Rifondare l’Europa e pilotare il riscatto europeo e urbanistico

02 Marzo 2016

Mino Mini

 

 

 

 

 

PILOTARE IL RISCATTO 3

 

 

L’EUROPA E LA CITTA’

 

 

 

 

 

E’ dura a morire, ma se Alexander Boris de Pfeffel Johnson – sindaco di Londra – ci darà una mano portando l’Inghilterra fuori della UE e gli Stati dell’est europeo, insieme a quelli baltici, tradurranno in atto il proposito di chiudere le frontiere per frenare l’invasione dei cyberimmigrati che si accodano ai profughi, potremo finalmente dire: l’Europa è morta! Viva l’Europa!
Cinismo di euroscettici il nostro?
Tutt’altro.
E’ il desiderio di dar vita ad un’ Europa che non c’è e che non sarà se non alla scomparsa di questa UE. Il nostro è il sogno di un superorganismo geopolitico di ordine superiore: una TOTALITA’ di pensiero, di scienza, di economia, di filosofia, di arte. E’ il desiderio, o ancor meglio l’esigenza, di un’ Europa che non sia soggetta alla dittatura degli indici di Borsa, che non si rifletta unicamente nel Pil né si esprima banalmente con i numeri dei bilanci o del debito pubblico. Un’Europa dove non possa avere cittadinanza l’aberrazione intellettuale e politica del     “fallimento” di uno Stato, quale fu partorito nell’ottobre del 2010 sulla spiaggia di   Deauville dal duo Sarkozy-Merkel, allo scopo di impadronirsi delle risorse di un popolo.
Come si può arrivare a realizzare questo sogno?
L’abbiamo detto più volte.
Facendo la rivoluzione che deve essere, prima di tutto, culturale. Si tratta, in sostanza, di sovvertire il modo di pensare corrente recuperando il concetto di organicità ovvero di entità formata di parti correlate tra loro. Tramite tale concetto ogni singolo Stato componente deve riscoprire il proprio territorio come simbiosi di uomo e natura, come ubi consistam della propria identità e quindi della propria sovranità.
Ma identità significa completamento del proprio processo di formazione perché il mancato raggiungimento del proprio completamento – la propria entelechia – comporterebbe una ridotta capacità di accedere al livello superiore europeo.
La ridefinizione da parte di ogni Stato del proprio organismo territoriale è la premessa indispensabile per assurgere ad un superorganismo Europa. La stessa, dovrà possedere caratteri di organicità di livello superiore che i singoli organismi nazionali compiuti non posseggono per poter divenire sintesi dei diversi Stati componenti e non semplice sommatoria dei medesimi. Un’ Europa basata sull’uniformità degli aspetti settoriali, quali quelli economici ad esempio [ BCE per intenderci], non potrà mai raggiungere l’organicità necessaria a divenire una totalità ed esercitare una reale sovranità che non sia imposizione di alcuni sugli altri.
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 La riflessione di cui sopra prende spunto dal controsummit dell’Austria e dei Paesi Baltici, nonché dalla presa di posizione dei Paesi europei dell’est che, riconquistata la propria identità dopo il disfacimento dell’U.R.S.S., la vedono ri-compromessa con l’adesione ad una UE che, per ragioni economicistiche, ha aperto le porte all’immigrazione indiscriminata che favorisce la dissoluzione. L’azione delle nazioni partecipanti al controsummit, in particolare l’isolamento della Grecia, dimostra chiaramente come l’Europa non abbia raggiunto il grado di organismo territoriale di ordine superiore, ovvero di Totalità, rimanendo al livello di insieme disorganico ed indeterminato di Stati.
In queste condizioni le differenze circa i valori di riferimento tra l’Europa dell’ovest e quella dell’est si ripresentano allorché l’invasione di profughi ed immigrati si affaccia alle frontiere che delimitano la UE dal Mar Baltico al Mediterraneo ( Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia ). Pur essendo tra le nazioni europee con la più bassa densità di abitanti – dai 29,62 ab/kmq dell’Estonia al massimo dei 123,25 ab/kmq della Polonia – sono tra le più preoccupate per il delicato equilibrio su cui si regge la loro identità riconquistata da appena cinque lustri.
Alla chiusura delle frontiere dell’est UE sta facendo seguito una analoga posizione da parte dei paesi balcanici talché l’Italia e la Grecia, marche di confine dell’Europa con il Mediterraneo, si trovano a dover sostenere il maggior peso di una politica dissennata ed esiziale per l’identità, oltre che per l’economia, di entrambi i paesi.
Qualcuno potrebbe ritenere essere, il nostro, un eccesso di catastrofismo oltre che di euroscetticismo, ma valgano le considerazioni che seguono a sostegno di quanto esposto sin qui.
