Alemanno, le grandi promesse e i miseri risultati. Nulla cambia, quando si vuole solo gestire il potere

21 Maggio 2012

Mino Mini

 

 

Prossime elezioni: Roma, l’Italia e la protesta di un mondo disperso contro il declinare del … tradire

TRADERE NON TRADIRE

 

 

 

 

Stiamo scrivendo mentre è in svolgimento la campagna elettorale per l’elezione del sindaco di Roma Capitale, tuttavia pertanto il nostro scritto non ha connotati propagandistici, bensì chiarificatori. Vogliamo provare a far capire all’oraziano “Difficilis, querulus, laudator temporis acti/se puero, castigator censorque minorum”(1) perché nessuno ha più voglia di dare il proprio consenso e la propria delega a chi, invece di tradĕre (trasmettere) il patrimonio di cultura , di idee, di visione del mondo ricevuto in consegna ha ritenuto di tradire (senza latinorum stavolta) la propria diversità per farsi accettare e divenire identitariamente uguale agli altri illudendosi, con ciò , di essere pronti per la gestione del potere. Oltretutto dimostrandosi meno efficienti.
Perché questo è ciò che è avvenuto allorché la parte politicante del mondo “ di destra non liberale “ – per usare una definizione del nostro Gianfranco De Turris su Il Giornale di qualche giorno fa – per farsi sdoganare oltre ad abbandonare i simboli, le vesti ed i costumi ormai obsoleti, abbandonò anche il proprio mondo interiore. Fu allora che cominciò la scissione tra la parte politicante, sempre più succuba di una visione sfrenatamente arrivista e liberista, ed il popolo “ di destra non liberale” ma soprattutto non liberista che, formatosi in origine come alternativa al sistema, progressivamente, vedeva svanire la propria identità. Nemmeno le “operazioni nostalgia” messe in atto da alcune frange separatiste di questo popolo per rincorrere affannosamente il recente passato anteguerra, quello che non avevano vissuto e che alimentava una sorta di modernariato in politica e in economia, riuscivano più a tenere insieme il popolo della destra NO LIB., ovvero per noi anzitutto e soprattutto non liberista quanto non tanto liberale (si può essere benissimo liberali e assolutamente antiliberisti) La scriveremo così per il seguito – destra NO LIB – questa tragica definizione di De Turris, che identifica un popolo per quello che non è essendo stato impossibilitato dai suoi stessi rappresentanti che hanno tradito a dire quello che è. Popolo che, visto distrutto il senso della vita che aveva vissuto, persa la propria identità, si disperse sfiduciato e rancoroso. In questa sopraggiunta dicotomia la parte politicante, tagliate le proprie radici, rinunciò più o meno lucidamente anche, e per sempre, a rinnovare organicamente con nuovi valori il vecchio mondo nel quale si era, alfine, integrata. Sopravvisse, in tal modo, per quasi un ventennio, ma, duole dirlo, salvo valorose e lodevoli eccezioni a livello locale e provinciale, nella gestione del potere da parte dei tre governi Berlusconi (1994,2001,2008) non si vide alcun tentativo della destra NO LIB di scardinare l’egemonia della sinistra in campo culturale, di contrastare lo strapotere delle banche e delle lobbies in campo finanziario, di frenare la deindustrializzazione dell’Italia iniziata negli anni ’90, di superare la condizione puramente strumentale della forza-lavoro evolvendola, almeno, in partenariato … e via declinando. Nemmeno si è sentita alcuna opposizione alla cessione di sovranità sancita nel Trattato di Lisbona inaudita altera parte – il popolo – né è stata espressa alcuna visione alternativa all’Europa delle banche. C’è voluto il fallimento del governo Monti perché una parte del popolo cominciasse a volgere il rancore sentito nei confronti della classe politica in voto di protesta. Troppo tardi e solo in occasione del confronto elettorale una frangia della destra NO LIB ha cercato di riscattarsi. Quello che avrebbe dovuto essere il suo popolo non l’ha seguita (ma c’è da chiedere: ha tentato davvero di riscattarsi, ovvero la sua è stata un’operazione concordata con Silvio per intercettare almeno una parte dei voti di protesta che sarebbero andati altrimenti dispersi … a vantaggio di Grillo?).
Tutto ciò ci riporta alla elezione del sindaco di Roma Capitale con cui abbiamo aperto questo articolo. La vicenda amministrativa appena trascorsa riflette emblematicamente, data la rilevanza della Capitale, il processo di dissoluzione del mondo NO LIB che le ultime elezioni politiche hanno così tragicamente evidenziato per il resto del territorio nazionale .
Alemanno esordì nella campagna elettorale del 2008 dichiarando: << Il 13 e 14 aprile i romani devono decidere: da un lato uno stanco continuismo rappresentato da una sinistra … Dall’altro ci siamo noi che rappresentiamo il cambiamento >>. Formulò, ad impegno futuro, cinque obiettivi pratici: 1) Fare di Roma una vera capitale europea; 2) Espellere 20.000 tra nomadi ed immigrati clandestini; 3) Dar vita ad un piano straordinario per il traffico, 4) Realizzare 25.000 alloggi di edilizia sociale e incentivare quella privata da porre sul mercato dell’affitto a prezzi controllati; 5) Realizzare asili nido ovunque se ne ravvisasse la necessità.
