Su Romolo Murri e Giovanni Preziosi. Giuseppe Spadaro replica a un “orecchiante”

22 Novembre 2009

Giuseppe A. Spadaro

 

Tra confessione cattolica, papato e ideologie. Spigolature nella storia del’900 su aspetti cruciali di due sacerdoti che ruppero con il papato 

Nel minestrone ideologico,  nel caos culturale e nell’impazzimento logico della pseudodestra e della pseudopolitica finiana abbarbicata al potere ed esaltatrice di tutte le possibili negazioni, Spadaro puntualizza degli aspetti storici particolari che è bene conoscere, anche da parte di chi potrà continuare ad avere idee completamente diverse dalle sue. Ma almeno storicamente fondate.

 

“E’ dal rovescio del tappeto che se ne può leggere meglio la trama”. Clemente d’Alessandria (Stròmata)
Un orecchiante (cfr. sul Zanichelli: “Orecchiante è chi si diletta di sentir parlare di qualche disciplina, e ne parla senza esservisi applicato seriamente”), che sistematicamente contesta il frutto delle mie ricerche storiche, consegnate in libri quali “Il Fascismo crocevia della modernità” e “L’equivoco della liberaldemocrazia”, dei quali egli conosce il titolo ma si rifiuta (o è incapace) di leggere il contenuto, mi offre l’occasione di far luce su angoletti bui della nostra storia, che Dio sa quanto è utile illuminare. Il primo di questi libri ebbe sin dall’inizio vita dura, preso di mira da pretesi campioni di un “tradizionalismo” di cui conoscono il nome ma non il significato. Uno di costoro, Marius Tropeanus, con grave danno del suo datore di lavoro lo escluse dal catalogo delle Edizioni Settimo Sigillo, e un altro cialtroncello lo fece sparire dalle bancarelle di Colle Oppio. All’orecchiante al quale, uno per tutti, qui mi rivolgo, non rimprovero atti così subdoli, ma non perdono d’avermi fatto perdere con la sua petulanza la calma abituale.
Caro orecchiante, il marasma culturale in cui si dibatte la Destra, tra un Evola mal digerito, i rigurgiti di clericofascismo ereditati dalla retorica della Conciliazione e il borbonismo di ritorno causato dalle “Insorgenze antigiacobine” di Isabella Rauti, non poteva non travolgere le tue fragili strutture logiche. Non è questo però che ti rimprovero, bensì l’ostinazione con cui ritorni su vecchi temi, senza apportare argomenti nuovi ma ripetendo sempre lo stesso verso. Sei come quei gatti di sagrestia, che imparavano a dire miaus miaus, ma non potevano dire nient’altro. Dalla frequentazione della sagrestia “tradizionalista” imparasti a detestare la parola “moderno, e dal titolo della evoliana “Rivolta contro il mondo moderno”, pretendi di giudicare il Modernismo (religioso!), ignorando tutti i termini della questione.
Ma la modernità purtroppo esiste, né il Fascismo volle essere antimoderno. Il titolo del mio libro allude a una direzione alternativa che il Fascismo avrebbe potuto imprimere alla modernità (cfr. p. 272): “La modernità è una realtà complessa, come complesse sono le cause da cui è nata. Da questo magma denso e ricco si sarebbe dovuto estrarre e sublimare fermenti e aspirazioni a una libertà e giustizia superiori, non nel segno di una impossibile uguaglianza, ma in quello di una restaurazione gerarchica autenticamente spirituale.” Quanto la mia analisi sia aderente allo spirito del Fascismo, si può desumere dal commento del filosofo spiritualista Armando Carlini alla Dottrina del Fascismo (cfr. p. 164): “Tornare indietro è impossibile, impossibile tornare al Medioevo. La concezione fascista della vita non torna indietro, va innanzi: ma va innanzi riprendendo e trasformando il punto di partenza del pensiero moderno”.
E dunque, secondo te, don Romolo Murri non poteva essere fascista perché era il fondatore della Democrazia Cristiana, e in più, Dio ne scampi! un modernista! Ma lo storico, caro orecchante, dev’essere sempre revisionista (De Felice). Per quanto mi concerne, anch’io conoscevo don Romolo Murri soltanto come il fondatore della Democrazia Cristiana, finché un giorno sentii dire a Pannella: “Murri ebbe il torto di diventare fascista, ma la sua concezione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa era per noi pienamente condivisibile”. Pannella, conterraneo del Murri, sapeva che questi nel 1909, unico eletto della Lega Democratica Nazionale (e scomunicato per avere accettato il mandato), non potendo aderire