Baccaro: Italia fuori dall’euro. Eulà: sarebbe in gioco pure l’UE? Francia e Germania pronte al nulla?

07 Marzo 2018

Fonte: Scenari economici

intervista FAZ a

Luca Baccaro

foto di Wolfgang Eilmes

Nota di Domenico Cambareri per  Eulà

Pubblichiamo quest’importante, recente intervista del prestigioso quotidiano tedeco FAZ al Prof. Luca Baccaro, in Italia ripresa da Scenari Economici.

Essa conserva  con piena enfasi intatta la sua attualità alla luce del risultato delle elezioni politiche italiane e dell’affermazione dei “populisti” e “scettici” che si appellano antieuropeisti. populisti e scettici che scherzosamente vogliamo definire non intransitivi e non deponenti ma del momento. Non antieuropeisti per credo ma perché costretti dalla necessità e dalla rabbia ingenerati in larga misura dai loro stessi governanti.
Luca Baccaro  dirige il settore della ricerca sulle società dell’Istituto Max Planck, il colosso della ricerca pubblica tedesca, con sede a  Colonia. Egli indica, nel contesto delle perduranti gravi problematiche italiane e delle frustanti e non meno croniche relazioni interne all’Unione in riferimento al “circuito” dell’euro,
la possibile soluzione  nell’uscita controllata dell’Italia dall’euro.
Non entriamo nel merito delle sue valutazioni e dichiarazioni, perché sono espressioni di giudizio sotto i profili strettamente monetario-finanziario e economico. Ci soffermiamo, in controluce con le valutazioni espresse dall’importante studioso, sul perché l’Italia debba o meno uscire dall’euro nell’ambito della decisionalità politica e non sul piano della cogenza dell’opzione tecnica prospettata da Baccaro.
Da parte nostra, anticipiamo la nostra conclusione già qui in premessa:
l’Italia deve rimanere nell’euro.
Come e perché, se condividiamo in larga misura il giudizio di Baccaro e di altri studiosi?
C’è da porre innanzitutto questo quesito di fondo: Euro, BCE et alia … sarebbero, sono espressioni in toto dell’autonomia della finanza dalla sfera politica?
La nostra risposta è: certo che no.
Questa asserzione di fondo, che nasce assieme e accompagna e “garantisce” da due decenni buoni la creazione dell’euro, sin dalla fase preparatoria svolta dall’ecu, è un’affermazione fondativa di natura squisitamente politica.
Che si voglia negarlo o meno, l’ambito delle libertà che la sfera finanziaria e economica rivendica il diritto di avere e le proporzioni effettive di cui gode non sono e non possono essere per loro intrinseca natura autonome, non sono e non possono essere neppure lontanamente autoreferenziali. Sempre per loro intrinseca natura.
Esse discendono dalla volontà politica che redige e statuisce e fissa i protocolli, le leggi, i trattati e, al loro interno, gli ampi o ristretti limiti di esercizio della libertà eteronoma e giammai della sovranità  della sfera finanziaria. E, specificatamente, di quella monetaria. Esse non possono e non potranno mai sottrarsi ab imis e per intero alla sovranità della decisionalità politica. Neppure in un sistema politico accentuatamente liberista.
L’uscita controllata dell’Italia dall’euro è dunque in linea di principio e in via subordinata
valutabile SOLTANTO entro uno scenario decisionale e un contesto operativo derivati da precondizioni politiche esplicitamente dichiarate condivise in toto da tutti i partner.
Precondizioni politiche riempite nero su bianco all’interno degli organismi preposti, il Consiglio dei capi di Stato e di governo e quelli che a latere discendono, con trasparente acribia punto per punto, tale da risultare siffatto percorso giovevole e percorribile in tutto e per tutto dalla parte richiedente. Ossia dall’Italia.
Riteniamo però, entro una realtà così prefigurata in positivo, che tutto questo possa rivelarsi per davvero una via di fuga parzialmente conveniente ma non felice e comunque alla fin fine non proporzionata verso … l’affrancamento dalle vessazioni subite e volute subire per inadeguatezza politica propria.
Infatti, visto che gli esperti valutano che l’uscita dall’euro comporterebbe per l’Italia oneri ben al di sopra dei 300 miliardi di euro, sia pure considerato che questa cifra possa essere brillantemente e drasticamente ridotta appunto a riconoscimento e a beneficio dell’Italia per quanto ha sinora subito a suo detrimento, è da chiedere:
perché mai si dovrebbe uscire dall’euro alla luce del riconoscimento politico di quanto subito dall’Italia? Converrebbe, a questo punto, sia all’Italia che alla Germania e alla Francia e agli altri attori dell’Unione che aderiscono alla moneta comune
pervenire a un’obiettiva riparametrazione dell’euro e al puntuale calcolo e ricalcolo e indennizzo delle perdite?