Conversero sulla sua candidatura anche i voti di una consistente frangia di elettori della sinistra estrema. Delusi dalla giunta Veltroni che non avendo un’idea di città aveva fatto di questa carenza un principio ispiratore, una cultura, una “visione del mondo”, per poi appiattirsi decisamente sugli interessi della speculazione edilizia, trovarono nella promessa di cambiamento di un esponente della ex destra sociale lo sbocco alle loro aspirazioni . Ad affascinarli era soprattutto l’immagine di una vera Capitale europea, che Alemanno tratteggiava quale punto d’incontro dei Paesi del Mediterraneo e la prospettiva di risolvere la carenza di alloggi di edilizia sociale.
Come avemmo modo di rilevare su queste pagine, era coscienza diffusa che per operare il cambiamento tanto auspicato occorresse una svolta culturale, una imago mundi in grado di elaborare un disegno risolutore che desse forma all’agglomerato informe di quartieri senza città che una egemonia ultratrentennale della cultura da parte della sinistra aveva lasciato. Ma questa imago della Capitale europea, per insipienza e/o altro, non si concretizzò mai. Non mancavano, all’interno dell’area di riferimento di Alemanno, intelligenze e competenze in grado di elaborarla, ma furono sacrificate sull’altare della speculazione imitando quel che aveva fatto la sinistra per decenni. Con un’aggravante in più: la nomina dell’assessore alle Politiche Urbanistiche su imposizione dei veri padroni di Roma. Non realizzò alcuno dei cinque obiettivi programmatici, condannò i cittadini a vivere secondo il “disegno” degli speculatori edilizi e quando, per “discutere” sulle sorti della città , convocò la cittadinanza nei workshop dove mise la popolazione di fronte alle archistars che la giunta precedente aveva chiamato ad operare a Roma per consentire loro, che nulla avevano da dire sul disegno di una città diversa da quella della speculazione, di fare la ruota spacciandosi per pavoni . Un tentativo spettacolare di illudere il popolo di Roma.
Potremmo continuare a lungo sulle vicende dell’amministrazione Alemanno fino ad arrivare all’ultima vergognosa vicenda della sede del Municipio XX, denunciata da Casa Pound, ma ce ne asteniamo. Non ci interessa, in questo momento, fare un’inchiesta da aggiungere alla, ormai, consistente produzione editoriale, di matrice sinistrorsa, ovviamente, avente come soggetto la figura di questo sindaco e della sua amministrazione; a quella rinviamo chi ne volesse sapere di più (2) . Lo scopo che questo articolo si prefiggeva era quello di mostrare ai nostalgici del ventennio appena trascorso come la parte politicante si sia servita, per scalare il potere, di coloro che avevano vissuto con la visione di una comunità organica in termini di lingua, economia, organizzazione civile ed espressione estetica che si concretizza nella città.
Una visione intuitiva, aurorale e quindi ancora imperfetta, ereditata dal sangue e portata interiormente combattendo e studiando per trasmetterla nell’attesa di renderla concreta. E’ questa visione, questa imago mundi in continua elaborazione che è stata tradita da chi aveva ottenuto il potere per realizzarla.
Non ci interessa più di tanto, ormai, conoscere quale sarà il responso delle urne a fine maggio sulla sorte di Alemanno.
Di lui il minimo che ne possiamo dire è che ha mostrato la propria inadeguatezza a fare il sindaco della Capitale e con lui coloro che aveva posto nei gangli del potere. Ha dimostrato di non avere alcunché dietro. Non un valore, non un’idea, non una visione organica dell’esistenza e della sua materializzazione concreta in termini di strade, spazi urbani, edifici da tradĕre affinché, nel tempo, venisse realizzata. Non ha realizzato un’opera alla quale legare il suo nome come interprete di un’idea di città, di comunità organica, di civiltà. Non ha contribuito a costruire questo mondo in alcun modo.
Sarà stato e/o sarà in futuro soltanto uno della serie di sindaci amministratori al servizio dei poteri forti, dei veri padroni della città: i costruttori di periferie, questo oramai non ci interessa saperlo.

 

 

 

 

1)Quintus Horatius Flaccus : Ars poetica vv.174 s: Libera traduzione : Bisbetico,lamentoso, lodatore dei tempi in cui era giovane, castigatore e censore dei più giovani .
2)Paolo Berdini-Daniele Nalbone: Le mani sulla città. Da Veltroni ad Alemanno storia di una capitale in vendita – Alegre 2011;
Daniele Autieri : Alemagno imperatore di Roma – Aliberti editore 2011;
Ella Baffoni : Il libro nero di Alemanno. Dalla A alla Z tutti i disastri del sindaco di Roma – Castelvecchi 2012;
Francesco Erbani : ROMA il tramonto della città pubblica – Editori Laterza 2013