flussi migratori altamente professionalizzati connessa con la globalizzazione finanziaria ha avuto il duplice effetto di ridistribuire la ricchezza dell’Occidente verso settori improduttivi quali, in primo luogo, la rendita immobiliari ed i titoli a reddito fisso e di penalizzare la middle class. Inoltre, le competizioni delle maggiori economie emergenti e il loro espansionismo ininterrotto (“Bric”, Sud Africa, Turchia), che tendono a ridurre in maniera permanente le capacità di esportazione dei maggiori Paesi occidentali anche in settori produttivi legati alla tecnologia, i debiti sovrani delle nazioni occidentali, le ulteriori speculazioni proprie al sistema finanziario e capitalistico mondiale che colpisce al cuore gli Stati occidentali, e accentuano le fasi di stagnazione e di perdita di incisività nelle decisioni assunte dai governi, contribuiscono a fare il resto.
Colpiti al cuore lo spirito animale del capitalismo e la borghesia media e minuta, gruppo sociale che interpreta meglio la laboriosità dell’Occidente – schiacciata tra il capitale finanziario e le masse di nuovi lavoratori provenienti dai flussi di migranti disposti a lavorare in condizioni di precarietà e di sudditanza -, il beneficio della nuova ricchezza prodotta è andato al solo capitale ed in particolare alle Banche ed al loro management.
Visto sotto questa luce interpretativa, si intravede una via di uscita. Essa consiste nella riappropriazione del controllo dell’immigrazione “concorrenziale” e della riappropriazione delle ricchezza della nostra nazione e delle nazioni occidentali a noi strettamente legate nella e con l’UE, con fenomeni di interdipendenza politico-economica ineliminabili e al momento estremamente onerosi perché diventati succubi delle anzidette dinamiche lasciate a guidare in maniera selvaggia le scena economica del mondialismo di un libero mercato senza più controlli e freni. Oggi, la nostra ricchezza in crisi è malamente distribuite tra rendita immobiliare e rendita finanziaria.
Qualora queste misure da applicare in maniera decisa e robusta non dovessero risultare adeguate a contenere e contrastare i fenomeni macroeconomici che hanno accentuato la destabilizzazione e il grado di riflusso delle economie occidentali e di quella italiana, allora per noi italiani – anche e strumentalmente a causa dell’enorme debito su cui la finanza mondiale, specie speculativa, ci stringe da presso in maniera soffocante – diverrà più stringente la necessità di dover riconsiderare la permanenza nell’euro e tornare alla riappropriazione del diritto di battere moneta.
Decisione ultima ed estrema che però non ci vede tra coloro che affermano e che affermeranno che l’Unione Europea è avviata al tramonto. Ma, realisticamente, ad una forte e inevitabile battuta d’arresto sul piano dell’unione monetaria, la cui durata più breve sarà, più da noi sarà salutata con rinnovato slancio di europeismo convinto e spirito fattivo di alacre rimessa in moto di tutti meccanismi comunitari, rinnovati rafforzati e finalmente immunizzati dal superamento di questa irta e disperante crisi.

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