Il Piano Obama sarà capace di avviare la ripresa?

Enea Franza

24 Marzo 2009

Titoli tossici e intervento congiunto di Tesoro USA e banche private, per evitare la nazionalizzazione – Potrebbero essere coinvolti anche i fondi pensione – Dissensi, riserve, consensi – Quali i rischi in caso di fallimento

 

Le aperture dei giornali economici del 24 marzo sono tutte per il c.d. piano Obama anticipato già nella mattinata precedente dalle agenzie di stampa. Il segretario al Tesoro americano  Timothy Geithener ha ammesso che lo Stato correrà un rischio ‘investendo’ fino a 1.000 miliardi di dollari nell’acquisto di titoli tossici (vale a dire quasi la metà degli asset tossici attualmente contabilizzati dalle banche), ma ha spiegato che, a suo modo di vedere «non c’è altra scelta»  e punta ad attrarre gli investimenti dei privati. Il piano del Segretario del Tesoro sembra, tuttavia, essere partito bene incassando la benedizione dei mercati che, invece, pochi giorni fa – complice certamente una carenza di informazioni chiare – sembravano aver bocciato l’intervento. Peraltro anche due investitori privati, Pimco, il più grosso fondo obbligazionario del mondo, e Black Rock, società d’investimento che gestisce 1.300 miliardi di dollari, hanno già dato il loro pubblico appoggio al Tesoro.  
 
Il piano è assai articolato e cercheremo di riassumerlo, con qualche evidente semplificazione, nelle tre fasi che lo caratterizzano: 1) la costituzione di un ente sostenuto dalla  Federal Depositi Insurance Corp (Fdic) che, con l’aiuto dei privati, rilevi i prestiti a rischio; 2) la costituzione di fondi pubblico-privati gestiti da professionisti che comprino gli asset tossici ed in particolare quelli garantiti da mutui; 3) un ampliamento del Talf, Term Asset-backed Securities Loan Facility, il programma sostenuto dalla Federal Reserve per stimolare il credito al consumo. In particolare, i finanziamenti per il programma del Talf potrebbero salire dagli attuali 200 miliardi ad oltre mille miliardi di dollari. Per inciso, si evidenzia che il “Talf” contempla attualmente la concessione di finanziamenti agli investitori perché acquistino titoli legati a nuovi prestiti con un rating AAA, in particolare, garantiti da mutui commerciali ed in generale di titoli garantiti da asset dotati di rating.
 
Il piano prevede che siano le stesse banche a comunicare alla Fidc gli asset dei quali intendono liberarsi (ferma l’approvazione del dipartimento del Tesoro e dell’Fdic). La Fidc provvederà a venderli con una procedura ad asta tra i vari fondi. Il Tesoro Usa utilizzerà i 75-100 miliardi di dollari, che costituiscono il fulcro del programma dal “Troubled Asset Relief Program” c.d. Tarp, ovvero, del piano di salvataggio del settore finanziario da 700 miliardi di dollari varato l’anno scorso dal Gheorge W Bush e li avvierà verso una serie di programmi di acquisto di tali titoli tossici, a cui parteciperanno anche i privati, con una quota dal 50% all’80%. Questa la parte del piano, negli obiettivi di Obama, consentirà di assorbire la maggior parte di asset tossici dalle banche. Per una transazione tipo, ad esempio, per ogni 100 dollari in mutui acquistati da una banca, il settore privato metterà fino a 7 dollari così come il governo. I restanti 86 dollari verranno coperti grazie ad un prestito, che nella maggior parte dei casi sarà messo a disposizione dall’ FDIC. Il rapporto indebitamento/mezzi propri massimo è indicato di 6 a 1. Cioè, ad esempio, se per due miliardi di capitale proprio, la Fdic potrà aggiungere fino ad altri 12 miliardi. Il governo parteciperà dividerà a metà perdite e utili con i privati. In questo caso il prezzo al quale gli asset verranno acquistati, nei piani del Tesoro, dovrebbe essere stabilito dalla concorrenza, dato che diversi fund manager agiranno sul mercato per l’acquisto dei titoli.
 
