Campagna elettorale e vernissage partitocratico

05 Febbraio 2013

Domenico Cambareri

 

Il circo elettorale, la partitocrazia e i governi balneari.

 

Siamo entrati nel vivo della campagna elettorale che vede sovrapposti gli appelli per i rinnovi di alcuni consigli regionali e quelli per il parlamento. Il nostro lungo silenzio sullo snodarsi quotidiano, settimanale e orami più che mensile degli avvenimenti della politica interna ha questa motivazione: guardare con il maggiore distacco possibile l’evolversi di quest’apparente dialettica che non trova limite nella sfrenata demagogia in cui annegano proposte e anatemi dell’uno contro l’altro. Senza farsi in alcuno modo invischiare nelle diatribe quasi sempre senza senso che retrodatano di almeno dieci anni molti dei reali contenuti della propaganda, salvo quanto apportato, più sul piano della saturazione emotiva e della sua reazione, dall’apparizione del particolare fenomeno del movimento cinque stelle.
Sugli aspetti che siamo venuti a valutare più importanti in merito ai presunti o reali programmi elettorali delle forze in campo, avremo motivo di intrattenerci nei prossimi giorni ad iniziare da quelli di Berlusconi, di Bersani e di Monti.
Per adesso, ci preme rilevare come il contesto politico entro cui si muove in modo forsennato la campagna elettorale, basato pure su di un’incessante e sempre aggiornata serie di previsioni demoscopiche, lasci presagire poco di buono in merito ad una condizione di stabilità governativa circa gli esiti ultimi delle elezioni politiche nazionali.
Il primo dato di fatto oramai acquisito dagli analisti politici, dalla demoscopia e dagli stessi apparati partitici e dai loro leader è che la rimonta del PdL e di Berlusconi è un fatto incontrovertibile che difficilmente troverà argine o rovesci. Si tratta di vedere, alla resa di conti, di quanto piccolo sarà lo scarto di voti rispetto al PD ovvero se vi sarà un pareggio finale. Il secondo dato di fatto è che il movimento cinque stelle dovrebbe riuscire a mantenere uno zoccolo elettorale diffuso in grado di porre condizioni ancora imprevedibili ad ogni certezza su durature coalizioni e coabitazioni di maggioranze e di governo, sospingendo solo verso un ventaglio di ipotesi. Il terzo dato di fatto è che nella sinistra estrema è iniziata una corsa allo scavalco in parecchi temi tra Vendola e la coalizione guidata dal sostituto procuratore palermitano e che comunque ambedue tendono a condizionare pesantemente la campagna elettorale di Bersani che è costretta a fare ricorso ad argomenti e toni estremamente demagogici quali quelli sugli strumenti e sulle spese della difesa – acriticamente e fumosamente contrapponendoli a temi sul “lavoro” -, percentualmente fra le più basse dell’Europa e di tutto l’Occidente ( spese per di più determinate dalla politica estera e dagli accordi internazionali in essere NATO e dell’UE, dagli interventi dell’ONU e dalle necessità e dai meccanismi di investimenti in progetti multinazionali). Il quarto dato di fatto è che il movimento civile promosso da Mario Monti annaspa tra difficoltà di contenuti insuperabili rispetto alla mera facciata del tutto armonica del demagogo Casini, che cerca di cavalcarne l’esistenza per assicurare boccate d’ossigeno a un partito fra i più clientelari e corresponsabili del deterioramento della vita istituzionale. Conviene tacere su Fini, arrivato alla soglia della impalpabilità elettorale, per fortuna. Il quinto dato di fatto è che la Lega annaspa non di meno, per fortuna, e che il ricatto politico che potrà esercitare su Berlusconi sarà del tutto slegato dalla proporzionalità tra attese e risultati elettorali, in quanto cercherà di fare valere un peso centrifugo sproporzionato nelle più diverse situazioni che si presenteranno. Un ulteriore dato di fatto oramai acquisito in riferimento alla Lega, è che essa è un coacervo di interessi partitico-clientelari territoriali non dissimile da quelli ben stratificati del partito clerical-affaristico di Casini.
