Eurodeliqui. Cervelli all’ammasso e pseudo multiculturalismo. Il limite estremo delle melasse “dem”

03 Giugno 2015

Mino Mini

 

 

 

 

Medioevo e dintorni – 4

 

Non c’è più una lingua universale per il pensiero o il latino è soltanto – ma per quanto ancora? – tenuto nel surgelatore? Stiamo diventando popoli senz’anima e le ali della riflessione sono state definitivamente tarpate? Prevarranno ciarpami caotici precipitanti verso il basso o il linguaggio riacquisirà una sua profondità speculativa e una sua articolazione formale atte a ridare la vertigine del volo dell’intelletto non solo allo spirito dei geni e dei creatori? Sarà ancora possibile argomentare,  riflettere,  comunicare o si sprofonderà nel corto circuito dell’informazione tout-court e dei surrogati?

 

 

 

LOBOTOMIA DELL’EUROPA

 

 

 

 

 
Martedì 19 maggio uscì su il Giornale un articolo di Mauro Zanon che recitava: <<Meno latino, più islam. E la riforma indigna Parigi>>. Cinque giorni dopo sullo stesso quotidiano Antonio Socci titolò una sua paginata <<Mezzo secolo senza latino e la Chiesa è da rottamare>>. Il primo scritto riguardava la solita “rivoluzione culturale”, da attuarsi con la riforma dell’istruzione della scuola secondaria (la nostra scuola media), che Hollande e la sua ministra di origini marocchine Najat Vallaud-Belkacem vorrebbero mettere in atto per arrivare ad un <<egualitarismo livellatore>>. La vicenda richiama alla mente Soumission, l’ultimo romanzo visionario di Michel Houllebecq, dove una Francia senza più identità scopre “la sottomissione”.
L’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora, è che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta.” Il secondo articolo, invece, poneva l’accento sull'<<autodemolizione>> dall’interno che la Chiesa sta subendo da cinquant’anni a questa parte con il post-Concilio e l’abbandono della millenaria liturgia cattolica. Socci traeva lo spunto per il suo scritto da una frase che un monsignore avrebbe espresso nel corso di un convegno il giorno prima: <<Quando la Chiesa era cattolica e la messa era in latino … >>. Rilevava come, per la prima volta nella storia, la Chiesa viva il ” dramma di un <<papa emerito>> autorecluso in Vaticano e di <<un vescovo vestito di bianco>> che viene acclamato da tutti i nemici di sempre della fede cattolica e che ha riportato la Chiesa alla subalternità alle ideologie mondane degli anni Settanta”.
Non è intenzione di chi scrive commentare il tentato suicidio intellettuale francese e/o l’autodemolizione della Chiesa, ma porsi su un osservatorio più elevato dal quale riconoscere, in questi due fenomeni, la deviazione che la modernità ha impresso al processo della civiltà mediante una metaforica lobotomia dell’Europa.
Cosa sia la lobotomia o leucotomia è noto: attuare un cambiamento radicale della personalità mediante un intervento psicochirurgico al cervello praticando l’interruzione delle fibre bianche dei lobi frontali. Era usata in passato, con esiti non sempre prevedibili, per trattare una vasta gamma di malattie psichiatriche. Metaforicamente è ciò che la modernità, dal post-illuminismo in poi, si era proposta di fare tentando di cancellare ogni riferimento al passato inteso come impedimento alla realizzazione di un mondo nuovo basato su una mitizzata “ragione” priva della connessione delle fibre bianche dei lobi frontali.
Ci spieghiamo prendendo spunto dalla vicenda della lingua latina.
Dall’Alto Medioevo fino agli ultimi decenni del Settecento il latino, oltre ad essere l’idioma della Chiesa fu, altresì, la lingua di tutta la cultura europea. Con l’avvento dell’era moderna, ovvero dal Cinquecento in avanti, fu anche la lingua della scienza. La domanda che dovremmo porci è la seguente: come mai i popoli dell’Europa, assai più potenti, politicamente ed economicamente, dello stato pontificio e con una popolazione assai più numerosa parlante una lingua propria sentirono la necessità di lasciarsi soggiogare dal latino? La risposta abbisogna di una premessa. Ogni lingua è una costruzione mentale frutto di una logica più o meno complessa. Come tale è anche il canale mentale entro il quale si articola il pensiero e si elaborano i valori per misurare la realtà; è la matrice dove si forma l’immagine del mondo ed alla sua articolazione logica corrisponde la complessità di tale figurazione. In altre parole, organizza logicamente il pensiero. Ebbene, tra tutte le lingue il latino, già dal finire della repubblica romana, aveva raggiunto quella completa articolazione che oggi riconosciamo ai diversi livelli della logica: la logica elementare degli enunciati – o dei termini – strutturata, a sua volta, in logica delle relazioni o dei predicati e sviluppata nella logica dei predicati allargata che oggi chiameremmo logica dei sistemi o delle relazioni di relazioni. Nessuna lingua, fra quelle parlate in Europa, possedeva l’edificio sintattico del latino che permetteva di pensare la realtà quanto di avventurarsi nell’astrazione: ciò lo rese lo strumento universale della conoscenza e della comunicazione. Tutto questo fino a Galileo quando la scienza, nei suoi risvolti applicativi, generò la tecnica impersonata da <<meccanici>>. <<Meccanico>> era l’ingegnere e – in una certa misura – l’architetto quando operavano nelle diverse branche della pratica costruttiva ; <<meccanici>> erano i medici empirici, i medici