Referendum sulle piattaforme. Perché andare a votare, perché votare si

13 Aprile 2016

Dichiarazione Eulà

 

 

 

 

 Ambiente, sovranità, autonomia energetica e salute

Il si è soltanto un primo passo per voltare pagina

L’incidenza delle produzioni delle estrazioni sottomarine nazionali è irrisoria sul consumo energetico interno, i pericoli sono incomparabilmente superiori. – Prendere coscienza dei grandi rischi eco-ambientali che ci gravano addosso – L’Italia è ad altissimo rischio per l’interazione di fattori naturali, industriali, politici. – Procedere alla realizzazione  di un Piano Strategico di Difesa Nazionale a cui associare i Paesi rivieraschi dell’Adriatico, la costa jonica della Grecia, gli italiani de La Valetta e la Tunisia. – Sviluppare le nuove prospezioni soltanto nella Zona Economica Esclusiva. Tale quadro andrebbe esteso ai bassi fondali fra Italia e Algeria, Italia e Spagna, e, con Parigi relativamente all’intera costa degli italiani di Corsica e alla sua proiezione sulla costa ligure-azzurra, da Mentone e Nizza a Istres. – Un siffatto Piano Strategico di Difesa Nazionale andrebbe realizzato in ambito Unione Europea e quindi in ogni Stato aderente e in Serbia,Turchia, Marocco, in base alle specificità  geo-marittime ambientali e geo-economiche.

 

 

 

 

 

 

 

Invitiamo a recarsi ai seggi elettorali per votare si per la chiusura dei pozzi petroliferi lungo le nostre coste. Speriamo vivamente che il quorum dei partecipanti venga raggiunto.
La richiesta referendaria, che si base sulla realtà normativa vigente, è coerente ma l’esigenza effettiva del Paese presente oramai caratteri emergenziale e non rinviabili.
La nostra Nazione si deve dotare quanto prima di uno strumento politico fondamentale, ossia il Piano strategico delle priorità della Difesa. Un piano rivoluzionario e indispensabile in cui dovrebbero figurare, assieme all’individuazione delle linee di autonomia energetica e dei suoi approvvigionamenti, innanzitutto i cardini della protezione dell’ambiente dai rischi da incidenti e da aggressioni terroristiche. E in modo susseguente attuare gli specifici protocolli di prevenzione del terrorismo eco-ambientale, di infiltrazioni per attacchi “grigi”, di incidenti di qualsivoglia natura possibile.
La molteplicità dei rischi e delle variabili prevedibili in campo che la presenza di un’installazione petrolifera e di estrazione del gas, come continua a insegnare di anno in anno la vita concreta in ogni parte del mondo a iniziare dagli USA, supera ogni prevedibile “previsione”, non solo in merito alla mappatura sistemica di tale impresa quanto in merito all’effettiva efficienza della prevenzione davanti a ogni caso, a ogni situazione. Specie, sottolineiamo ancora, in merito all’imprevedibilità nascosta fra le pieghe del prevedibile. Sottolineiamo soprattutto che l’incidenza diretta o indiretta di eventi naturali di particolare intensità e diversa origine sono imprevedibili e possono generare conseguenze catastrofiche oltre misura, di fronti quali impatto e fall-out sarebbero incalcolabili nelle conseguenze a breve, medio e lungo termine (maremoto di Messina del 1011 insegna, tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano e tsunami giapponesi insegnano, meteoriti sulla Siberia insegnano).
L’attuale realtà costituisce un rischio incalcolabile che non ci possiamo assolutamente permettere. Italia (che ha uno sviluppo costiero enorme: ottomila km. di coste) e Grecia sono i Paesi a massimo rischio nel Mediterraneo, per non parlare del Mediterraneo nella sua totale estensione.
L’Italia presenta condizioni di assoluta fragilità specifica e generale a cui dobbiamo porre riparo. Il beneficio concreto che arrecano le estrazioni di petrolio e di gas sono assolutamente irrilevanti nell’ambito dei consumi interni e arrecano una condizione di potenziale tragica sproporzionalità fra i benefici arrecati e i danni che possono produrre su scala non insignificante e in riferimento alle piccole ininterrotte somme dei non rilavati “piccoli e irrilevanti” danni che in maniera quasi omertosa producono da anni.
Queste risorse andrebbero sfruttate soltanto in condizioni di estrema necessità e urgenza in caso di prolungato blocco delle importazioni dei rifornimenti di petrolio e di gas.
Nel contesto attuale, dal momento in cui sono letteralmente crollati i prezzi dei combustibili fossili e rilevato il fatto che ciò perdurerà nel tempo per un intreccio di fattori oggettivi, risulta ancora più irricevibile la richiesta di prolungare le estrazioni fino alla scadenza naturale delle licenze o all’esaurimento dei giacimenti interessati.
I fattori oggettivi direttamente individuabili sono i seguenti: gli USA sono tornati a essere rilevanti esportatori di petrolio, l’individuazione di nuovi enormi bacini nelle più diverse aree del pianta dalla regione del Polo Nord all’Angola, l’ininterrotta crescita tecnologica dei generatori di energia solare, eolica, geotermica e marina e della produzione di questa energia (in particolare in Germania, Italia, Cina, USA per quella solare e eolica), l’esigenza da parte dei Paesi produttori di dotarsi di tali fonti e di centrali nucleari (Iran e in prospettiva Arabia Saudita), l’esigenza dei nuovi maggiori consumatori (Cina, India) di attuare immediati programmi di diversificazione dei consumi.
In questo contesto, il crollo dei prezzi del greggio potrà produrre più prolungati effetti negativi di ritorno, visto che molti Paesi produttori del Terzo e del Quarto (cosa già in atto non solo in Angola) mondo possono precipitare in condizioni di accentuata se non duratura decrescita e quindi produrre effetti direttamente incidenti sulle riduzioni delle esportazioni di tecnologia e industriale in generale occidentale, in questo specifico caso italiane.

