Realtà e sciaugure della politica italiana: il voto che inquina

17 Maggio 2010

Mauro Cascio

Fonte: Parvapolis

 

Considerazioni sulle assurdità della realtà politica italiana

Il voto inquina

Solo la fine di una mentalità democratica ci salverà. Chi vota inquina anche te: digli di smettere

 

Penso che dovremmo recuperare una follia. Quella di riscoprire i valori dell’antidemocrazia. Il limite di molte analisi, oggi, è questo: confondiamo la causa con l’effetto. Stiamo lì a parlare di Berlusconi, e non ci accorgiamo che lui, appunto, è un effetto. Dal canto suo fa una cosa che la sinistra, per esempio, non riesce a fare: vincere le elezioni. È quello il suo mestiere. Ma è il voto che produce, nel caso, un governante mediocre. Quindi la mediocrità è a monte. È in chi vota. Se chi vota non ha consapevolezza di nulla, non ha strumenti di analisi, non è educato, è indifferente ai programmi, è evidente che finirà per votare uno come Borghezio. Il figlio di Bossi può essere eletto in un consiglio regionale solo in una democrazia. Altrove ci avrebbero solo raccontato le barzellette su. Ma anche la Lega ce la meritiamo. È qui per noi. Un tempo era l’élite che doveva formare la coscienza delle masse. Doveva provvedere all’educazione, alla crescita. Oggi le masse si educano da sé. E diventano maggioranza votante. Una volta tutto, televisione, scuola, università, enti culturali proponevano strumenti di crescita. Oggi tutto si deve adeguare a un gusto. La televisione è democraticamente serva dell’auditel. Quelli del Grande Fratello fanno il loro lavoro: fare sì che la trasmissione sia la più vista dell’anno. Anche qui il marcio sta a monte. Ci dobbiamo adeguare a un gusto, che è un gusto becero. Il problema è il gusto. Le cattedre universitarie con programmi complessi non hanno alunni e rischiano di chiudere: sono costrette, democraticamente, a fare corsi semplici e appetibili. Persino gli enti lirici sono costretti a riempire i teatri, pena il taglio dei fondi. Anche la musica la ascolteremo per alzata di mano, i ragazzi di Amici batteranno Rossini, alla Scala avremo Gigi D’Alessio e ci dimenticheremo di Luigi Nono. In libreria vince l’intrattenimento, la Mondadori pubblica asini, l’importante è che vendano. Contano i numeri. Gli intellettuali non sono più la classe dirigente della cultura. Sono semplicemente una minoranza. Se senti un plebeo lui ti risponde: magari avessi tempo per studiare. Invece per votare il tempo lo trova. E ci troviamo così: che un intellettuale si deve stare pure attento. Perché quando parla, e non lo capiscono, in una democrazia mica è colpa di chi non lo capisce: no, la colpa è sua che non si fa capire. Deve parlare in dialetto. A Latina se parli in sezzese hai capito tutto, sei un intellettuale che conta. Perché anche un politico può capirti. Se un politico non ti capisce, che figura fa? Oggi un intellettuale deve fare discorsi semplici per essere apprezzato, deve essere compiacente e constatare l’ovvio, senza arditezze di pensiero. Solo la fine di una mentalità democratica ci salverà. Chi vota inquina anche te: digli di smettere.

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