L’Europa guarda all’Ovest? Ma esso porta sempre all’Est e al Sud…

04 Maggio 2009
Domenico Cambareri

pubblicato già in Pagine

L’Africa e l’Europa senza futuro?

All’Africa siamo legati più che a doppio filo, all’Africa dobbiamo tanto, all’Africa dovremo molto – Anziché girarci attorno, affrontiamo l’immenso problema Africa – Un piano immenso per la sanità l’istruzione la produzione

I problemi umanitari e lo sfruttamento generalizzato delle risorse e dei popoli africani lasciano questo continente senza prospettive?
Le stragi e le guerre civili datano da decenni e dai tempi della secessione del Katanga la memoria fa presto a correre al film “Africa addio”. Già allora i massacri erano all’ordine del giorno in Sudan. Così e nondimeno nella Nigeria della rivolta degli Ibo sul finire degli anni sessanta. Per finire con le stragi e i genocidi degli anni novanta e di questi anni. Un continente martirizzato dallo sfruttamento delle egemonie tribali e dei “clan” più europeizzati.
Oggi, al neo e ancora e ancora neocolonialismo europeo e a quello non meno pesante e cieco degli USA, si aggiunge lo sbarco degli assetati di terra e di prodotti alimentari e minerari, dalla Cina e dalla Corea ai Paesi arabi. Esso non è meno pericoloso di quello europeo anche se oggi si presenta con formule apparentemente nuove. Forse difetta meno, speriamo non solo nella facciata ma anche nei contenuti, la presenza indiana.
Che ne sarà dell’Africa nel nuovo secolo?
Continente in cui si intrecceranno e forse si scontreranno gli interessi economici e strategici del resto del mondo, sarà ancora per gran parte incapace di avere élite politiche capaci di agire nell’interesse comune dei suoi popoli?
Senza volgere il nostro sguardo ai futuri decenni, dobbiamo capire che è da oggi, da subito che bisogna agire in termini umanitari. Solo questi aiuti potranno salvare vite e risorse umane incalcolabili e indirizzare verso il “re insediamento” innanzitutto psicologico le masse di discriminati e diseredati che vogliono fuggire in Europa e altrove. Le tragedie interminabili del Sudan, della Somalia della Nigeria e quelle non cicatrizzate di Uganda e Ruanda e Congo, d’Etiopia, dell’ex Rodhesia ancora ribollente, dell’Angola e della Namibia e tutte le altre ancora in atto devono far capire che l’unica via di sbocco è rappresentata dagli aiuti da portare in loco imponendo ai poteri nazionali che la distribuzione degli aiuti internazionali avvenga sotto diretta ed esclusiva responsabilità degli organismi internazionali preposti. Si dirà che questa cosa è già in atto. Essa va però rafforzata, velocizzata, ampliata, ovunque.D’altronde, non si tratta di ripetere il non condivisibile errore americano di esportare la democrazia con le armi.
E’ necessario imporre ai governi africani che l’aiuto allo sviluppo culturale, economico e sociale segua la stessa via. E’ necessario che l’assistenza sanitaria veda in prima fila con rinnovato e moltiplicato impegno l’Unione Europea. Essa deve essere portata pressoché ovunque, superando ogni ostacolo anche con il ricorso allo strumento del potere navale per interdire con la deterrenza e senza l’uso della forza ogni veto possibile, al fine di intervenire anche nelle regioni interne di Paesi litoranei e non litoranei per curare gli ammalati. Essa deve inoltre concorrere, negli interessi positivi degli africani e degli europei, nella formazione dei giovani e delle nuove classi della tecnica e dell’ingegneria, della burocrazia, dell’istruzione e della salute, con gli asiatici e gli arabi, verso i cui centri si stanno indirizzando sempre più giovani africani, non più esclusivamente allettati e adescati dal benessere e dal consumismo eruoamericano.
Bisogna saper soddisfare il compimento di queste due diverse esigenze. Esse comportano il superamento delle barriere mentali in cui noi europei oggi ancora viviamo nei confronti degli africani e comporta allo stesso tempo il rimediare ai tanti ripetuti errori ( e colpe) da noi commessi in quelle terre. Ciò significa anche il poter pensare a difendere le rotte delle risorse energetiche a noi indispensabili senza eccessivi e pericolosi ritardi, facendo degli africani tutti, ad iniziare da quelli delle coste bagnate dall’Oceano Indiano, gente che si riavvicina a noi con fiducia e amicizia e non con rancore e odio atavici, sul piano storico abbondantemente motivati e comprensibili. Solo essa potrà reindirizzare presso le loro terre le colonne umane dei migranti clandestini, nel contemporaneo fenomeno della crescita economica e culturale e quindi del decrimento della natalità.
E’ quest’ottica che ci deve far capire anche cosa accade in questi giorni e in questi mesi con la “pirateria” di manciate di pescatori somali ridotti alla fame dall’inquinamento delle acque e delle coste. E’ doveroso e necessario garantire la sicurezza della navigazione, senza tentennamento alcuno. Ma allo stesso tempo vanno comprese e rimosse le cause che hanno prodotto il fenomeno.
Di fronte a tutto questo, per noi europei non vi è scappatoia di ordine morale e non vi è scappatoia sul piano politico e della strategia complessiva dei nostri Stati e dell’Unione. Salvo il volerci definitivamente incamminare verso un declino alquanto veloce, perché il nostro futuro è legato all’Africa non meno che all’Est. E all’America sempre più spostata tra Oceano Pacifico e… Indiano.

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