Se,

sia alla luce dell’importanza complessiva della posta in gioco sia in considerazione del maggior peso che riveste il continuare a procedere nel perseguimento della realizzazione strategica di questa finalità geopolitico-economica e di questo ambito di “bene comune” e di orizzonte comune,
Germania e Francia e soci dovessero riconoscere gli obiettivi e perduranti danni subiti dall’Italia sin dalla linea di partenza dell’euro – e quindi dovessero attivare all’unisono il principio equitativo e riparatore dell’ora per allora e per ancora e della correlativa cogenza del diritto e del dovere di accedere alla rinegoziazione dei trattati, impugnandone ogni limite prescrittivo – il suo giusto diritto a vedersi indennizzata, sarebbe da considerare risolto il problema italiano?
O invece, se nonostante siano coscienti del sistematico detrimento che trae l’Italia dalla sua non equa partecipazione all’euro, dovessero persistere in una posizione di contrasto,quale profitto trarrebbero dall’uscita ad ogni costo dell’Italia dall’euro?                                
Nella prima condizione, quale ulteriore beneficio trarrebbe l’Italia stessa dalla sua uscita dalla moneta comune, rinunciando alla possibilità di agire more geometrico e quindi di ridisegnare la geometria dell’euro? Ovvero: laddove si dovesse addivenire a una revisione dei trattati e a un generale e condiviso ricalcolo dei valori  monetari nazionali che stanno alla base del sistema euro, sarebbe conveniente uscire o cercare di realizzare e di gestire una più che difficile uscita controllata?
E’ naturale che debba essere considerata in profondità la possibilità opposta su delineata: il niet di Germania e/o Francia e degli altri partner dell’euro. Che profitto obiettivo di media e di lunga durata trarrebbero essi da questa evenienza? Dall’uscita dell’Italia dalla moneta unica? Quali scenari conseguirebbero dopo? Quali ulteriori incrinature si determinerebbero all’interno e quale sarebbe il ridimensionamento conclusivo della circolazione dell’euro in Europa? Fuori poi tutti i Paesi euromediterranei?  Gioverebbe davvero alle economie dei rimanenti Paesi euro  l’uscita dell’Italia e di almeno altri quattro partner o questo comporterebbe frizioni e reazioni più ampie all’interno dell’UE?
Domande doverose che richiedono specifiche, anticipatrici risposte. E ancora: tutto ciò intralcerebbe o esemplificherebbe la realizzazione dell’UE a più velocità? Quanto inciderebbe nei mercati UE e nel commercio extra UE? A beneficio di chi? Il fronte anti UE messo in moto dalla Brexit e le derive internazionali delle politiche commerciali apertamente ostili degli USA troverebbero ulteriori sponde e accresciuto vigore? La crescita dell’export tedesco e francese nell’area UE sarebbe garantita? Prospettive di intese e di amicizie diverse si delineerebbero per l’Italia e i Paesi mediterranei prima e dopo la frattura europea?
Il sistema – euro è nato, almeno per quanto attiene all’interno dei suoi meccanismi, con un rapporto marco – lira del tutto sbilanciato in favore della moneta tedesca. Anche a volere tenere in più che debito conto la debolezza della lira e la robustezza del marco come moneta di rifugio e di “accaparramento” ne mercati mondiali già allora in atto. Dalla Turchia alla Cina, il marco del corso parallelo all’euro era e resta espressione di affidabilità piena.
In fin dei conti, l’autonomia della lira “sovrana” era sempre servita come paraurti alla pessima conduzione politica dei governi italiani al fine di “aggiustare” il controvalore della lira con i soliti strumenti forniti dalla finanza  e permettere i rilanci dell’export e la crescita produttiva dal sempre breve respiro. Tutto ciò era possibile con l’accrescere la disparità del valore fra la moneta nazionale e le maggiori divise straniere. Con l’uscita dall’euro, si tornerebbe a questa solita solfa, senza certezza alcuna di contenimento  delle inefficienze e delle passività e del debito e di cambiamento virtuoso del sistema politico?
La soluzione della sovranità monetaria nazionale non risolverebbe dunque i problemi, ma li accentuerebbe: l’illusione dei benefici grazie agli aggiustamenti svalutativi è un compenso che a lungo termine si rivela aleatorio e controproducente. Essa non consente una prospettiva di sicura sostenibilità e di effettiva efficienza di un sistema politico e dell’economia di Paese ma soddisfa la messa in opera di misure succedanee, transitorie che giovano solo a prolungare le cause oggettive dell’inefficienza del governo del Paese e delle passività che produce, accumula, moltiplica, provocando un inarrestabile indebitamento e depauperamento pubblico. Così come in effetti è finora accaduto in Italia.
Noi riteniamo che, dopo questi quattro lustri, vi siano considerevoli, abbondanti motivi perché le considerazioni e le riconsiderazioni avvengano sul tavolo della politica. I margini delle trattative future vanno considerati entro questi piani e non su quelli monetari. E’ qui che si decidono sorti molto più paganti.
Torniamo a sottolineare: ciò riguarda sorattutto la Francia e in particolare la Germania sotto una duplice veste. Come Nazioni di maggiore rilievo politico e economico dell’Unione assieme all’Italia, e come partner che per un motivo o per l’altro hanno tratto i maggiori (più rilevanti e durevoli) benefici dalla non equità dei parametri di partenza e dalle ulteriori non equità dei trattamenti goduti a 360° fino ad oggi sia in ambito BCE sia in ambito di governance da parte della Commissione Europea che del Cosiglio dei capi di Stato e di governo.
Detto in termini estremamente crudi, perfino brutali: se dovesse perdurare l’inadeguatezza della governabilità italiana, se in sede di siffatte prospettate trattative la parte italiana non dovesse rivelarsi sempre all’altezza dell’arduo compito, se dovessero prolungarsi nel tempo le inquietudini interne italiane converrà ulteriormente alla Francia e alla Germania approfittarne o porre in essere un definitivo cambio di metodo e perciò porre freno al conseguimento di profitti che in fin dei conti non farebbero altro che accentuare la crisi europea e rendere fosche le future crescite comuni? E rendere perfino irreversibili e profonde le fratture?
Un’Europa a incontrastata egemonia franco-tedesca, geograficamente etnicamente e politicamente deprivata del Mediterraneo, potrà ambire a perseguire ulteriormente il processo di unificazione europea? Potrà ambire a realizzare un’architettura di una politica economica ancora in grado di confrontarsi con le minacce degli USA e di reggere l’urto della Cina? Una siffatta micro mittle-Europa potrà riaccostarsi alla Russia?
L’obiettivo dell’Unione Europea, Unione da rifondare rilanciare e allargare, rimane assolutamente valido. Esso rimane l’obiettivo principe e al tempo stesso il luogo e l’ideale fondativo della nuova, grande Eufrasia. Esso impone senza deroghe un salto nell’etica politica dei governi e dei parlamenti degli Stati europei, Stati la cui lillipuziona sovranità fa sorridere pure i beoti. – EULA’.

