Mario Scaffidi Abbate: elezioni in versi. Con verace ironia

16 Febbraio 2013

Mario Scaffidi Abbate,   www.marioscaffidiabbate.it

La genuina vena poetica che da sempre scorre nel suo animo ha esemplare espressione anche nei versi la cui l’ilarità ci trasporta entro la dimensione della satira e del comico, al fine di mitigare le pene per i gravosi e ancora insuperati poblemi della nostra esistenza. A causa delle lotte pseudo politiche e dei mali profondi che albergano nella nostra società, per il non fare delle élite clientelari che occupano l’acropoli della polis. Domenico Cambareri

 Cronache elettorali in versi

(Elezioni politiche 2013)

 

  

Arlecchinate
 
 
Quando vedo le liste dei partiti
su cui poggia l’italico destino,
dai Monti, ai Grilli, ai Grulli, ai Rattrappiti,
penso alla nota veste di Arlecchino
 
dai colori vivaci ed assortiti.
E’ questa la ragione del declino
del Bel Paese: sono le sue liti
a rendergli difficile il cammino.
 
Ci mancano buon senso e disciplina:
da noi soltanto scontri e divisioni;
come dice la massima latina,
 
‘tante le teste, tante le opinioni’.
O la finiamo con questa manfrina
o perderemo sempre alle elezioni.
 
 
Il più pazzo spettacolo del mondo
 
Questa strana campagna elettorale
è il più pazzo spettacolo del mondo,
un carosello, un circo demenziale,
un confuso e grottesco girotondo.
 
Vi spiccano un barbuto liberale
che pare un clown, un grillo furibondo,
un pm che sembra un manovale.
Stavolta proprio abbiam toccato il fondo.
 
In questo caos s’intrufola Sanremo,
il festival, con Fazio e Littizzetto
dal linguaggio scurrile e un po’ blasfemo.
 
Fra un insulto, uno sketch e un motivetto,
faranno a gara a chi di più sia scemo.
Vedremo poi quale sarà l’effetto.
 
La discesa del Professore
 
 
Supermario, che pena, che squallore
i tuoi comizi, altro che sobrietà!
Dov’è finito, dimmi, quel signore
che troneggiava all’università?
 
Quando vai scaricando il tuo rancore
sull’avversario, che ti batterà,
se già ci sformi come professore,
come primo ministro fai pietà.
 
Pensavi di salire al Quirinale,
per senno, stile ed imparzialità,
ma vai scendendo sempre più le scale,
 
per tracotanza e per faziosità.
Come carriera non c’è niente male.
Vedremo presto come finirà.
 
 
Avanti indré
che bel divertimento
 
 
Adesso ti rimangi il redditometro
dopo averlo voluto. Hai rinnegato
pure l’Imu: non fai manco un chilometro
che ti penti. Qual è il tuo vero stato?
 
Sei savio o matto? Certo il tuo termometro
sale e scende impazzito. Dov’è andato
il professore sobrio? Il potenziometro
che prima regolava il tuo dettato?
 
Ma dimmi un po’: come ti si può credere
quando dici e disdici ogni tua mossa?
Se così fai, che cosa vuoi presiedere?
 
Sali a Berlino e poi scendi a Canossa.
Questo, mio caro, non è un bel procedere:
è ben altro che andare alla riscossa!
 
Bersani chiede aiuto
ai Tedeschi
 
 
Non c’è speranza, ormai, purtroppo è vero.
Per risolvere i nostri eterni guai
dobbiamo far ricorso allo straniero:
da soli non ci riusciremo mai.
 
Che ci odiamo fra noi non è un mistero.
Al governo qualunque cosa fai
non è che un tappabuchi passeggero:
gira e rigira siam sempre nei guai.
 
Che si chiami D’Angiò, di Valuà,
siano tedeschi, russi o americani,
Obama o Merkel, sempre ci sarà
 
chi bene o male salvi gl’Italiani.
Finché fra noi ci si combatterà
il Bel Paese non avrà un domani.
 
 
Bla bla bla
 
 
Nel mondo non ci sono più certezze,
dilaga la più sconcia libertà,
ogni sorta si fa di nefandezze,
la Giustizia a ramengo se ne va.
 
Fra cose serie, frizzi e lepidezze
si parla e sparla, è tutto un bla bla bla
privo di senso. Fra tante stranezze
non si sa più dov’è la verità.
 
Per anni han calunniato Berlusconi,
inventandosi crimini e processi,
ora incensano Monti, e con che toni,
 
affibbiandogli meriti e successi.
A sproloquiare tutti sono buoni.
Gl’Italiani, però, non sono fessi.
Scendono in campo anche i cani
veri
 
 
Che i politici fossero dei cani
questo lo si sapeva, ma che adesso
scendano in campo pure i veri cani
in Italia non era mai successo.
 
Dopo Berlusca e Monti, ora Bersani,
Casini e Fini, con minor successo,
seguiranno l’esempio. Gl’Italiani,
come al tempo del Duce (è un bel progresso!),
 
grideranno entusiastici: “Alalà!”,
visto che il cane – questo è il gran messaggio –
è segno di amicizia e fedeltà.
 
