Facciamo un po’ di conti sui voti e delle ipotesi sull’incerto futuro dell’Italia

12 Marzo 2013

Mino Mini

 

E’ il tempo della decisione

QUO VADIS, ITALIA ?

 

Prima delle elezioni ci chiedevamo di quale morte gli italiani avrebbero deciso di morire. Ora che i ludi elettorali si sono conclusi con la sostanziale ingovernabilità, sulla carta, del nostro Paese, non ci interessa tanto compiere la cosiddetta analisi del voto quanto rilevare il nuovo fenomeno che si sta svolgendo sotto i nostri occhi: il popolo degli scontenti è venuto allo scoperto abbandonando gli antichi schieramenti per votare un movimento nuovo.
A fare le spese di questo emungimento di consensi sono stati un po’ tutti i partiti : il centrodestra è quello che ha perso di più – oltre 7 milioni di voti – e deve ringraziare il notevole declino del centrosinistra – 3 milioni di voti – se il suo risultato appare come una rimonta vittoriosa; il centro è quasi scomparso ed
altrettanto è accaduto allo schieramento che si definiva ,assai impropriamente, di destra.
Tanto per dare una misura del fenomeno reale facciamo un po’ di conti elementari. Il corpo elettorale era costituito da 46.906.343 elettori. Hanno votato 35.271.540 ovvero il 75,19% degli elettori mentre il 24,81% non ha esercitato il proprio diritto democratico; 11.634.803 , tanti sono i renitenti al voto, hanno deciso di essere a-democratici perché schifati della politica.
Il 18,52% degli aventi diritto al voto – 8.688.545 – ha, invece, dato corpo alla protesta contro il sistema dei partiti votando per il Movimento 5 Stelle (in sigla M5S).
Inutile dire che nel presentare i risultati il computo percentuale è stato calcolato sul numero delle schede valide che sono risultate 34.002.523 per cui, rispetto a tale cifra il centrosinistra rivendica di aver ottenuto il 29,53% dei voti pur essendo il 21,42% del corpo elettorale; il centrodestra rivendica il 29,13% pur essendo il 21,15% del corpo elettorale ed il M5S si vede accreditato il 25,55% essendo riuscito a catturare, sorprendentemente, il 18,52% del corpo elettorale.
 
Vi è, però, una considerazione importante da fare: il M5S ponendosi come movimento antisistema rispecchia anche il mancato voto a-democratico e ciò porta a dover considerare la forza potenziale dell’antisistema in 20.323.351 persone pari al 43,32% del corpo elettorale. Una forza che, se muovesse unitariamente verso un unico obiettivo, potrebbe prendersi il potere in maniera pressocché assoluta e attuare tutte le riforme istituzionali, condivise o meno, necessarie ad uscire dal marciume in cui è immersa questa pseudo repubblica per effetto di una Costituzione nata sbagliata e di una sudditanza surrettizia verso potenze e poteri extranazionali.
 
Fino al momento in cui stiamo scrivendo il M5S, che è appena entrato in parlamento, tiene duro. Non si fa conquistare dalla sirena PD e schifa il PdL mantenendo la sua caratterizzazione di partito-movimento antisistema che manda “affanculo” urbi et orbi. Se riuscirà a far saltare il banco, si andrà al voto in breve tempo.I ntanto, come appare evidente, una magistratura faziosa punta a condannare Berlusconi per impedirgli di ripresentarsi alle elezioni decapitando, in tal modo, il PdL e mettendolo fuori gioco. Se la manovra dovesse riuscire, il PD conterebbe di fare l’en plein diventando l’arbitro assoluto della politica.
 
Ebbene, la domanda che ci viene, a questo punto è la seguente: che fine farà l’elettorato PdL, i cosiddetti moderati? Saranno incazzati per la soppressione del loro leader e sfiduciati verso ciò che resterà del loro partito di riferimento. Togliendo la Lega , rimarranno 8.532.944 elettori in cerca di una bandiera, pronti, come già in passato, a votare contro il PD per vendetta.
 
Poniamoci una retorica domanda: se dal loro scontento nascesse una nuova forza elettorale che sulla base di una nuova concezione dell’Italia recuperasse gli 11.634.803 renitenti al voto delle ultime elezioni ? Si formerebbe una compagine potenziale di oltre venti milioni di elettori decisi a spazzare via i vecchi partiti non sulla base delle fumose formulazioni del M5S, ma su una nuova concezione dell’Italia, della sua struttura economica, degli organismi di rappresentanza, di una nuova immagine con cui presentarsi nel consesso internazionale. E recupererebbe anche una gran parte degli attuali elettori del M5S.
 
