Mini: tra pauperismo giustizia sociale tecnica e sacralità sa per dove naviga Francesco?

12 Luglio 2015

Mino Mini

Medioevo e dintorni – 6         REGRESSIO AD SERVITUTEM           <<Se tu ascolti la sua voce e fai quanto ti dirò,io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari>> [ Esodo 23:22]

 A che prezzo?

      E’ ciò che occorre chiedersi dopo una disamina serrata dell’enciclica Laudato si’ e delle conseguenti azioni del suo autore. Non soltanto in termini di favoreggiamento dell’immigrazione, ma soprattutto in termini di amore per i “poveri” resi tali dai disastri ambientali e dallo sfruttamento indiscriminato dell’ambiente. Facendo riferimento ad un celebre discorso pronunciato dal costantinopolitano Patriarca Ecumenico Bartolomeo a Santa Barbara – California l’8 novembre del 1997, Francesco I° rileva come lo stesso avesse richiamato l’attenzione sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci inviterebbero a cercare soluzioni non solo nella tecnica,ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti si sarebbero affrontati soltanto i sintomi. Ebbene è proprio di tale cambiamento che occorre chiedersi il prezzo. In che consisterebbe il cambiamento dell’essere umano? Il Patriarca Ecumenico ha << … proposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere…>>.
Dov’è il “cambiamento dell’essere umano”? Qui si parla di carità e, per dirla con Gabriele Adinolfi, <<La carità che “frutta più del traffico di droga” deve essere additata per quello che è: un’impresa di speculazione, di sfruttamento, di schiavismo mascherato, che, succhiando scandalosamente ingenti fondi pubblici tra l’altro in epoca di crisi finanziaria, si fa volano di terrore e di potenzialità genocide.>>
Eppure del cambiamento dell’essere umano vi è un disperato bisogno perché la povertà che sta tanto a cuore al Papa è soprattutto frutto dell’indigenza morale, prima che di quella materiale, che porta l’uomanoide contemporaneo a rinunciare alla propria dignità ed a ridursi a forza lavoro ovvero a semplice strumento dell’economia. Il papa spasima per i poveri, ma non rimuove l’equivoco, generato dal marxismo, che identifica il lavoratore – categoria etica dell’economia reale – con la forza lavoro espressione del capitale. Si preoccupa di alleviarne la condizione di miseria, ma non l’aiuta a formarsi una vera coscienza etica e lo condanna a rimanere nella condizione di servo.
Quella coscienza così necessaria per la comprensione del rapporto uomo-natura – l’uno ospitato, l’altro ospitante -, così necessaria per superare quella crisi esistenziale dell’uomo che perduto il “senso del sacro” che connotava il mondo prima del cristianesimo, vive quell’angoscia della finitudine che Romano Guardini, maestro riconosciuto di Francesco I, riscontra sotto forma di crisi religiosa. Perché il dramma vero, sul quale ritorneremo più avanti, sta nel fatto che l’uomo dalla vita finita, nella dimensione temporale, nella visione biblica e cristiana, è cosa separata dalla natura che gli sopravvive. Rifiuta la realtà che lo vede in rapporto di reciproca dipendenza con la stessa e pertanto non sa “leggere” l’esatto significato dei fenomeni che, lucidamente, individua come sintomatologia. E’ l’equivoco in cui si è imbattuta l’enciclica a proposito delle cause all’origine del disastro ambientale. Le attribuisce alla tecnologia – che più correttamente dovrebbe chiamarsi tecnica – sfociata nella conseguente tecnocrazia e, seguendo Romano Guardini, nell’antropocentrismo moderno.
         ” L’antropocentrismo moderno, paradossalmente, ha finito per collocare la ragione tecnica al di sopra della realtà, perché questo essere umano <<non sente più la natura né come norma valida, né come vivente rifugio. La vede senza ipotesi, obiettivamente, come spazio e materia in cui realizzare un’opera nella quale gettarsi tutto, e non importa che cosa ne risulterà>>”
         Verissimo quanto afferma papa Francesco I citando il suo maestro, ma ne nasce un quesito: perché si è arrivati a tanto?
         La risposta potrebbe trovarsi in quel comandamento biblico di dominare e soggiogare la natura, ma sarebbe assai semplicistico. Secondo chi scrive si è arrivati a tanto per il processo di desacralizzazione che si è montato all’interno della Chiesa. Thomas Molnar lo definì la crisi del Sacro cui corrisponde la crisi della Chiesa. Il cristianesimo, secondo Molnar, aveva “introdotto una nuova concezione del sacro: mediatore della trascendenza fuori dell’universo (Dio non già immanente, bensì trascendente, creatore ex nihilo) e non più mediatore e propiziatore delle forze della natura” e questo avrebbe permesso alla religione cattolica di riportare il sacro al suo giusto posto in quanto la crisi attuale è crisi di civiltà, non del cristianesimo.