militari, i chirurghi, le levatrici e via elencando. Tutti personaggi che abbisognavano, appunto, di una letteratura tecnica al di sotto della letteratura scientifica di livello alto che si esprimeva in latino. Per costoro si sviluppò una produzione libraria – la trattatistica – direttamente in volgare o che traduceva in volgare le opere latine o scritte in latino. Fu così che la scienza, sulla scia di Galileo che per primo fece della “letteratura scientifica” in volgare cui seguirono René Descartes ed altri, produsse in due lingue: in latino per la scienza “pura” e nel volgare per i <<meccanici>>. Fu allora che prese corpo la madre di tutte le rivoluzioni ovvero la sostituzione del mondo reale e organico con un mondo virtuale governato da “leggi” umane formulate mediante postulazioni arbitrarie (autoreferenziali) e definizioni e costruzioni altrettanto arbitrarie. Il pensiero organico rinascimentale subì pertanto una deviazione approdando alla concezione fisicalistica o meccanicista del mondo-macchina espressa – fino a tutto il Settecento – ancora in latino. Ma lo fu soprattutto nelle diverse lingue volgari e con tale concezione ha impersonato e continua ad impersonare tuttora la modernità. Il risvolto catastrofico di questa primigenia rivoluzione, sui tempi lunghi, fu duplice: da un lato la perdita dell’uso di una lingua comune europea, quale era stato il latino; dall’altro, nella babele delle lingue volgari, la riduzione del pensiero comune al livello logico della tecnica. Efficacissimo settorialmente, ma limitato – per non dire impedito – nella visione del mondo reale inteso nella sua unità. Da qui la conseguente caduta della civiltà europea.
Veniamo all’oggi ed al tentativo di cambiare radicalmente la personalità dell’europeo mediante la lobotomia praticata con il “politicamente corretto” , con il buonismo, con il multiculturalismo, l’antirazzismo, con la teoria del gender, ed altre astrazioni del genere per cacciare dal cervello degli europei, ormai degenerati, quanto è rimasto di ciò che ha costituito l’essenza della loro civiltà. Prima fra tutte, la lingua latina considerata morta pur avendo espresso opere rivoluzionarie quali il De Rivolutionibus di Copernico e l’Astronomia nova di Keplero sfociati nella Philosophiae Naturalis Principia Mathematica ovvero nella Legge di Gravitazione Universale di I. Newton . Per non parlare della vitalità mostrata con il Nova methodus pro maximis et minimis di Leibniz che innescò la polemica con il citato Newton sulla paternità del calcolo infinitesimale o – in campo medico – con il fodamentale De motu cordis et sanguinis di William Harvey. Potremmo continuare a lungo nelle citazioni per dimostrare la vitalità della lingua latina che andrebbe, invece, considerata “in sonno” e suscettibile di essere risvegliata ad una nuova stagione di universalità. Tanta è la potenzialità che si trova racchiusa nella sua struttura logica da poter riprendere, ove lo si volesse, il normale processo evolutivo bloccato da una Chiesa cattolica tanto intellettualmente pavida, dopo l’attacco della Riforma, da rinchiuderla, cristallizzandola, dentro una metaforica teca di vetro per poi abbandonarla al richiamo della sirena della modernità.
L’Europa, da non confondere con la UE, è sotto attacco portato mediante l’invasione di popoli e “culture” il cui livello logico dei canali mentali, quelli della lingua, non consentirà mai la loro integrazione se non a livello elementare o, tutto al più, economico. Imparare una lingua tra le diverse della babele europea, come si richiede per la mitizzata “integrazione”, non significa pensare in quella lingua, ma solo acquisire un mezzo strumentale di comunicazione. Il decantato apporto di nuove culture che dovrebbe arricchirci, secondo gli sproloqui di Attali in Francia o della presidenta Boldrini in Italia e di altri sciolti e a pacchetti sparsi in Europa, è privo di senso. Lo acquisterebbe solo se, per effetto della lobotomia di cui si è detto, l’europeo si riducesse al livello dei canali mentali di chi non ha mai concepito il processo della conoscenza “che tende indefinitamente all’infinito, mediante la progressiva acquisizione di valori finiti” (Nicola Cusano).
Potremmo continuare a lungo con le citazioni tratte dalle opere dei giganti del pensiero e di coloro che andarono alla ricerca della verità guardando “al di sopra delle spalle dei giganti” (Newton dixit), ma senza alcuna speranza di suscitare negli europei il benché minimo moto di orgogliosa dignità perché il processo di lobotomizzazione è, purtroppo, molto avanzato.
Il nuovo medioevo in corso, altamente tecnologicizzato (sic) come fu a suo tempo quello vecchio, mostra un popolo europeo che non pensa più, non ha una lingua con la quale esprimersi e mediante la quale perseguire la conoscenza. Ne ha ventiquattro più le lingue degli immigrati, ma esse producono solo rumore assordante. Alla civiltà europea, ammesso che se ne possa ancora parlare, si addice la definizione che riportammo di recente su queste pagine: << …è un immenso lago siccitoso ove da più di un secolo nessuno immette acqua nuova e pura; si tira avanti con un continuo riuso del liquido vecchio grazie a tecniche nuove. Una civiltà – un lago – che non si rinnova non è più una civiltà e la muscolatura che la rafforzava diventa in breve una corazza che opprime dittatorialmente i suoi sudditi.>>