 

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Il prof. L. Baccaro intervistato dalla rinomata F.A.Z. Frankfurter Allgemeine Zeitung
Noi sappiamo che è solo questione di tempo prima che ci diano ragione su tutta la linea, parlo del team di scenarieconomici.it. Poi, coloro che fino a poco prima avevano detto il contrario, ossia la bugia crassa secondo cui era nell’interesse degli italiani restare nell’euro, beh, troveranno qualche scusa per giustificare il cambio di registro. Dubito si scuseranno (anche perchè rischierebbero il linciaggio, temo)
La verità è molto più semplice: oggi stare dentro l’euro è un danno netto per l’Italia, se non ne esce salta il sistema. Solo a potenze straniere interessate a mettere la mani sugli assets italici può interessare che si resti dentro la moneta unica. Anche tra i cittadini italiani, il 99,9% circa ha interesse ad uscire ma non lo sa o meglio nessuno glielo spiega. Gli unici che possono – nel breve e medio termine – avere interesse a restare nell’euro sono le elites finanziarie che controllano tra l’altro i media, coloro che vivono di globalizzazione a pegno però di ammazzare la società italica. E che controllano giornali e TV, che in gran parte nascondono la verità ai cittadini.
Oggi anche il prof. Baccaro si unisce al coro di coloro che, come noi, suggeriscono un’uscita la più rapida possibile dalla moneta unica come unico modo di salvare il Paese. La voce è di rilievo, vista la sua posizione in seno ad uno degli Istituti più importanti d’Europa. Cosa diranno ora i vari Giannino, Barisoni, i professori Monti e Deaglio (marito della prof. Fornero), l’Istituto Bruno Leoni, i politici cooptati?

