Ora basta. Il Quirinale non ci rappresenta. Il 25 aprile non è festeggiato per la fine della guerra ma per i sopravvissuti autori delle mattanze e i loro sparsi eredi

25 Aprile 2016

Domenico Cambareri per Eulà

 

 

 

Ora basta.

Il Quirinale non ci rappresenta.

Il 25 aprile non è festeggiato per la fine della guerra ma per i sopravvissuti autori delle mattanze e i loro sparsi eredi

 

Da via Rasella a San Possidonio alle Foibe ai Gap di Milano all’infame partitocrazia che ci divora. – Lo scorso febbraio non abbiamo voluto commemorare le vittime delle foibe per non mischiare le nostre parole e i nostri sentimenti con quelli dell’attuale inquilino del Quirinale.

<< Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. E’ una pedagogia impietosa, una lezione feroce >>.  
(Giorgio Bocca, già fanatico fascista, “Storia dell’Italia partigiana”)

 

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Giuseppina Gherzi e i suoi violentatori e massacratori.

Mattarella, nessuno più ci fermerà: Verità e Libertà

 

Per lunghi decenni abbiamo sempre teso la mano e abbiamo aspettato che le frange estreme dei falsificatori del regime partitocratico e di chi con loro era ed è rimasto ancora colluso rinsavissero. Anche se la gran parte di quei protagonisti è morta, i loro succedaneifeudatari e gli scheranispazzaturapanzana – quantità per di più estremamente esigue di individui – che trasversalmente hanno occupato e occupano gran parte della gestione del potere nei più diversi settori della politica, della cultura e dell’informazione non hanno purtroppo mai receduto e non recedono dall’imporre l’ignominia delle falsità della loro vulgata, anche davanti a un perimetro di effettiva recezione pubblica sempre più ridotto.

Non ci siamo mai illusi sulla reale portata della nostra azione, ma ritenevamo e riteniamo che essa fosse doverosa, coerente, sincera e che mirava innanzitutto al definitivo superamento degli steccati a pro dell’unità del nostro popolo e dell’onore del nostro Paese. In particolare, abbiamo sempre evidenziato la nostra aperta contrarietà verso la tradizionale impostazione dei presidenti della Repubblica i quali, con rare eccezioni, anziché svolgere il ruolo di pacificatori e di garanti della ritrovata unità del popolo (pur nelle sue accentuate differenziazioni partitiche), preferirono e hanno preferito con ostinata pervicacia rivolgere la loro attenzione a quel breve ma infausto e terribile passato. Un passato impastato nel sangue, nelle silenti minacce, nelle discriminazioni e nelle falsità: peggio del peggio di quanti furono degenerati fascisti.
Un passato rappresentato dall’azione nefasta di appena 80.000 italiani – parole di Leo Valiani – datisi alla macchia o rimasti nei centri abitati i quali agivano con assassinii mirati, agguati, attentati e stragi al di fuori dalle regole delle convenzioni internazionali di guerra, inasprendo oltre ogni dire lo scontro bellico e facendo esplodere una guerra civile che scavò enormi fossati di odio e di gravissime, durature e silenti minacce perpetrate per decenni in tanti centri piccoli e meno piccoli del nord e del centro Italia.
Una cifra irrilevante costituita da “antifascisti”, soldati sbandati, cittadini che reagirono per vendetta e odio a violenze commesse da tedeschi o da italiani in divisa della RSI, criminali comuni.