Al tempo della città degli uomini gli stessi, in rapporto simbiotico tra l’uomo e l’ambiente, “costruivano il mondo”. Ne conseguiva che la città “formava” il cittadino e quest’ultimo formava la città in un reciproco condizionamento. Nacque da questo rapporto simbiotico la città europea, massima espressione di civiltà urbana, che inverava in termini di case, strade, monumenti etc. le peculiari “visioni del mondo” che ciascun popolo europeo aveva raggiunto.
Allorché si ebbe l’esplosione demografica, l’esigenza di dar ricetto abitativo, economico e politico ad una popolazione in continuo aumento generò la trasformazione dell’uomo in mutante e l’accrescimento metastatico dell’organismo urbano in periferie.
Oggi viviamo nell’era del cyborg, il mutante contemporaneo pressoché totalmente proletarizzato. In Europa non si costruisce più il mondo e le nuove generazioni, nate e cresciute nelle periferie e dalle stesse condizionate, non possono comprendere il valore della città europea ed inconsapevolmente accettano il degrado della civiltà urbana. L’immigrato, invece, è colui che fuggendo dalla borderline africana, asiatica, mediorientale rimane affascinato da quello che resta della città europea.
Da qui il dramma che l’Europa sta vivendo. L’europeo ha tradito se stesso; di fronte al fallimento della visione moderna della città e del mondo non si rimette più in gioco, come era nella tradizione della sua cultura, e le nuove generazioni si ritrovano allo stesso livello di partenza degli immigrati, ma con un diverso atteggiamento e con potenzialità diverse: indolente l’europeo che ha perduto i propri valori ridotti a “diritti”; conquistatore e predatore l’immigrato che impadronendosi della città crede di impadronirsi della civiltà che l’ha espressa.
Intuitivamente le nazioni dell’est europeo, che hanno vissuto un’esperienza urbana culturalmente diversa da quella del cosiddetto occidente riuscendo a non perdere totalmente la loro identità, (si pensi a Varsavia ed alla ricostruzione del suo centro storico), vedono con apprensione il cedimento morale e intellettuale della UE. Ne viene che, in mancanza di un fine superiore di civiltà di matrice europea che freni l’attuale deriva culturale, chiudono le frontiere per attuare il controllo di un fenomeno che tende a rivelarsi distruttore.
Mette conto, con un breve inciso, ricordare la illuminante vicenda di Varsavia. Distrutta per due terzi dai tedeschi dopo la rivolta del ghetto, a guerra finita si pose il problema se ricostruire o abbandonare la città. Nel marzo del 1946 il ministro per la Ricostruzione, Michal Kaczorowsky, in un discorso alla Compagnia degli urbanisti polacchi pose il problema della ricostruzione di Varsavia per ridare la capitale alla nazione polacca. Subito la cultura urbanistica polacca rappresentata nel BOS, Biuro odbudowy stolicy (Ufficio per la ricostruzione della capitale), presentò un sistema articolato di progetti per realizzare una città spiccatamente funzionalista secondo i principi formulati dalla Carta di Atene.
Anche l’area medievale della Città vecchia era pressoché distrutta e la sua ricostruzione poneva un problema capitale: come dovevasi ricostruire? La cultura moderna si trovò impreparata ad affrontare un tale tema così come si troverebbe ancora oggi. Risolse il problema Edmund Goldzamt, il teorico del realismo socialista polacco, formatosi a Mosca presso l’Istituto di architettura. Avendo a riferimento i concetti del piano di ricostruzione di Mosca di Semenov e Cernyšev del 1935, tracciò la direttrice della ricostruzione del Centro medievale mediante la formula ” com’era, dov’era” che fu attuata fedelmente.
Oggi che il Centro di Varsavia è entrato a far parte del Patrimonio dell’Umanità dal 1980, la critica contemporanea, che osteggiò e criticò questa ricostruzione definendola “un falso storico”, la giudica << uno degli esempi più alti di manifestazione della cultura polacca a cui non era possibile rinunciare>>.
Cosa ci dice questa vicenda?
Che la cultura moderna, pur avendo riempito l’Europa di miliardi di metri cubi di edifici e le biblioteche di centinaia di trattati di urbanistica, non è mai stata capace di realizzare una nuova città europea, pur disponendo di una cultura tecnica agguerrita e capace di ardite e sorprendenti realizzazioni. La ragione è che non è più capace di ” costruire il mondo”, ovvero la Totalità. La stessa ragione per la quale non è stata capace di costruire l’Europa.
         Per questo serve la rivoluzione culturale.