TRATTATO ITALO – LIBICO. E’ CARTA STRACCIA

27 Febbraio 2011

Domenico Cambareri per Eulà

 

BERLUSCONI, IL TRATTATO ITALO – LIBICO VA DENUNCIATO UNILATERALMENTE

Dopo la cacciata del tiranno, Tripoli tornerà ad essere bel suol d’amore? – Errori e colpe inemendabili dei governi italiani – Una storia di pagliacciate e di viltà – Rinasca la profonda amicizia e la fratellanza tra due popoli uniti oltre ogni differenza religiosa da storie di cultura antiche – Riconosciamo il ruolo svolto dai giovani libici – Riconfermata la vunerabilità del sistema economico e sociale per la non autosufficienza energetica: a quando il nucleare? Eulà.

 

Il governo ha fatto sapere agli italiani, per mezzo del ministro della Difesa, che il trattato di amicizia italo-libico di fatto non c’è già più, è inoperante, è sospeso. Ci dispiace, ma i termini, se non imprecisi e scorretti, sono assai generici e non indicano nulla di preciso. Se non il fatto che, con quel che sta succedendo in Libia, non è possibile al momento attuarlo per le condizioni di impossibilità pratica in cui si trova l’altro firmatario. Per cui non ci siamo proprio. Sarebbe meglio dire che è sospeso in attesa dell’ulteriore svolgimento degli eventi in terra di Libia, in primis la messa in salvo dei pochi italiani che ancora vi rimangono, e subito dopo la certezza che nessuno strumento bellico offensivo in grado di colpire il suolo italiano sia nella mani degli uomini fedeli a Gheddafi. Dopo di che, è doveroso e necessario, senza perdere tempo, che il governo italiano dichiari unilateralmente decaduto questo cosiddetto trattato di amicizia che è il risultato grottesco della messa in scena di una politica estera ipocrita, codarda e autolesionista che i governi italiani e i partiti che li hanno sorretti hanno messo in scena nel teatro della storia contemporanea negli ultimi quarant’anni, cioè da quando Gheddafi assunse il potere.
E’ essenziale precisare, sul piano storico, che Gheddafi ha continuato in  politica estera la conduzione della politica confinaria dell’Italia prebellica specie per quella con il Ciad e che la Libia stessa, come entità geografico-politica, è niente altro, nella storia contemporanea, che una creazione italiana dall’indomani della conquista dei tre governatorati dell’impero ottomano di Cirenaica, Tripolitania e Fezzan. Anche qui Gheddafi ha continuato ciò che gli italiani avevano fatto, mentendo spudoratamente e inventando una inesistente “preesistente” entità libica, sempre con il silenzio ottuso e complice dei governi “antifascisti” dell’Italia repubblicana. Non bisogna stancarsi di ricordare questi antecedenti fondamentali, senza i quali è assurdo potersi destreggiare con un minimo di correttezza e fondatezza negli avvenimenti attuali. Toccherà agli studiosi e ai biografi di questo tristo e criminale personaggio scandagliare nei meandri della sua vita, anche in relazione all’accentuazione del contrasto tra odio e bisogno inevitabile degli italiani vissuto da quel giovane capitano libico che, sull’onda del nazionalismo identitario “arabo” (correttamente: nord africano e islamico) mise in atto il colpo di stato con cui si elevò, come egli stesso ancora da pochi giorni ha ricordato, al ruolo di indiscutibile e intoccabile capo, non nel senso istituzionale di presidente della repubblica e/o del consiglio, ma di figura carismatica assolutamente posta al di sopra di ogni struttura istituzionale, anzi legittimante, con il suo messianico “libro verde”, la nascita e la vita stessa della Jamahiriya, di questa repubblica delle masse libico-islamiche laicizzate.