al gruppo socialista e meno che mai a quello liberale, aveva aderito al gruppo radicale. Pannella mi rivelò un Murri fascista scomodo, specie dopo il ’31, col Regime avviluppato nei lacci del Vaticano. Mi misi dunque alla ricerca, e le biografie rimproveravano tutte al Murri di essere diventato fascista e di esserlo rimasto fino alla fine. Ecco infatti un estratto dell’articolo pubblicato dal figlio Stelvio alla fine del ’45 sul foglio clandestino “Nuova Battaglia”: “La lotta gigantesca, lunga, dura, costosissima, ha superato le nostre capacità. Magnifico spesso il figlio dell’umile Italia soldato, ma la generazione intellettuale che avrebbe dovuto sentire, volere, fare la guerra, si è dimostrata stanca, svogliata, incerta di sé e delle cose. troppo scettica per accogliere la disciplina interiore di una fede e di una idea. ”
Quanto al Modernismo, come ogni movimento di pensiero, si può combattere, ma da posizioni contrapposte, che sono quelle della Chiesa controriformistica (v. Fausto Belfiori). Si può criticare, è vero, il Modernismo filosofico come fece il Gentile, imputandogli una “contraddizione tra metodo e principio”, ma, amico caro, non è trippa per quel gatto di sagrestia, come non è trippa per quel gatto il Modernismo teologico. Cercherò di spiegarti invece il Modernismo biblico, che consiste nell’accertare che i dogmi e le proposizioni di fede abbiano un saldo fondamento scritturale. Ma non affaticarti a capire quanto il Modernismo biblico ricaschi a carico del Modernismo teologico. Avendoti riconosciuto competenza in campo sindacale, voglio però spiegarti il Modernismo sociale, condannato con l’enciclica Ubi Arcano di Pio XI il 28 dicembre 1922. Esso consiste in “teorie intorno al diritto di proprietà, ai rapporti tra capitale e lavoro, diritti degli operai, rapporto fra religione e politica”. Si trattava in sostanza della condanna del sindacalismo, e di quello fascista in particolare (siamo a due mesi dalla Marcia su Roma!), e infatti le ACLI non si definiranno mai Sindacato.
Per capirne il senso bisogna risalire al 1891, quando Leone XIII emanò l’enciclica Rerum Novarum, con la quale si appellava allo spirito di carità dei padroni per lenire le miserrime condizioni di vita dei lavoratori. Non era poi un grande sforzo, ma era la prima volta che la Chiesa si prendeva cura delle classi più umili. Il Murri la prende sul serio e fonda i Fasci Democratici Cristiani. Egli non aveva assunto la Rerum Novarum solo in modo strumentale, come arma contro la propaganda socialista. Ma si era sbagliato: la Rerum Novarum si guardava bene dall’intaccare il diritto di proprietà, e Leone XIII lo ribadì con la “Graves de communi”: “La democrazia cristiana, per ciò stesso che si dice cristina, il diritto d’acquisto e di possesso” lo vuole integro, e tutelare la diversità delle classi sociali”. Come definito dal diritto romano, il diritto di proprietà era per Leone XIII un “jus utendi et abutendi”, e non senza ragione nelle “Lettere di un prete modernista” Ernesto Buonaiuti lo definì “il nobiluccio di Carpineto, l’allievo dell’Accademia dei nobili ecclesiastici”.
Dopo l’elezione di Pio X fu chiara al Murri l’impossibilità in Italia di dar vita a un organismo che non avesse il beneplacito del Vaticano. Non restava che “da neoguelfo farsi ghibellino”. Cominciò allora, per evitare la “contaminatio” fra democrazia e cristianesimo, aborrita da Pio X, a chiamare il suo movimento Movimento Sociale, e l’anno dopo fondò la Lega Democratica Nazionale: “Lega e non partito, perché favorevole all’alleanza tra i ceti medi e le aree agricole penalizzate dalla politica giolittiana favorevole all’industria settentrionale; Democratica perché finalizzata all’elevazione materiale e morale dei ceti più umili; Nazionale in contrapposizione all’internazionalismo socialista e al separazionismo antitaliano dei clericali”. Su di essa, tenni al CNR una relazione al Convegno organizzato dalla compianta Prof.ssa Gaetana Cazora sul tema “I Partiti nella Storia e oltre la Storia – La ragion d’essere, l’effettivo essere, l’avvenire”.