Adesso andranno tutti all’arrembaggio:
è questa la miglior pubblicità.
I risultati al prossimo sondaggio.
 
 
   “Io ci sto”
 
 
O sedicente partigiano Ingroia,
“Io ci sto”, dici tu. No, non ci stai,
non ci stai con la testa: è paranoia
questa smania politica che hai.
 
Tu vorresti imboccar la scorciatoia
per creare al Paese nuovi guai?
La tua presenza ci è venuta a noia.
No, questa volta non la spunterai.
 
Ma poi così barbuto e trasandato,
stridulo e incauto come una cicala,
più che un serio e distinto magistrato
 
mi sembri un esponente della mala.
Pure scorretto è spesso il tuo dettato.
Perché non te ne torni in Guatemala?
 
 
Rivoluzione civile
 
 
Sei entrato in politica per fare,
così tu dici, la rivoluzione,
quindi ti sei lasciato trascinare
dalla filosofia d’una fazione.
 
Quale imparzialità può mai sperare
da questa tua bravata la nazione?
E poi, dopo aver mosso monti e mare,
dici pure di avere l’intenzione
 
di ritornare a fare il magistrato.
Ma con che faccia e senso di giustizia
tratterai nei processi l’imputato?
 
La tua faziosa e subdola milizia
in un partito renderà viziato
il tuo verdetto, e questa è un’ingiustizia.
 
 
Sic transit gloria mundi
 
 
Tecnico super partes, Mario Monti,
la tua ‘salita’ in campo è un tradimento,
e sarà vana, dura e senza sconti.
Avessi almeno il cinquanta per cento
 
sarebbe dignitosa, in fin dei conti,
ma così, che figura, che sgomento!
Ti aspettano indicibili tramonti.
Voti e speranze, ahimè, cadranno al vento.
 
Ma quand’anche vincessi la partita,
mescolando a tuo pro tutte le carte,
ugualmente per te sarà finita.
 
Come governerai? Con quale arte?
La tua velleità sarà punita:
tu perderai e l’una e l’altra parte.
 
Monti kaputt
 
 
Mai più. Siccome al termine
del suo rapace giro,
sazio di sangue pubblico,
si stette il Gran Vampiro,
così, stremata, esausta
l’Italia al bivio sta,
 
pensando ancora all’ultima
stangata di Natale,
né sa se un altro simile
governo elettorale
l’orme di quello tecnico
a ricalcar verrà.
 
Lui, governante insolito,
vide il popolo e tacque.
Quando, con vece impropria,
fece quel che gli piacque
alle voci benevole
la sua non mescolò.
 
Scevro di falsi applausi
e di servile omaggio,
s’indigna ora all’annuncio
di un suo secondo ingaggio
e gli sciorina un cantico
che uguale non avrà.
 
Dai tagli all’Imu ignobile,
dalla benzina al treno,
di quel figuro il gettito
faceva sempre il pieno.
Tassò da Scilla al Brennero
senza alcuna pietà.
 
Fu vera boria? Ai postumi
l’ardua sentenza, a cui
non sfuggirà quel massimo
fautor che volle in lui
del suo potere incauto
sì guasta orma stampar.
 
La dispettosa e perfida
foia di un caporale
che spreme e tassa il popolo,
pensando al Quirinale,
per guadagnarsi un premio
ch’è una follia sperar,
 
tutto provò: la smania
maggior dopo il salasso,
la briga e l’oratoria,
il furto con lo scasso.
Più volte alla fiducia
per poco non cascò.
 
Si presentò. Due nuclei,
l’un contro l’altro armato,
congiunti a lui si volsero
come aspettando il fato:
Lui tacque e come un arbitro
si pose in mezzo a lor.
 
E governò, vessandoci
e cavalcando l’onda
di una crisi opinabile
con mossa invereconda,
risparmiando i notabili
e quelli che han di più.
 
Poi, come sul fedifrago
l’onta si avvolge e pesa,
l’onta che quell’improvvido,
parlando in sua difesa,
invano discolpandosi,
cerca di allontanar,
 
tal sul Vampiro il cumulo
dei suoi misfatti scese
e ogni volta che in pubblico
a mostrarsi intraprese
lo si vide sul monitor
giostrarsi ed annaspar.
 
 
Oh quante volte al pallido
morir di un giorno incerto,
da una fiducia stitica
ormai non più coperto,
stette aspettando trepido
il verdetto fatal!
 
E ripensò le nobili
aule della Bocconi,
il coro dei discepoli,
le sue dotte lezioni,
il meritato gaudio
del grande professor.
 
Di fronte a tanto strazio
il cuor si esaurì,
e disperò; ma provvido
arrivò l’Udc
e lui nella politica
bieco e sinistro entrò.
 
E s’avviò per l’equivoca
campagna elettorale,
con un consenso esiguo,
talché sarà fatale
ch’egli perda la premiership
e non risorga più.
 
Brutta, immorale, ignobile
fine di un imprudente:
volle della Repubblica
essere il presidente,
ma nessun onorevole
ora lo voterà.