A questo punto nasce un’altra domanda retorica: sull’onda della protesta nata sul web e portata nelle piazze, il duo Casaleggio-Grillo può farcela a raccogliere il consenso di oltre venti milioni di elettori?
Ne dubitiamo e per più di una ragione, ma quella che le riassume tutte è la seguente: manca, al M5S ed ai suoi ispiratori, la visione di un’Italia nuova o, quantomeno, diversa dall’attuale che superi, dandole una forma, la rabbia della protesta. Leggendo il programma che il M5S presentò ai suoi elettori, si rileva subito la mancanza di una soluzione alla situazione di crisi che ci sta affliggendo; non v’è nemmeno un’ipotesi di soluzione al dramma del Sulcis, alla tragedia dell’Ilva, al pericolo di perdita della Finmeccanica etc. etc..
Si è trattato, nella sostanza, della sommatoria di una serie di fumose istanze settoriali, ciascuna concepita distinta dalle altre e raggruppate in sette elenchi. C’è del buono e c’è del cattivo, ma non c’è l’Italia né, tantomeno, vi è la prefigurazione di un destino verso cui tendere.
Parrebbe fuori della realtà parlare di una nuova Italia e di un qualche destino mentre la gente si suicida, le aziende falliscono a ritmi impressionanti, il numero dei disoccupati cresce e tutta la nostra compagine civile va in dissoluzione. Ma dal momento che lo scontento si è finalmente espresso concretamente e, convinti come siamo, che sia stato sollecitato da ben altri motivi che dal programma grillino vien da domandarsi parafrasando uno slogan recente : “se non ora quando”?
 
Allora, per non limitarci ad un semplice e più che naturale populismo, diciamocelo in breve come dovrebbe essere concepita una nuova Italia: come un organismo che sia sintesi di tre “momenti” espressi da una matura concezione civile potenziata da una reale struttura economica ed articolata in un sistema politico in grado di definirsi, soprattutto, come organismo geopolitico.
L’amore per la sintesi, complice l’esiguità dello spazio, ci ha preso forse la mano generando una fumosa definizione? Vediamo allora di specificare, per i più esigenti sul piano concettuale, con un esempio che, partendo dall’organismo geopolitico, ripercorra tutte le correlazioni che si instaurano fra i tre “momenti” risalendo fino alla matura concezione civile ipotizzata che va intesa come superamento dello schema di contrapposizione fra destra, sinistra e centro.
E’ su un metaforico tavolo della discussione il tema spinoso della rinuncia al generoso sogno di un’Europa unita denunciando il Trattato di Lisbona e uscendo dall’euro riacquistando, in tal modo, la sovranità che la UE ci sta sottraendo ogni giorno di più. Il problema non rientrava nel programma del M5S, ma è fondamentale e condizionante. Ebbene, in una prospettiva europea l’Italia deve porsi come stato sovrano e come riferimento polare europeo di una ecumene mediterranea.
Per potersi definire come riferimento polare, un destino che la storia e la geografia le hanno da sempre imposto, l’Italia ha necessità di articolarsi in un sistema politico ed istituzionale scevro di parassitismi amministrativi (regionali e provinciali) in grado di prendere decisioni autonome in tutti i campi e di sostenerle in ambito internazionale. A questo fine deve, tramite meccanismi di controllo e di promozione adeguati, assicurare la solidità della sua struttura economica a resistere alle sollecitazioni di poteri esterni al suo organismo ed a proiettarsi, con istituzioni di nuova concezione, sui mercati internazionali.
Un cedimento strutturale in questo senso per effetto di un attacco finanziario, ad esempio, farebbe crollare, di fatto, come sta accadendo, l’organicità della compagine civile asservendola a poteri esterni cancellandone la sovranità e con essa distruggendo la potestà decisionale. Sempre perseguendo il fine della sovranità e dell’autonomia decisionale, ad esempio, deve impegnarsi fortemente nell’insegnamento e nella diffusione della lingua italiana sottraendosi al colonialismo culturale al quale il M5S vorrebbe sottometterci con l’insegnamento forzoso, sin dall’asilo, della lingua inglese. E ciò per una ragione fondamentale: la lingua è (o dovremmo dire era) il canale mentale, il binario, che guida il pensiero. Il pensiero italiano è uno dei più profondamente organici, o se vogliamo usare un termine più ristretto, dei più profondamente sistematici, di rappresentazione e valutazione della realtà. E’ dal pensiero che scaturisce e si consolida la matura concezione civile che andiamo ricercando. Che attualmente sia in declino è dovuto a degenerazioni della modernità che devono essere superate. Degenerazioni che le altre lingue – in particolare l’inglese – più vocate a formulazioni tecniche settoriali, non saranno mai in grado di superare.
 
Ma resta l’incognita: – Quo vadis, Italia?