Il ministro Sacconi, la Fiat, le industrie e il lavoro. Ecco la mia risposta al ministro e alle Parti sociali

25 Agosto 2010

Alberto Savastano 

alberto.savastao@libero.it                                                                                                                                                                                                                                  Cell .328.7051894 –Tel. 06.9575510

 

“COME SI GARANTISCE CHE UN INVESTIMENTO SI TRADUCA IN RISULTATI ?”

Considerazioni estese ai Guru delle Parti sociali e per conoscenza al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e a tutti gli Italiani interessati

 

Ponendosi questo quesito e dichiarandosi totalmente d‟accordo con la tesi del Segretario della CISL Raffaele Bonanni (per rispetto della Giustizia e della Politica, la FIAT riammetta al lavoro i tre lavoratori licenziati a Melfi e riunisca tutti i sindacati. L’azione ostinata della FIOM non potrà che produrre solo scioperi su scioperi), il Ministro del Welfare chiude il suo intervento alla manifestazione di Comunione e Liberazione ora in corso a Rimini (Rai News di oggi 23/8/2010.)
L‟occasione è troppo ghiotta per non rispondere immediatamente al Ministro.
Le metodologie dell‟Economia dello Sviluppo hanno dato la risposta al Sig. Ministro, fin dai primi anni ‟50 prescrivendo le procedure di analisi progettuale da seguire per poter, come desidera il Sig. Ministro, “garantire che un investimento si traduca in risultati”. La risposta è la seguente: accertarsi preventivamente che il progetto d investimento in esame sia “Redditivo”; che produca, cioè, “Valore aggiunto” adeguato sia dal punto di vista finanziario che sociale.
Poiché su questa materia ho già scritto molto ed ho soprattutto contribuito, da molti anni, a divulgarne cultura e professionalità, per brevità di trattazione, rinvio il lettore a tali scritti di cui segnalo, in particolare, quelli apparsi più di recente in www.europadellaliberta.it e www.losviluppo.blog.tiscali.it
Nel caso di progetti industriali della FIAT di cui si discute: (Melfi o Pomigliano d‟Arco), rientrando essi nella categoria dei progetti produttivi, l‟Economia dello Sviluppo prescrive l‟analisi di redditività al fine di accertare preventivamente se e a quale entità – rispetto ai costi da sostenere per realizzare l’investimento – possa essere stimato il “surplus di valore” che il progetto in esame sia concretamente in grado di generare.
L’Analisi finanziaria, consente di quantificare l‟entità del surplus di valore atteso dalla realizzazione del progetto e di esprimerlo in termini di “Ritorni finanziari”.
L’Analisi Sociale consente di quantificare l‟entità del surplus di valore atteso dalla realizzazione del progetto e di esprimerlo in termini di “Benefici sociali”;
In entrambi i casi, il “surplus di valore” atteso è calcolato rispetto ai costi d‟investimento del Progetto. Lo stesso può essere, quindi, quantificato in valore assoluto “Valore aggiunto” o in percentuale: Tasso interno di redditività o Tasso di remunerazione del Capitale investito.
Le due analisi vanno condotte sull‟intero arco temporale di vita del progetto che comprende la fase d‟investimento- o di cantiere –e la fase di gestione – o di produzione che coincide con quella della componente fiscalmente più longeva del progetto (in caso di opere immobiliari, ad esempio, la durata di vita della fase di gestione sarà pari al periodo di ammortamento dei beni immobili da realizzare: 20 anni). Ovviamente, a seguito dei risultati ottenuti, sarà bene approvare unicamente i progetti dai più alti tassi di redditività.
Questo tipo di analisi avvalora la validità di una tendenza positivamente sperimentata nel tempo; il progetto redditivo è in grado di garantire per la sua intera durata di vita la produzione di valore aggiunto al netto della remunerazione dei fattori produttivi (Natura, Capitale e Lavoro) e, quindi, come nel caso Fiat, la copertura certa dei salari ai livelli remunerativi convenuti.
Su questi temi resto a disposizione del lettore per qualsiasi altra precisazione e/o chiarimento Nel
frattempo mi permetto di concludere nei seguenti termini: le richiamate Metodologie dell‟Economia dello Sviluppo, già formulate dai primi anni „50 e proposte al mondo intero da Centri di ricerca, Organismi e Organizzazioni finanziari internazionali, sono ancora oggi di palpitante attualità; esse, infatti, non solo non sono state ancora superate dalla ricerca ma restano, universalmente, considerate, in materia di progettualità e Sviluppo, come l‟espressione del più elevato livello di tecnicità e di attendibilità scientifica fino ad oggi raggiunto.