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Nei primi anni del nuovo secolo, tramite la disponibilità di Giano Accame ad aprire il contatto diretto, raggiungemmo l’intesa con l’erede spirituale e politico di Randolfo Pacciardi , fondatore di Nuova Repubblica, già leader repubblicano e esponente di primissimo piano dell’antifascismo anche sul fronte spagnolo ma coerente esponente del patriottismo nazionale che ebbe a dire sino alla morte che l’arco della Vittoria di Bolzano era l’ Italia viva e palpitante e il suo simbolo e che non andava minimamente toccato (un preciso altolà ai corrivi comunisti, agli eredi dei terroristi altoatesini di lingua tedesca, ai governi italiani di allora e di dopo); stavamo dicendo dunque di un accordo con il dr. De Martino per arrivare a un incontro fra gli esponenti della su associazione e gli amici che erano accanto a Gino Ragno e me (e, quasi certamente, accanto a Giulio Maceratini) al fine di allargare la pacificazione realizzata negli anni ’70 già da Gin Ragno e da altri esponenti della destra nazionale e sociale e esponenti e gruppi della resistenza non comunista.
Purtroppo, questo progetto che aspirava a realizzare pure possibili intese di comunanza politico-programmatica idonee ad aprire nuovi spazi e nuove prospettive allo scenario politico nazionale e nuove opzioni di scelta agli italiani non fu realizzato a causa della non contigente proibitiva condizione di salute che ci aveva colpito. Erano gli anni in cui un ex giovane azionista e ex giovane ufficiale dello sbandato esercito regio nei cruciali giorni della disfatta, diventato Presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi, con limpidezza intellettuale e morale aveva già intrapreso un’azione di importante riconciliazione nazionale per cui veniva riconosciuto come il Presidente della cara Patria, come già Segni negli anni sessanta, pure dai neofascisti e fascisti furi tempo e immaginari e afascisti e appartenenti ai più diversi partiti che giammai avevano accettato le falsità del cln e della partitocrazia sicaria della costituzione repubblicana.
In anni immediatamente successivi, sotto l’orchestrato attacco interno e internazionale, Silvio Berlusconi purtroppo recedeva dalla sua fino ad allora coerente denuncia della farsa grottesca e sanguinosa del 25 aprile e accettava la sempre reiterata, scellerata proposta del leader postcomunista sempre comunista e sempre sconfitto – prima e dopo – Bersani di recarsi insieme il 25 aprile davanti a un monumento per commemorare la “liberazione”. Una disfatta morale e politica di Berlusconi irrimediabile, che in tal modo sanzionava di essere oramai nelle mani del primo orchestratore della campagna di calunnie e di quanto da esse conseguiva di diretta quotidiana delegittimazione morale del suo governo e delle ininterrotte addizionali speculazioni a danno della nostra economia.

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Non è assolutamente plausibile poter giustificare in alcun modo questo fanatico accanimento nello spargere falsità fino ad oggi e nel nascondere il reale fenomeno di bande non patriottiche che per loro stessa ammissione sin dal primo momento – anche in riferimento a quelli paludati da nobili pretese ideali – non furono altro che bande, fazioni, bande di parte che mai vollero organizzarsi in reparti regolari dell’esercito regio (l’ “esercito del sud” rimasto fedele al re), mai indossare divisa e distintivi. Essi condussero, in dispregio alle norme internazionali di guerra, vigliacche azioni di guerriglia e di terrorismo.
Inappellabile è rimasta e rimane la nostra condanna verso i partigiani comunisti e quei partigiani loro accoliti che condussero più che una guerriglia per bande esclusivamente attività terroristiche secondo le metodologie dottrinarie e operative e le prassi della “tattica” tipiche della guerra rivoluzionaria bolscevica. La loro azione era scopertamente anti italiana in ogni senso e sfruttava il crollo bellico della Nazione per allargare il baratro e realizzare la nientificazione degli ancor sopravviventi valori di appartenenza, di amor patrio, di difesa dell’inerme popolazione civile.

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La popolazione civile: essa invece diventò per i partigiani comunisti immediato e aureo strumento e obiettivo da utilizzare nei modi più abietti e criminali, ovvero carne da macello, rendendola ostaggio dei loro ricatti e delle loro minacce, collocandola al centro della terra di nessuno, soggetta alle violenze più estreme, da qualunque parte esse provenissero!