         Ad avviso di chi scrive la crisi è prima del cristianesimo e poi della civiltà cosiddetta occidentale. E’ infatti alla Riforma che ha generato il mondo moderno che va fatta risalire la crisi del Sacro. Lo afferma lo stesso Th. Molnar: “Dato che l’uomo non può vivere senza il sacro, la conseguenza di questa radicale desacralizzazione è l’autosacralizzazione dell’uomo stesso, e ancor più delle sue pulsioni animali” Proprio l’obiettivo della Riforma con la sua esaltazione della individualità degenerata in soggettivismo o antropocentrismo moderno.
           Ed ecco il punto. L’enciclica Laudato si’ non si preoccupa della sacralità della natura perché, per dirla con il domenicano Giacomo Grasso : …il “sacro” non appartiene al regime cristiano .. , ma non si preoccupa nemmeno dell’uomo se non nella sua condizione di “povero”. Non lo spinge al riscatto da quella regressio ad servitutem richiamandolo alla responsabilità di essere “partecipe della natura divina” – come proclamò Giovanni Paolo II° nell’omelia Natale 1999. Non lo richiama alla responsabilità di se stesso e di curatore di quel creato la cui temporalità sfugge all’esperienza umana.
       In antico l’uomo, nel tempo assegnatogli per la propria esistenza, creava lo spazio sacro. Creare il mondo nell’arco di tempo che circoscrive l’esistenza dell’uomo-artista è sempre stato, sin dai tempi primordiali, un atto sacrale di mediazione con il divino in quanto inserimento di un’opera nuova nel già creato, nel mondo che esisteva prima del creatore e che sarebbe esistito ancora dopo il suo passaggio. L’opera metteva in relazione terra e cielo, l’uomo con la Divinità.
         Con l’avvento del cristianesimo e della buona novella, alla sacralità si sostituì la libertà responsabile dell’uomo perché lo stesso, tramite il sacrificio del Cristo, era divenuto partecipe della divinità. Ora l’enciclica Laudato si’ denuncia il disastro che l’esercizio deviato di questa libertà responsabile ha generato e ancora non si accorge che il grande vuoto del deserto della modernità si è esteso fino a penetrare dentro quelle oasi che, per lo Jünger del Trattato del Ribelle, la Chiesa avrebbe potuto creare perché alimentate dalle fonti che sgorgano dall’Assoluto. Ne viene che il rapporto uomo-natura invece di evolversi in una forma che riprenda la sacralità della creazione viene a ricostituirsi nei termini biblici di antropocentrico dominatore e di spazio e materia dominate foriero di equivoci e di futuri disastri.
         Ma sarebbe possibile riprendere la sacralità della creazione e con la stessa riportare il rapporto uomo-natura nei giusti binari? Se la risposta è positiva la domanda è: come?
       Rifacendoci alla tradizione.
         Proviamo a spiegarci più chiaramente. Il tempo dell’uomo è irreversibile mentre quello del creato sfugge alla nostra esperienza; ne consegue che l’uomo, ancorchè esprima il sacro (che è senza tempo), lo fa nel tempo profano e con la coscienza acquisita mediante l’esperienza del reale comprensiva dell’operato di chi lo ha preceduto. Il modo di compiersi dell’atto sacrale della creazione costituisce ciò che definiamo come “forma” , ovvero il rapporto che lega insieme (e quindi simbolizza) l’uomo creatore, variabile nel tempo, al già creato che invece è costante. Questo rapporto che contempla una costante nel mutamento è, per sua natura logica, ciclico ed è ciò che costituisce l’oggetto del “tradere”, ovvero del trasmettere da un transeunte creatore all’altro il principio del creare. Questa forma, questo modo di compiersi dell’atto sacrale, rimane saldo nel tempo “modificando la storia” come afferma Jünger. Questa è la forma-tradizione, il principio che regola il processo di formazione-creazione del mondo fintanto che “le tavole dei valori” mantengono il loro significato. Dalla cristianissima Riforma in poi e più acutamente dal laicissimo Illuminismo furono proprio i valori su cui si reggeva il mondo occidentale a perdere significato.
         Oggi siamo alla catastrofe ambientale provocata sempre dai cattivi e subita, va da sé, dai “poveri” che, per questo, hanno il diritto di abbandonare la loro terra senza riscattarla dal degrado per essere accolti dalla carità interessata dei “buoni”.
Laudato si’.