Utilizzare queste metodologie per soddisfare il quesito posto dal Sig. Ministro e più in generale per valutare preventivamente qualsiasi progetto d‟investimento, significa porsi in due posizioni di disarmante vantaggio: 1. Avere la consapevolezza di approvare e realizzare unicamente progetti redditivi. 2. Sentirsi sempre tecnicamente e deontologicamente confortato dall‟uso di metodologie scientifiche conformi ai principi dell‟Economia dello Sviluppo e agli standard tecnici internazionali. Questo conforto si rivela particolarmente tranquillizzante nel malaugurato caso in cui per eventuali e diversificate cause di forza maggiore, il progetto approvato dovesse rivelarsi un fallimento.
A mia conoscenza, le Parti sociali hanno sempre fatto ricorso a metodologie alternative a quelle prescritte dall‟Economia dello Sviluppo, metodologie tipicamente aziendaliste e a carattere congiunturale quali: Analisi di bilanci, Piano industriale, piano d‟impresa ecc. Tali metodologie sono tecnicamente improprie per la valutazione dei progetti e, quindi, inutili rispetto all‟obiettivo di “tradurre il progetto d‟investimento in risultati”, cioè, approvare e realizzare unicamente progetti ad adeguato valore aggiunto e a elevato livello di redditività.
Utilizzando le metodologie improprie richiamate, i progetti d‟investimento di cui ci si occupa sono gravemente esposti non solo a elevatissimi rischi d‟insuccesso economico e sociale bensì anche allo sperpero delle risorse finanziarie pubbliche e private agli stessi progetti allocate. Non è difficile conseguentemente comprendere come a questi errori siano riconducibili i continui e dannosi disordini della gestione delle problematiche economiche, finanziarie e sociali di cui si sono tradizionalmente occupate le Parti sociali.
Come anticipato nel mio articolo “Rissa al posto della razionalità” del 18 agosto u.s., evidenzierò le responsabilità e le colpe di questo insano comportamento in articoli dedicati ai singoli componenti delle Parti sociali.
In questa sede mi limiterò unicamente a ribadire che, per le ragioni evidenziate, le Parti sociali si sono rese storicamente colpevoli e responsabili di gravissime inadempienze politiche e tecniche, difficilmente giustificabili a posteriori.
E‟ totalmente inutile cincischiare su espressioni del tipo “ Se c‟è la “Fabbrica”, ci sono i diritti”; se non c‟è la “Fabbrica”, non ci sono i diritti (evidentemente dei lavoratori) e/o su altre espressioni del tipo “ il Governo non s‟impegna; se il Governo svolge il ruolo di mediatore, deve pur portare qualche cosa”.
Si tratta di attitudini che vanno stigmatizzate severamente!
Se la certezza proviene dalla presenza fisica della “Fabbrica”, ma non dall‟accertata redditività degli investimenti sottostanti alla “Fabbrica”, i presunti diritti dei lavoratori non sono solo estremamente fragili ma addirittura inesistenti.
Parimenti se, in assenza del necessario accertamento preventivo della redditività, la “Fabbrica” si realizza unicamente perché c‟è l‟apporto finanziario dello Stato, non solo non si potrà “garantire che l‟investimento si traduca in risultati” ma si esporrà l‟investimento a seri rischi d‟insuccesso.
Qualora, infatti, il progetto, nonostante l‟intervento pubblico, si rivelasse incapace di produrre valore aggiunto, non rientrerebbe nella categoria dei Progetti redditivi, ossia di quelli in grado di favorire la “Crescita nello Sviluppo” ma si trasformerebbe in una mera operazione speculativa tipica di quel fenomeno economico che io chiamo “Crescita senza Sviluppo”, che favorisce gli interessi dei “pochi” a totale detrimento degli interessi “dei più”.
In Italia il PIL è caduto vertiginosamente (– 6% circa) con conseguenti forti squilibri economici, sociali, occupazionali e, anche e soprattutto, sindacali, perché da circa trent‟anni l‟Italia dalle “mille Fabbriche” crea poco valore aggiunto. Per invertire la rotta è indispensabile fare una sola cosa, esattamente quello che si domanda il Sig. Ministro: “Garantire che un investimento si traduca in risultati”.
Per raggiungere quest‟obiettivo è indispensabile attuare unicamente progetti redditivi, progetti, cioè, di cui sia stata accuratamente accertata, in via preventiva, la capacità di creare adeguato valore aggiunto e, quindi, elevati tassi di redditività finanziaria e sociale.
(Aggiornato in data 29 settembre 2010)
 

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