Come si vede un piano complesso, con diverse ombre. Secondo il Tesoro americano “Questo approccio è migliore rispetto alle altre due alternative e cioè alla speranza che le banche riescono ad espellere gradualmente queste attività dai propri bilanci, oppure che il governo acquisti direttamente queste attività”, ed inoltre sembrerebbe una politica c.d. “win-win” (vantaggiosa per tutti). Mentre, infatti, il primo caso, spiega il governo, “rischia di prolungare la crisi finanziaria, come dimostra l’esperienza giapponese”, nel secondo caso i contribuenti si assumerebbero tutti i rischi. Peraltro, l’alleanza tra il settore pubblico e quello privato, allontana definitivamente lo spettro della nazionalizzazione che tanto aveva spaventato Wall Street nei mesi precedenti.  Lo stesso Geithner, riferendosi alla manovra della Svezia negli anni novanta volta ad avviare la nazionalizzazione di alcune banche ha precisato: «Non siamo svedesi, abbiamo un sistema finanziario molto complicato». Dunque, il piano rappresenta un no alla nazionalizzazione. Il Tesoro Americano si aspetta che al programma partecipino “investitori individuali, fondi pensione, assicurazione e altri investitori di lungo termine”. La Casa Bianca intanto ha anche detto che i privati dovrebbero contribuire ad acquistare l’8% delle attività tossiche.
 
Non mancano, naturalmente, le voci dissenzienti. Il Nobel dell’economia Krugman non esclude che gli asset tossici valgano più di quanto si pensi adesso, ma giudica il piano Geithner confuso, macchinoso, probabilmente inutile e non legato al mercato: «Se il valore degli asset sale – scrive l’economista – gli investitori ne approfittano; ma se cala possono lasciar perdere. Ciò non significa far lavorare i mercati, ma è soltanto un modo indiretto e mascherato di sovvenzionare l’acquisto di asset tossici». La soluzione proposta Paul Krugman è molto più limpida e diretta ed èla seguente: salvare le banche con una soluzione alla svedese degli anni Novanta: «Il governo ristabilisce la fiducia nel sistema garantendo numerosi (ma non necessariamente tutti) debiti delle banche. Nel contempo acquisisce il controllo delle banche realmente insolventi, per ripulirne i conti».
 
L’annuncio del piano ha avuto il consenso delle borse.  Il Dow Jones ha messo a segno un balzo del 6,8%, salendo a 7.775,86 punti, ovvero, al valore più alto dal 13 febbraio scorso.  Molto bene sono andati anche lo S&P 500 che, con un rialzo  del 7,1%, ha superato la soglia degli 800 punti.  Acquisti, anche sul Nasdaq, che è cresciuto di 98,50 punti (+6,8%), a 1.555.77 punti.  Gli incrementi hanno interessato soprattutto i titoli finanziari: Citigroup con quasi il 20%, Bank of America con un +26%, JP Morgan con un più 24% e Wells Fargo ha concluso la seduta con un +23 per cento. L’agenzia di stampa Bloomberg, lo S&P 500 Financials Index ha guadagnato ben il 58% rispetto al minimo testato lo scorso 6 marzo: un rialzo che è comprensivo del balzo del 18% riportato oggi, il più forte dallo scorso 24 novembre. Ma altre notizie positive sembrano arrivare dal mercato. Lì da dove tutto era partito, la crisi del mercato immobiliare, ha invece a sorpresa un sobbalzo positivo. Il dipartimento del Commercio Usa che ha comunicato che nel mese di febbraio le vendite di case esistenti negli Stati Uniti sono balzate del 5,1%, segnando il maggior rialzo dal luglio del 2003.   La Borsa di Tokyo ha così chiuso gli scambi in volata con un rialzo del 3,32%. L’indice Nikkei si porta a 8.488,30 punti: 272,77 in più della chiusura di ieri. Avvio di seduta positivo per Piazza Affari e gli altri listini europei. Il primo Mibtel ha segnato un rialzo dell’1,47% a 12.865 punti e lo S&P/Mib del 2,05% a 16.135 punti.
 
E’ presto per comprendere fino in fondo se ci saranno conseguenze positive sulla finanza. Una prima considerazione – diciamo a caldo – mi sento tuttavia di farla.
 
Ritengo che in definitiva tutto il piano sia un intervento mascherato di acquisto dei titoli tossici da parte dello Stato americano, che tuttavia lascia sul piatto della bilancia tanti soldi pubblici per l’acquisto di titoli spazzatura. L’idea di fondo è che, sostenendo il corso dei titoli, si possa creare un mercato che li prezzi e sulla quale vangano scambiati.
 
Ma se le previsioni fossero sbagliate e  se la crisi dovesse durare più del previsto, si avrebbe quale conseguenza intuibile che i privati uscirebbero molto presto dal mercato deprimendo ulteriormente i prezzi dei titoli. Lo stato si troverebbe, in definitiva, in pancia titoli, acquistati a caro prezzo. Presumibilmente a prezzo maggiore di quello che si sarebbe ottenuto dalla nazionalizzazione diretta delle banche. Senza contare che questa politica lascia libere le banche di seguire indirizzi propri, e non finalizzati agli interessi del Tesoro. Questi alcuni dubbi che mettiamo sul tappeto della discussione!

 

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