In realtà, dunque, il contesto della frammentazione dei risultati elettorali e la grossa e quasi coincidente ma inconcludente polarizzazione dell’elettorato non consentiranno di avere una coalizione di maggioranza in parlamento e un governo stabili. Le diversità di interessi e di scelte in temi delicati sono molto diverse. Da ciò, con presumibile concretezza, consegue che lo scenario postelettorale sarà molto conflittuale e che e maggioranza ed esecutivo ci riporteranno alla brevità dei precedenti governi di Prodi.
Gli scandali bancari del Monte dei Paschi di Siena e degli altri istituti di credito coinvolti portati alla luce hanno infuocato ancora di più il già rovente clima elettorale. Tuttavia, nessun partito tra i due maggiori e quelli medio-piccoli, UDC e Lega, ha presentato articolate e concrete proposte di legge per porre termine al controllo partitico delle banche.
Ad essi si aggiunge in coda un ulteriore conflitto elettorale, quello dovuto alla speculazione finanziaria internazionale che di botto ha accentuato al rialzo il differenziale tra bund tedeschi e italiani, strumentalmente utilizzando la “poca credibilità” dell’Italia nel contesto finanziario, che dovrebbe essere il più possibile affrancato da considerazioni sulle scadenze elettorali delle nazioni. Infatti, a voler guardare la pseudo logica dei centri di “valutazione” finanziaria internazionali (americani), cosa sarebbe dovuto accadere a maggior ragione per anni in Inghilterra e negli Stati Unti a causa dei crack delle banche che avevano prodotto una crisi mondiale per i titoli tossici e per tutta la correlata serie di incessanti maxi azioni criminose planetarie; cosa dovrebbe ancora accadere proprio in America per il reiterato giuoco sul filo del rasoio dei debiti federali, dei mancati accordi tra esecutivo e congresso e del default che sorveglia porte d’ingresso e finestre?
Il fatto è che sul piano etico-politico e storico-politico, nell’ambito di un’analisi e di una sintesi della vita “repubblicana” a cui non ci possiamo e non ci dobbiamo sottrarre, tutto questo non è altro che partitocrazia. Ovvero, l’ennesima elezione che avviene a conferma della palpitante, sostanziale occupazione di tutti gli spazi della società, dell’economia e della finanza da parte degli apparati partitici.
Nulla finora è stato fatto per contenere e definitivamente raffrenare la partitocrazia, il vero cancro dell’anima e del corpo della nazione, né dal PD che ci ha finora vissuto nell’integrale preservazione dei feudi di regime ad iniziare della Rai, né dal PdL che vi si è volontariamente spiaggiato, non meno gaudente. Davanti a tutto ciò a nulla serve la reiterata e melensa speculazione dietrologica del PD e di Bersani sulla costituzione, ancora una volta apologeticamente e acriticamente appellata come la migliore del mondo. Costituzione così strumentalmente adulata per conservarne l’ipoteca sullo sfruttamento dell’immagine e del presunto valore, laddove essa è stata sistematicamente disattesa, non attuata e irrisa proprio dal PD e dai parti del vecchio “arco costituzionale” (quale contraddizione in termini) e di quelli che ancora oggi persistono nel tenere vivo vegeto e onnipervadente il regime dei partiti, cosa a cui anche l’ex “missino” (!) Fini ha egregiamente contribuito.
La democrazia ha i suoi costi? Non certo paragonabili a quelli della presunta democrazia italiana  per l’appunto la partitocrazia, un sistema feudale che dilapida e divora senza posa. L’iracondo e volgare linguaggio di Grillo, in uno con quello dei guitti di Dario Fo, mal ci aggrada, tuttavia costituisce un’indubbia anamnesi e diagnosi dei nostri mali. Su cui la classe politica ha voluto chiudere sempre gli occhi. Perché essa stessa è il male del Paese. E’ essa l’antipolitica per eccellenza. E la campagna elettorale sta a dimostralo a iosa.