Pittsburgh: Obama e Berlusconi incassano poco. Molti rinvii e poche certezze.

 

 9 Ottobre 2009

Enea Franza

“Prega come se tutto dipendesse da Dio. Agisci come se tutto dipendesse da te”

 Nulla di fatto a Pittsburgh ?

Adesso accontentiamoci della guerra ai paradisi fiscali. E’ già qualcosa. Ma la finanza rimane molto, molto liberista. Chi ci garantirà della sicurezza economica del nostro futuro?
Interrogarsi sulle decisioni dei “grandi della terra” prese a Pittsburgh, è un esercizio che, per quanti sforzi si possano fare, resta a tutti davvero difficile sottrarsi! Eppure, a leggere il comunicato finale del G20 di Pittsburgh in cui i Grandi “si impegnano a una forte risposta politica fino a quando non ci sarà una ripresa stabile” ed ancora sapere che il presidente di turno del G20, il presidente Usa Barak Obama, ha invitato il suo segretario al Lavoro a organizzare entro il 2010 un meeting internazionale, insieme all’Ocse, per valutare l’evoluzione del mercato del lavoro, si ha l’impressione che sembra sfuggire un po’ a tutti che le micce che hanno acceso la crisi sono ancora ardenti e che, in definitiva, i grandi problemi dell’economia non sono stati affatto risolti !
Premetto subito, a scanso di equivoci, che secondo il ministro inglese Brown “le decisioni prese al G20 permetteranno di salvare 15 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo”. Pertanto, una fonte molto autorevole ritiene che il summit sia stato un successo. L’esatto contrario di ciò che mi viene da pensare leggendo il comunicato finale e andando a leggere le iniziative prese (almeno quelle pubblicate!).
Sono certo di non essere il solo a pensare che il mercato lasciato solo troverà le condizioni di equilibrio; ma sono parimenti convinto che tale livello di equilibrio il mercato lo conseguirà a valori molto più bassi di quelli pre-crisi; in definitiva – per dirla alla maniera degli economisti – ad un livello del Pil incapace di assorbire l’enorme disoccupazione che si profila. Cerchiamo di chiarirci. Già Keynes, nella sua Teoria Generale, ci ha insegnato che è possibile un equilibrio di sotto-occupazione sia di capitale che di lavoro e che tale equilibrio può essere stabile. La prospettiva non è affatto rosea, ma ritengo che cominci a prendere piede l’idea che prolungare la crisi affinché il mercato risolva da solo le storture che la finanza creativa e gli squilibri dell’economia moderna hanno prodotto in maniera così devastante. Essa può essere vista come un strada certamente dura ma più rapida ed efficace di tante soluzioni prese dalla politica. In altre parole, gli enormi deficit pubblici accumulati dagli stati per fronteggiare la crisi economica (ed il terrore del default degli stessi stia suggerendo molta molta prudenza nell’adozione di misure d’intervento!).
Ciò vuol dire che gli Stati si stanno ritirando e che molte persone del ricco Occidente dovranno ridurre lo standard di vita cui erano abituati e per tutti altri che a Nord o a Sud ed Est o ad Ovest del mondo si trovano già ad un livello di sussistenza, vuol dire sopravvivere nella miseria, o forse rassegnarsi a morire.
Facciamo un passo indietro sulla questione di fondo sul tappeto del Summit di Pittsburgh: come uscire dalla crisi o meglio come coordinare le politiche economiche degli Stati per costruire la crescita dell’economia mondiale? Adesso domandiamoci: cosa ne è uscito fuori?
Riassumiamo. Primo, la constatazione di tutti gli Stati riuniti nel consesso che l’uscita dalla crisi è lunga e delicata (si intravedo solo timidi segnali di ripresa forse conseguenza delle politiche espansive dei governi) e che quindi non ha senso adesso parlare di exit strategy . Di fronte alla crisi, quindi, è stato istituito un patto tra i grandi che prevede la conferma delle misure di stimolo all’economia attraverso lo stimolo della domanda interna, facendola passare da pubblica a privata. I venti grandi si sono pertanto accordati per continuare a dare una risposta politica finché la ripresa non si sarà consolidata, senza ritirare troppo presto le misure di stimolo. Ma già su questo aspetto qualche perplessità desta, secondo il nostro punto di vista, l’atteggiamento adottato verso le banche.
Esse, si legge nel comunicato finale, devono contribuire a stimolare la crescita nel breve periodo assicurando un regolare flusso di credito a privati ed imprese mentre nel lungo periodo devono rafforzare la propria base di capitale. Una riflessione è d’obbligo su questo ultimo punto: come si possa chiedere alle banche di stimolare il credito, quando a tutti è noto che le stesse hanno la necessità in primo luogo proprio di mettere sotto controllo i propri conti? E’ un modo misterioso di trattare le questioni bancarie che al sottoscritto sfugge davvero. Ma tant’è …