Che sia chiaro: se in Italia non è ancora partita una discussione seria sui pro e contro del restare nell’euro a parità di voto di ogni cittadino è perchè qualcuno gioca sporco, quanto meno nascondendo verità scomode. Leggasi, alcuni politici italiani sono chiaramente pagati per andare contro gli interessi nazionali, a vantaggio di quelli ad es. tedeschi. Idem i giornalisti nazionali, asserviti ad un piano ben più grande di loro che finirà per affamare i loro figli appunto nascondendo la verità.
Leggiamo dunque con interesse l’articolo della Frankfurter Allgemeine Zeitung sulla posizione presa dallo stimato prof. Baccaro, pugliese, nuovo direttore della suddetta sezione del Max Planck Institute in Germania. Che questo sia da monito per i vari minions che, contro gli interessi del Paese, ancora difendono senza se e senza ma la permanenza nell’euro dell’Italia. Probabilmente per loro interessi personali. Fa ridere che la stessa F.A.Z associ le idee del prof Baccaro a quelle dei sovranisti italiani, su tutte la Lega. Fa sorridere che anche la stessa AfD, partito di opposizione di destra tedesco, lanci lo stesso messaggio, meglio per l’Italia concordare l’uscita dall’euro onde evitare guai peggiori in futuro (mettendo a rischio anche la pace in EUropa, ndr).
Vedasi la traduzione sotto dell’articolo, dal tedesco.
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“L’Italia dovrebbe negoziare l’uscita dall’euro”
Lucio Baccaro, nuovo direttore dell’Istituto Max Planck per lo studio delle società di Colonia, sorprende con un suggerimento.
FRANCOFORTE, 25 febbraio. Non ci sono molti grandi ricercatori italiani che fanno carriera in Germania. Lucio Baccaro è un’eccezione in questo senso: Nato in Puglia nel 1966, economista politico, dallo scorso settembre è direttore del rinomato Istituto Max Planck per lo Studio delle Società di Colonia (MPIfG). E ovviamente non vuole essere inferiore al suo predecessore Wolfgang Streeck, che interviene provocatoriamente nei dibattiti sociali: in una conversazione con F.A.Z. Baccaro ha fatto una campagna per un’uscita controllata dal suo paese d’origine dall’euro. È stato un errore iscriversi all’euro. “L’Italia dovrebbe negoziare un’uscita? In generale: “Sì!” Dice Baccaro.
Il ricercatore giustifica la sua posizione insolita tra gli economisti tedeschi con problemi strutturali dell’economia italiana che sono sorti per un lungo periodo di tempo. Un ritiro dall’euro potrebbe aiutare a risolverlo. “Quando si unì alla moneta comune nel 1999, molti italiani sognarono di giocare nella” premier league “delle economie”, ha detto Baccaro, “ma si è rivelato un errore”. Il modo in cui la Grecia si è sviluppata all’interno dell’euro è stato un disastro. “L’Italia è il secondo più grande disastro”, ha detto Baccaro. La produttività delle aziende italiane è rimasta stagnante per circa due decenni, l’economia sta crescendo a un ritmo più lento rispetto a quello tedesco o francese, e il rapporto debito pubblico, oltre il 130% del prodotto interno lordo, è circa il doppio di quello della Germania. Con la moneta unica Euro, il paese del Sud Europa è stato privato dell’opportunità di guadagnare competitività dagli aggiustamenti dei tassi di cambio internazionali – e quindi “ammanettato al palo dell’Unione europea”.
Baccaro, che detiene presso l’Università di Ginevra, oltre al suo posto a Colonia come professore di sociologia, non è amico dell’austerità imposta al sud Europa, che spesso coinvolge le riforme strutturali dolorose. Invece, il ricercatore si basa su una maggiore domanda macroeconomica per aiutare i paesi a crescita lenta. Soprattutto, vede gli effetti dal di fuori. “Se la domanda interna e la domanda dall’estero tendono a ristagnare, spetta al governo spendere di più, almeno inizialmente”, ha detto il ricercatore. Sarebbe difficile con le regole del Trattato di Maastricht concordate nel caso di Italia, secondo cui il debito annuo non deve superare il tre per cento della produzione economica. “Dobbiamo rilassarsi alcune di queste restrizioni, forse anche il limite del 3% per cento”
Anche se Baccaro, che originariamente ha studiato inizialmente filosofia – economia solo dopo -, deriva i suoi argomenti in modo diverso – con le sue conclusioni su euro e di spesa dei programmi dei ricercatori non è lontano dal partito euro scettico della Lega Nord italiana, con il partito di Silvio Berlusconi (Forza Italia) a distanza. Entrambe le parti sono viste in buona posizione nella campagna elettorale italiana e possono sperare in una vittoria alle elezioni parlamentari questa domenica.
Il nuovo direttore di Max Planck offre una testimonianza contrastante per l’economia tedesca. Da un lato, “la Germania è l’unica economia che ha compiuto la transizione nel passato dalla crescita economica guidata dai salari alla crescita trainata dalle esportazioni”. D’altra parte, è proprio questo modello di crescita che potrebbe essere fatale per la Germania in futuro [con il dollaro debole, ndr]. All’ombra delle aziende esportatrici di successo, è stato creato un ampio settore dei bassi salari e dei servizi, associato a questa considerevole disuguaglianza sociale. La Germania non ha utilizzato le abbondanti entrate fiscali per rafforzare sufficientemente questi gruppi.

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