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Su quanto è continuato ad accadere da diversi anni in qua, nessuno degli esponenti del regime della partitocrazia mafiosa ha più avuto la possibilità di trincerarsi in modo esplicito o implicito dietro la vigenza del “trattato di pace” con cui fu incaprettata dalla mafia della “libertà” angloamericana la nostra ITALIA. Un trattato della vigenza cinquantennale (e non, come da lunga tradizione, ventennale), dei cui contenuti poco o nulla sanno gli italiani. Premesso e precisato che quand’anche vi fossero ancora vigenti dei protocolli segreti allegati, e mai rivelati, al “trattato di pace”, essi dovevano essere denunciati contestualmente allo scadere dei cinquant’anni del trattato della resa senza condizioni, o avrebbero dovuti essere denunciati in un “dopo” “quanto prima”, e ancora oggi dovrebbero reiteratamente denunciati. L’altro vincitore, l’Unione Sovietica, non esiste da 26 anni e la Russia non avrebbe avuto e non avrebbe certo motivo di rivendicare il ruolo di sua erede, ipotesi estrema e assurda che andrebbe del pari rigettata e denunciata.
Piena e totale è dunque la responsabilità di quanti hanno ricoperto le massime cariche istituzionali e dei capi dei partiti che hanno continuato per tanti lunghi decenni questa macabra messinscena che ha storicizzato e allegorizzato fatti raccapriccianti e rabbrividenti addirittura appellandoli come liberatori.

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Il turpiloquio morale e politico antinazionale non ha così più trovato idonei argini di contenimento e il partito comunista con i suoi eredi palesi e nascosti fra i postcomunisti ha avuto agio di poter continuare la sua opera distruttiva, secondo i canoni leninisti. Tutto ciò è stato garantito dalla stupidità dei loro soci e compari partigiani di altra estrazione in seno al cln (talora caduti loro stessi vittime della ferocia dei partigiani rossi) sino ad oggi: il ruolo di attore e di garante egemone della “liberazione” operata dalle bande partigiane. Banditi partigiani che nulla hanno a che vedere con il coraggio di guerrieri italiani dei secoli scorsi come Giovanni delle bande nere.
Questo ruolo di garante e egemone del cln il PCI lo ha esercitato in modo insuperabile anche all’interno della storia repubblicana sino ai nostri giorni, pure attraverso i suoi non più palesi (per loro mancata ammissione) esponenti e attraverso l’azione di sistematica mistificazione operata dall’anp e dagli istituti “Gramsci” e gli pesudostorici di professione all’interno delle università. Una storia di una Repubblica nata nel peggior dei modi, una Repubblica immediatamente tradita nella sua costituzione, nello spirito delle sue leggi dagli stessi suoi creatori. Una Repubblica la cui costituzione, per quanto inadeguata sin dal primo momento, è stata molto più rispettata dai continuatori dell’ideale corporativo e degli ideali nazionali provenienti dalle file fasciste e dai giovani neofascisti, il cui ethos civile non è affatto scemato neppure dinanzi al clamoroso fallimento di tutta una imprevidente e sciatta classe politica che li ha rappresentati nei più deplorevoli modi.

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Lo scorso febbraio non abbiamo voluto commemorare le vittime delle foibe per non mischiare le nostre parole e i nostri sentimenti con quelli dell’attuale inquilino del Quirinale. Le abbiamo ritenute nella loro scialba espressione inconsistenti e non rispondenti alla storia dei fatti. Perfino il suo predecessore, Napolitano, esponente comunista di rango e appartenente a una generazione precedente a quella di Mattarella, ha espresso in più momenti parole più ovattate e talora più rispettose e … finalmente di una certa, per quanto ben tardiva, lungimiranza. Corretto e onesto è stato il giovane Matteo Renzi, il quale nella sua stringata dichiarazione non ha esitato ad appellare con sincerità le vittime delle foibe sorelle e fratelli. Spetta ai giovani del PD di estrazione comunista, socialista, laica, cattolica porre definitivamente fine a questo scempio perché giammai nessun comunista o post comunista potrà dire, come accadde qualche anno addietro per le foibe: << Non lo sapevo, non ce lo avevano detto >>!
Lo facciamo oggi per unirle a quelle che le precedettero e che le accompagnarono in tutto in centro-nord dell’Italia, ammazzate dai partigiani.
Lo facciamo oggi, per riaffermare con assoluta dedizione la nostra posizione al servizio della verità di quei tristissimi e dolorosissimi avvenimenti.