Nel documento i leader ribadiscono, inoltre, gli obiettivi di maggiore trasparenza ed eticità del comparto finanziario onde evitare gli abusi degli ultimi anni: rivedere le politiche sui compensi dei manager è «essenziale nel nostro sforzo per aumentare la stabilità finanziaria», si legge nel comunicato finale del G20, «allineando i compensi alla creazione di valore di lungo termine», senza creazione di «rischi». Le linee operative sui compensi elaborate dal Financial Stability Board, prevedono compensi per i manager delle banche variabili per una quota del 40-60%, revisione dei contratti di fine rapporto, inclusi i paracadute d’oro, bonus garantiti per non più di un anno e compensi differiti nel tempo e pagati in diverse tranche.
Ma anche qui gli strumenti non sembrano, a nostro modo di vedere, davvero incisivi. Ed infatti non è prevista l’imposizione di nessun tetto generalizzato sui bonus, ma si delega alle autorità dei diversi Paesi il diritto di fissare limiti.
Un risultato conseguito è stato, tuttavia, la trasformazione del G20 in un forum permanente a livello di capi di Stato e di governo dove i Paesi verificano in maniera collettiva l’implementazione e l’efficacia delle misure di sostegno, che vengono introdotte dai singoli.
In tale contesto di allargamento dei soggetti deputati a decidere c’è l’accordo del G20 per la revisione di almeno il 5%, delle quote di partecipazione al Fondo monetario internazionale a favore delle economie emergenti. Il G20, inoltre, trasferisce ai Paesi emergenti almeno il 3% del proprio diritto di voto all’interno della Banca mondiale.
Si è arrivati, pertanto, ad una maggiore condivisione delle decisioni in tema economico, con una corrispondente perdita del potere degli USA e dei tradizionali partner occidentali. Si è deciso, inoltre, più ruolo (e collaborazione del G20) al Financial Stability Board (Fsb), che dovrà essere allargato anche alle economie dei Paesi in via di sviluppo e emergenti.
Così il comunicato finale evidenzia che il G20, inoltre, condivide la necessità di combattere le speculazioni ed è pronto ad agire su diversi fronti anche per evitare le manipolazioni di mercato e contenere l’eccessiva volatilità dei prezzi. Un tema, quello della lotta alle speculazioni – fortemente sostenuto dall’Italia – che il documento finale affronta in maniera trasversale. Sul fronte delle regole per la finanza in primo luogo, stabilendo – ad esempio – che i prodotti “over the counter” (sostanzialmente quelli non regolamentati nei listini di Borsa), siano trattati sul mercato entro il 2012, ed affidando all’Fsb uno studio per una maggiore trasparenza dei mercati per scongiurare abusi. Inoltre viene delegato al Financial Stability Forum uno studio che vagli ipotesi su come garantire maggiore trasparenza nei mercati dei prodotti derivati evitando abusi e manipolazioni. La lotta alla speculazione è poi anche sulle materie prime per contenere l’eccessiva volatilità dei prezzi. Sui petrolio viene affidato all’Oisco (International Organization of Securuty Commission) il compito di studiare una regolamentazione sui prodotti petroliferi «over the counter». E misure sono previste anche per il mercato dei prodotti alimentari. Ma anche qui di decisioni concrete nulla.
Ma, a ben vedere, si è trattato in realtà di un ulteriore slittamento. Infatti entro fine anno i ministri delle Finanze ed i governatori delle banche centrali dovranno incontrarsi per avviare un processo comune e coordinato di recepimento del framework per la crescita . In definitiva, per arrivare a regole internazionali condivise occorrerà ancora aspettare!
Niente dei famosi cinque punti, ovvero, le linee di azioni del presidente Obama sulla finanza sembrerebbero non essere stato adottate; niente di quel concretismo che si poteva leggere solo qualche giorno fa nell’appello al mondo che il presidente degli Stati Uniti disegnava nel suo articolo inviato a 31 testate internazionali come traccia d’azione per il prossimo G20: stimolare l’economia, assicurare il credito, aiutare i paesi in difficoltà, ma anche e soprattutto nuove regole per la finanza, più stringenti, controllo sui bilanci e sulle responsabilità, trasparenza e controllo dei compensi. Insomma una sfida che cercava di mettere globalmente le briglie al capitalismo selvaggio (“chaotic and unforgiving capitalism”), cominciando con il cancellare il riciclaggio ed i paradisi fiscali e finendo con la stesura di regole universali e più strette per la finanza globale.
Di tutto ciò mi pare che ad essere benevoli si può vedere solo un abbozzo nelle decisioni prese dai grandi a Pittsburgh. A meno che non si cerchi di evitare la madre di tutte le crisi, ovvero, … la crisi dei debiti pubblici!

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