Ogni fatto, caro il mio orecchiante, per essere giudicato va collocato nel suo luogo storico. Orbene, il termine “democrazia” ha due accezioni: la prima è la sociale, la seconda quella politica. La prima è l’accezione propria (cfr. L’equivoco della liberaldemocrazia, A. Pellicani Editore 2002. Cfr. altresì La democrazia come violenza, di Luciano Canfora, Sellerio 1971), mentre la seconda è passata poi con l’indicare un governo eletto dal basso, che nella patria in cui era nato (gli USA) era chiamato propriamente governo repubblicano. Per il Murri valeva la prima accezione, la sociale, tant’è vero che nel 1913, quando verrà sconfitto dal conte Falconi, egli che si era battuto per l’allargamento del suffragio, protesterà: “Il suffragio universale è stato applicato contro gl’interessi della democrazia”. Inviato speciale del Resto del Carlino al 1° Congresso del PNF del ’21, fu allora che vi aderì,e nel ’27 dichiarerà: “L’era del suffragio universale si è chiusa. Fine ingloriosa.”
La Rerum Novarum, che aveva dato al Murri l’impulso per fondare i “Fasci Democratici Cristiani”, sarà tirata fuori nel 1926 contro la Carta del Lavoro, che proclamava la “funzione sociale della proprietà” e prevedeva la confisca di quelle terre lasciate incolte dal latifondista per godersi la sua rendita parassitaria. Essa sarà ritirata fuori ancora nel 1931 in occasione del quarantennale della sua emanazione, quasi un manifesto di sollevazione dei cattolici contro il sindacalismo fascista. La dura reazione fascista tolse però ogni velleità di contestazione ai popolari annidati nelle sedi della FUCI, e il Murri spiegò ne “L’ulivo di Sàntena” i veri motivi del conflitto, sorto a due anni appena dalla Conciliazione.
Ma a te, caro orecchiante, che contesti ancora l’identità fascista di don Romolo Murri, voglio comunicare quanto ho trovato su Google alla voce Giovanni Preziosi, ch’io già mettevo nel novero dei modernisti, ma senza conoscerne perfettamente la storia: “Nato il 28 ottobre 1881 a Torella dei Lombardi (Av), dopo aver studiato al Seminario di S. Angelo dei Lombardi si trasferì a Napoli dove nel 1902 ottenne la laurea in teologia, poi in filosofia e nel 1904 fu ordinato sacerdote. E’ in questo periodo napoletano che Preziosi comincia la sua formazione politica aderendo entusiasticamente alla democrazia cristiana (poi Movimento Sociale) di don Romolo Murri, il quale lo mise in contatto con personalità di primo piano quali padre Genocchi, padre Semeria e don Brizio Casciola (confluiranno poi nel fascismo, n. d. r.), i quali chiedevano maggiore autonomia dalle gerarchie ed una decisa adesione al modernismo. Già dal 1901 Preziosi aveva fatto decisa opera di propaganda a favore della democrazia cristiana, praticamente assente nel meridione, e aveva promosso il Convegno di Avellino nel 1902. I democristiani, per sottrarre i lavoratori alla propaganda socialista elaboravano programmi a tutela delle classi più deboli (democrazia sociale!) come l’erogazione di un più giusto salario, un limite alla durata del lavoro e l’assicurazione dei lavoratori (programmi che saranno poi attuati dal fascismo, n. d. r.).
L’amicizia di Preziosi col Murri è attestata tra l’altro da sette lettere del primo a conferma di una salda amicizia: egli invita il Murri a passare l’estate a Torella e a tenere il discorso ufficiale in occasione della sua ordinazione sacerdotale. Murri dedicò a sua volta a Preziosi un articolo in occasione della sua prima messa e gli recensì il libro “Il Problema dell’Italia d’oggi”. Come ulteriore conferma della loro collaborazione nel 1924 su “Il Mezzogiorno”, quotidiano diretto da Preziosi dal 1923 al 1929, comparve una serie di articoli di Murri. Nel 1938 e nel 1942 articoli di Murri comparvero su “La Vita Italiana” di Preziosi. Del resto anche l’antisemitismo di Preziosi era d’origine cattolica (popolo deicida e complotto ebraico per impadronirsi delle ricchezze mondiali) e non aveva valenza eliminazionistica ma solo politica. Coi programmi di democrazia cristiana era connesso allora il problema dell’emigrazione meridionale, ignorato dalla gerarchia ecclesiastica. Preziosi, portavoce della democrazia cristiana, per queste sue pretese posizioni modernistiche fu messo sotto accusa e sottoposto a un controllo spionistico, in seguito al quale, per protesta contro l’indifferenza della Chiesa ai problemi sociali, smise l’abito nel 1913. Il Murri lo aveva smesso nel 1910. Grazie per avermi offerto quest’occasione, Giuseppe Aziz Spadaro.
 
 

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