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Per decenni abbiamo affermato e praticato il principio del dovere distinguere fra partigiani e partigiani, fra bande e bande, fermo restando l’asse veritativo di fondo:
  1. il regime fascista fu un governo legittimo voluto e garantito dall’arbitro supremo, il re, anche in riferimento alle non mai revocate limitazioni e sospensioni delle libertà statuali;
  2. l’intervento in guerra, per quanto deprecabile, fu una necessità inevadibile per non rimanere soccombenti con una non belligeranza già gravemente vulnerata dalla pirateria inglese che aveva sequestrato ingenti quantità di navi della nostra marina mercantile, per non rimanere sotto il giogo tedesco davanti al suo predominio continentale, per potere svolgere un ruolo attivo e di cuscinetto durante il conflitto, a pro di un’azione di moderazione sulla revanche tedesca, come di fatto accadde con la resa della Francia;
  3. lo svolgimento del conflitto attenne ad altri aspetti in cui la diramazione di esiziali ordini di Mussolini all’inizio della belligeranza a suo modo di vedere a pro di una posizione di interlocutorio attendismo difensivo e già diplomatico da un lato e di una “guerra parallela” dall’altro – rinunciando a sfruttare la prioritaria iniziativa dell’attacco -, gli errori strategici e le gravi inadeguatezze dottrinarie e operative delle forze armate – soprattutto quelle dell’esercizio del potere aeronavale -, le tante altre e ulteriori variabili entrate in gioco ad iniziare da quelle degli altri attori primari quali Churchill, Hitler e poi Roosvelt determinarono il rivolgimento e lo stravolgimento spaziale e temporale degli obiettivi relativi a una guerra di breve durata e incisero velocemente sulle capacità belliche del nostro apparato e delle nostre truppe diluite e disperse entro i teatri immensi e disarticolati della “guerra parallela”, mentre il coltello nella schiena de La Valetta ci dissanguava;
  4. Alla destituzione di Mussolini e al suo segreto arresto, la guerra continuava al fianco della Germania (messaggio di Badoglio) ….. invece la flotta, salpate le ancore per attaccare gli angloamericani sulle coste campane, fu fatta consegnare al nemico. La resa senza condizioni del cosiddetto armistizio voluta dagli ambienti della corte e dal “realismo” disfattista di molti gerarchi fascisti rappresentò non già la via d’uscita dalla guerra ma il precipitare nel baratro. Le forze armate collassarono, la Nazione cadde nel caos e nel terrore, il re si dette alla fuga, l’alleato divenne il nemico, il nemico divenne il liberatore. Privati di sovranità, si arrivo perfino alla lugubre sceneggiata di tentare di consegnare in Spagna una dichiarazione di guerra alla Germania. Il tragico e il ridicolo trasfusi nella premessa delle future sciagure del Paese.
  5. I gruppi di uomini dei partiti antifascisti che si attivarono approfittarono strumentalmente della resa senza condizioni e dei messaggi del re agli italiani tramite Badoglio – altrimenti avrebbero avuta credibilità nulla – e iniziarono a organizzare agguati e attentati. Le loro attività al di fuori delle convenzioni internazionali di guerra furono azioni terroristiche e di guerra psicologica lucidamente attuate al fine di instaurare un regime di generalizzata paura e di durissimo logoramento della popolazione civile e di fare attuare alle truppe tedesche ritorsioni sempre più dure. A Roma, l’enfasi del cinismo del terrore si raggiunse con la strage di Via Rasella, che colpì vittime civili innocenti e italiani dell’Alto Adige militarizzati da Hitler. Obiettivo realizzato: imporre ai tedeschi una ritorsione enorme (Fosse Ardeatine). Non possiamo non ritenere in sede storica, in sede politica e sul piano morale la sentenza definitiva del tribunale militare della Repubblica Italiana di alcuni anni addietro in riferimento al”sequestro” del contumace ottantenne ex capitano alle dipendenze del colonnello Kappler un giudizio spregiudicatamente politico e non giudiziario, nel definire l’atto terroristico partigiancomunista un atto di guerra, violando scandalosamente i contenuti del diritto internazionale di guerra.

