Franza: considerazioni odierne sull’unità d’Italia per chi sragiona in certi modi

05 Ottobre 2010

Enea Franza

 

Quanto vale l’unità d’Italia?

Piccole ma importantissime considerazioni sotto gli occhi di tutti su cui Bossi e i bussolotti sorvolano come passerotti da cortile – Ragionare con pacatezza di tutto, ad iniziare da ciò che gli sproloqui leghisti mettono in primo piano: la difesa del benessere economico e materiale, oltre all’importanza del ruolo dell’identità nazionale e dei suoi intoccabili valori.

 

Il patriota Giuseppe Mazzini, ne “La Patria”, cosi si esprimeva con riguardo all’Italia: « …il mare la ricinge quasi d’abbraccio amoroso ovunque l’Alpi non la ricingono: quel mare che i padri dei padri chiamarono Mare Nostro. E come gemme cadute dal suo diadema stanno disseminate intorno ad essa in quel mare Corsica, Sardegna, Sicilia, ed altre minori isole dove natura di suolo e ossatura di monti e lingua e palpito d’anime parlan d’Italia”. Il valore dell’unità d’Italia era, nella parole del patriota Giuseppe Mazzini, un prodotto di valore enorme, tanto da dedicarne alla edificazione un’intera vita.
Come lui per tanti e tanti altri patrioti del risorgimento, il valore dell’unità d’Italia era la ragione unica del loro operare, anzi il motivo della loro esistenza. Oggi le cose paiono andare diversamente. L’unità d’Italia non sembra essere più un valore.
E’ lecito allora, come per tutte le cose che hanno un valore relativo e non assoluto, chiedersi quale sia il loro prezzo; possiamo legittimamente porci cioè la domanda di quanto effettivamente vale l’unità del nostro Paese (per chi lo sente come me tale).
Bene, l’idea è quella di cominciare a misurare i vantaggi e gli svantaggi di un Paese unito, dalle Alpi fino alla Sicilia. Per far ciò la prima idea che ci passa per la testa è di passare in rassegna quelli che sono, stati senza ombra di dubbio, i vantaggi di avere, da circa 150 anni, una Nazione unita, ovvero elencare i risultati che difficilmente si sarebbero potuti ottenere qualora il nostro popolo avesse continuato a essere disunito.
Facciamo un piccolo riassunto di ciò che è stato! Primo vantaggio indiscusso dell’unità d’Italia: la sicurezza territoriale.
Vorrei ricordare, in proposito, che la nascita dello Stato Italiano pose definitivamente fine alle invasioni straniere sul territorio italiano (iniziate quando Ludovico il Moro invitò Francesco II ad intervenire a Milano nel 1498) e continuate per un lunghissimo periodo, oltre trecento anni, con l’ingerenza di Francia, Austria e Spagna. Non è necessario essere acuti analisti per cogliere quale sia l’effetto dell’arrivo di eserciti stranieri sullo sviluppo politico ed economico di un dato territorio, basti per esempio, il destino toccato a molti Stati dell’Africa (Congo, Ruanda, Uganda e Burundi, molto più poveri degli Stati confinanti), ma anche dei popoli dell’Europa dell’Est che sono finiti sotto l’influenza della Russia sovietica.
E’ un dato facilmente intuibile che uno Stato forte ed indipendente evita il rischio di espropriazioni o distruzione da parte degli eserciti nemici e favorisce gli investimenti, aumentando la prospettiva di una concreta crescita economica e di sviluppo. Il Nord ed il Sud dell’Italia, in un contesto di separazione avrebbero molto probabilmente finito per essere attratti nelle sfere di competenza più o meno diretta di Austria e Ungheria (fino almeno al 1919), Papato e Spagna. Dopo le guerre mondiali, alcuni di questi territori sarebbero verosimilmente stati incorporati da alcuni vicini (l’Austria e la Jugoslavia titina, per esempio). Tralasciando questa divertente ricostruzione storica, è certo che molte delle occasione che il nostro Paese ha colto nei consessi internazionali, mai avrebbero potuto essere qualora l’Italia non fosse stata unitaria.