 

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In realtà, per arrivare a una minima efficiente difesa biologica e ambientale bisognerebbe tassativamente non consentire perforazioni entro le acque territoriali. 12 miglia (meno di 24 Km. dalle coste) sono distanze ridicole che non possono evitare affatto evitare eventi tragici. Il nostro piccolo “ecosistema” va difeso a denti stretti. Le perforazioni andrebbero fatte oltre l’orizzonte ( km 172), per essere più precisi in termini tecnici solo entro la Zona Economica Esclusiva (Trattato mondiale di Montego Bay), le profonde acque blu su cui deteniamo il controllo del patrimonio ittico e delle risorse sottomarine. In miglia, dovremmo orientarci, comunque  sempre oltre le 45 miglia. Il caso specifico dell’Adriatico, mare piatto e privo di profondità, dovrebbe sollecitare a maggior ragione l’attuazione di misure di estrema urgenza su cui M.M.I. e Capitanerie di Porto, C.N.R. e centri di ricerca, Finmeccanica e altre industrie di alta tecnologia dovrebbero provvedere a realizzare un sistema di rigoroso monitoraggio e controllo a cui associare gli altri Paesi rivieraschi, idem per la costa jonica italo-greca. Lungo i bassi fondali del Canale di Sicilia, andrebbero associata la “Repubblica” dei siciliani – italiani di Malta (i quali dovrebbero velocemente riscoprire la loro storia dopo due secoli di vergognoso sfruttamento coloniale inglese: una purulenta piaga per ogni italiano dotato di un minimo di coscienza storica e civile, da quelli svizzeri del Canton Ticino e da Belluno e da Sondrio a La Valletta, specie in riferimento all’abolizione della lingua madre italiana nelle scuole imposta dagli inglesi nel 1933: purulenta piaga che andrebbe definitivamente sanata con l’unificazione) con il diretto imput dell’Unione Europea modo tassativo, e la fraterna Tunisia. Tale quadro andrebbe esteso ai bassi fondali fra Italia e Algeria, Italia e Spagna, e, con Parigi relativamente all’intera costa degli italiani di Corsica e alla sua proiezione sulla costa ligure-azzurra, da Mentone e Nizza a Istres e sulla costa dell’Italia centrale. Inclusione euromediterranea similare dovrebbe avvenire per coste marocchina-ispanica e ispanica-francese, per la costa greca e greco-cipriota e quella greca, per il Mar Nero in tutta la sua estensione.
Realizzare le perforazioni a tali distanze non annulla i rischi e non azzera i “micro inquinamenti” del mare: consente di evitare l’immediatezza del disastro ambientale e permetti di poter disporre di più ore di tempo, preziosissime, al fine di attuare misure più idonee e efficaci di contenimento dei danni prodotti da un attacco eco-terroristico o di altra origine o da incidenti o da assolutamente imprevedibili eventi naturali.
Comprendiamo che la chiusura dei pozzi produrrà una serie di non piacevoli problemi per Saipem/ Eni, parlamento e governo, ma essi sarebbero di breve durata. Questo passaggio consentirebbe, per altro verso, una forte sollecitazione all’incremento della ricerca tecnologica per l’ammodernamento potenziamento  dei mezzi di  estrazione delle piattaforme e delle navi per operare in aree lontano dalle coste e in acque più profonde, consentirebbe perciò un rilancio in grande stile in un campo in cui Saipem è una società industriale di primo piano a livello mondiale, fermo restando il principio di restringere sempre di più nel corso del tempo il ricorso al petrolio come fonte energetica preponderante a livello nazionale, europeo e mondiale. Ridurre gli indici di inquinamento è infatti una questione di primaria importanza per l’ambiente antropico, e non soltanto.
Andiamo dunque a votare in modo convinto e sereno per il si per salvaguardare il futuro dei nostri figli, della fauna e della flora, della natura in cui viviamo. – (Domenico Cambareri per L’Europa della Libertà)