La strage di Via Rasella segnò l’inizio di quello che i partigiani comunisti e altri partigiani di altre estrazioni avrebbero compiuto nelle più diverse contrade del centro nord nella guerra civile  e che scavò per la crudeltà dei loro agguati e delle loro stragi fossati più profondi di quelli lasciati dai vincitori e dai tedeschi sconfitti.

  1. La disfatta della Nazione e il suo cadere sotto l’occupazione dei vincitori angloamericani e dei loro alleati non risparmiò in alcun modo la nostra terra dalle distruzioni e dalle stragi della guerra. La continuazione di un conflitto già perduto avrebbe comportato più vittime e distruzioni ma avrebbe altresì comportato un più coraggioso comportamento che ci avrebbe salvato dalla malvagia nequizia della rivoluzione bolscevica nella lotta della “resistenza” all’alleato, dalla divisione in due Stati del Paese, dal renderci passivi e docili strumenti nelle mani dei vincitori, dall’aver dovuto soggiacere alla nascita della prima regione a statuto speciale e all’instaurazione delle prime amministrazioni partitocratiche e mafiose in Sicilia e poi via via in modo ininterrotto e viepiù espansivo in tutta l’Italia, fino a oggi. Le stragi e le violenze sarebbero rimaste solo opera degli eserciti invasori, come a Cassino e in tutta la Ciociaria, in Toscana e altrove e già sin dall’inizio in Sicilia, ad opera del criminale Patton (la stampa italiana ha già documentato l’ordine da lui impartito ai suoi soldati di non fare prigionieri italiani). Il dopoguerra sarebbe stato più duro ma la condizione primaria della coesione nazionale e sociale sarebbe stata fatta salva e grazie ad essa le energie profuse nella ricostruzione sarebbero state più forti, feconde e solidali quale espressione di un comune sentire, e non saremmo diventati e non saremmo ancora oggetto di disprezzo e di scherno a livello mondiale. Il dileggio dei vincitori accompagna sempre i vinti-vincitori italiani comicamente invitati dalle potenze vincitrici (ricordiamo che la vittoria inglese e francese fu per esse una vittoria di Pirro, giacché a partire da allora i loro imperi coloniali si disfecero irreversibilmente consacrando la supremazia planetari di USA e Unione Sovietica).

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Solo abbattendo la truce carnevalata del 25 aprile e rendendo noti i crimini scellerati dei partigiani comunisti l’Italia potrà redimersi, ritrovare una sua salda identità storica e una sua dignità, guardare al futuro con rinnovate energie spirituali, ideali e di fattiva ricostruzione costituzionale e istituzionale affrancandosi dal regime della partitocrazia mafiosa che tutto ma proprio tutto ha divorato di ricchezze del Paese, con il pretesto dell’antifascismo. Liberarsi da apparati partitici davvero criminali. All’interno di tutto questo, quanto accadrà nel PD sarà aspetto cruciale. I giovani della sinistra italiana sapranno liberarsi dalle soffocanti spire dell’ideologia della retorica resistenzialista dei ladri partitocrati? Ricordino essi che l’Italia pagherà i debiti per tutto questo nuovo secolo, e che già li paga da due decenni almeno alla grande: cinque generazioni distrutte per le ruberie incalcolabili di una generazione antifascista corriva, corruttrice e propagatrice di incessanti pandemie dello spirito e di mostruosi classismi sociali. Solo ritrovando la propria storia di dignità e di onore, oltre che di errori e di orrori, l’Italia potrà tornare da protagonista nel processo di unificazione europea e mediterranea e non avere paura di essere guardata negli occhi o di guardare negli occhi i partner europei e gli interlocutori degli altri Paesi, ad iniziare dagli USA.