Si dirà che al giorno di oggi il rischio militare, anche per una Italia divisa, è molto minore e che l’appartenenza all’Unione Europea costituisce un superamento degli interessi nazionali. Ma le cose non stanno proprio cosi e sul punto mi riservo di tornare più avanti.
Un ulteriore vantaggio sicuramente connesso al processo di unificazione dell’Italia è relativo allo sviluppo industriale, iniziato con l’unità d’Italia e proseguito con il regime fascista (come oramai quasi universalmente riconosciuto), anche se esso fu avviato e attuato in maniera geograficamente e demograficamente squilibrata.
Il processo di industrializzazione italiano fu non solo favorito, ma addirittura reso possibile dalla creazione di un mercato interno sufficientemente grande, che ha consentito, con l’ampliamento del mercato stesso, il conseguimento delle economie di scala necessarie a rendere economiche le produzioni. Si tratta in definitiva del progresso tecnico, dell’istruzione, dell’organizzazione del lavoro, ecc. Insomma, quel che qui desidero far comprendere è che l’abbondanza propria di una collettività contrasta con di un’abbondanza privata limitata a una cerchia più ristretta!
Infatti, l’Italia appartiene ai cosiddetti paesi di seconda industrializzazione come gli Stati Uniti e la Germania (a differenza di Inghilterra e Belgio, per esempio). La seconda rivoluzione industriale 1860-1870 non si basava più su piccoli artigiani che usavano il telaio, ma su alti investimenti nei settori metallurgico e siderurgico. A tal fine, un vasto mercato nazionale, adeguatamente protetto dalla concorrenza straniera, al fine di permettere lo sviluppo dell’industria nascente, era assolutamente necessario.
Il problema rimane in piedi anche oggi! Le nuove frontiere dell’industria avanzata quale quella aerospaziale, elettronica, cantieristica, delle biotecnologie, dell’energia, dell’ambiente e dell’informazione, dei trasporti e delle vie di comunicazione di terra, di mare e di cielo, solo per fare qualche esempio, infatti, presuppongono grandi investimenti infrastrutturali.
La possibilità di giocare un ruolo nei consessi internazionali, dunque, è immaginabile solo per una grande economia, come ben sanno coloro che ci lavorano, pena la marginalizzazione ed il confinamento in posizioni di nicchia. In effetti, è bello crogiolarsi nell’idea di essere liberi di cambiare il modello di sviluppo di una società. Ma, ripetiamolo, perché sia ben chiaro a tutti: non siamo liberi di cambiare!
Riflettiamo: siamo liberi di comprare o meno un’automobile, o possedere un cellulare, o un computer, quando questi strumenti sono divenuti d’uso comune ? Bene, per quanto la cosa possa non piacerci, non lo siamo.
Allora, cosi come, nella seconda rivoluzione industriale, fu necessario lo sviluppo di una rete ferroviaria nazionale, l’omogeneizzazione della lingua, delle unità di misura, e la creazione di una moneta nazionale, oggi è necessario disporre di ingenti finanziamenti, di tanta gente altamente professionalizzata e capace di un sentire comune e coeso. Tutte condizioni che è possibile trovare solo in una grande realtà. Grande anche in termini demografici, atteso che i nuovi competitori sono economie del livello della Cina e dell’India.
L’Italia oggi è Paese fondatore dell’Unione Europea, della Nato, del Consiglio d’Europa, dell’OCSE ed aderisce all’ONU ed all’Unione Europea Occidentale, oltre naturalmente a far parte del G20!
Ad un Paese diviso non spetterebbero gli stessi onori, e, come succede per gli slovacchi ed i cechi, nonché ai Paesi che sono sopravvissuti a quella che era la ex Jugoslavia, l’esclusione dal banchetto comporta l’estromissione dalla condivisione degli indirizzi futuri dell’economia, che ricordiamolo a tutti sono decisi oggi (più che mai) solo in sede internazionale!