Colpa inemendabile di Berlusconi è quella di avere soggiaciuto a ciò che nessuno aveva mai sottoscritto prima, neppure Prodi, riconosciuto non di meno caro amico da Gheddafi, e cioè le “colpe” del passato coloniale. Per quanto abbiamo dianzi accennato e per quanto vi furono atti di violenza manu militari contro le tribù non “libiche” che continuavano a resistere con atti di guerriglia all’occupazione italiana, è universalmente riconosciuto quanto di enormi benefici gli italiani apportarono e di cui beneficiarono per decenni le popolazioni indigene, tanto che la Libia, anche se considerata “colonia”, fu appellata emblematicamente quarta sponda dell’Italia. La costa libica era diventata quasi dovunque uno sterminato sviluppo di campi agricoli, di giardini e di villaggi. Certo, la guerra determinò disastri generalizzati per gli indigeni e per l’enorme colonia italiana. Di quali danni e indennizzi di guerra dobbiamo essere debitori? E’ da individuare esattamente quali colpe i nostri governi hanno commesso nel secondo dopoguerra non aiutando forse in maniera dovuta l’opera dello sminamento dei tanti campi minati e in particolare non riconoscendo, ingiustamente, le pensioni militari ai combattenti indigeni. Ma per il resto? Siamo di fronte ad un  criminale che ha dilapidato risorse finanziarie incredibili in armamenti e piani folli di armi di distruzioni di massa per mezzo della vendita del petrolio senza arrecare benefici tangibili e duraturi alla popolazione. Ha obbligato la totalità o quasi dei profughi già da venti anni circa a rientrare in Libia pena rappresaglie sui parenti ed ha reso il popolo quasi inetto obbligandolo a vivere di stipendi da dipendenti pubblici, anche senza far nulla, inibendo le aspettative giovanili e le intraprendenze di chi voleva iniziare altre attività, in generale precluse perché riservate ai clan che lo affiancavano nella gestione del potere.
Comprendiamo l’esigenza di Berlusconi, quale responsabile dell’esecutivo, di assicurare la certezza dei rifornimenti energetici in maniera duratura e conveniente, come cercò anche di fare Prodi. Conveniamo che la Libia, anche se retta da Gheddafi, per noi ha rappresentato e rappresenta una condizione di eccezionale fruizione per la contiguità geografica e per la facilità dei rifornimenti. Non possiamo condividere però la logica secondo cui ciò debba essere conseguito a qualsiasi prezzo.  E i prezzi delle menzogne storiche e delle vigliaccherie morali sono i peggiori e sono quelli che tengono, e che ci hanno tenuto, sempre sotto ricatto e sotto schiaffo. Mentre, invece, all’interno della Libia, il ruolo carismatico dell’intoccabile era oramai consunto.
Colpa della inettitudine e della remissività vigliacca de nostri governi è stata quella di aver sempre ceduto ai soprusi e alle violenze aperte di Gheddafi (e di qeulle “nascoste” legate al terrorismo?). Ricordo agli italiani che, nel corso degli anni, dopo l’espulsione in massa dei nostri connazionali con la confisca di tutti i loro beni e con atti di brutalità inaudita e con la distruzione dei cimiteri italiani (quali e quante le responsabilità dirette della DC e del PCI nella gestione di questa tragedia?), Gheddafi fece mitragliare una nostra nave da guerra che dovette rispondere con il cannone di prora al fuoco del velivolo da caccia libico (un marinaio rimase ferito), che lanciò due missili contro Lampedusa, che assediò nel canale di Sicilia una piattaforma petrolifera italiana che lavorava per conto di una compagnia canadese per il governo maltese e che dovemmo inviare elicotteri e navi da guerra per presidiarla e difenderla, che il nostro spazio aereo e le nostre acque sono stati continuamente violati. Noi avevamo buone, ottime motivazioni per partecipare al blitz statunitense ordinato da Reagan nel 1986. Invece… avvenne qualcosa di buffonesco e di grottesco. In quel caso, non si sarebbe trattato della violazione della Costituzione, in quanto eravamo stati più volte attaccati. E’ perciò da dire che chi ha i suoi guai, spesso se li è cercati e perciò se li pianga.
Ma adesso, è giunto il momento di dire basta, anche per la prossima caduta di Gheddafi. Il trattato va annullato e andrà totalmente riscritto con il futuro governo libico, non con il governo pro tempore dei prossimi giorni o delle prossime settimane, ma con quello della Libia pacificata. Siamo certi che non pochi del futuro assetto di governo libico riconosceranno non solo i torti ma anche i benefici apportati dagli italiani alla terra di Libia e alla sua popolazione, e il profondo, amichevole e fraterno legame che ha unito e unisce i due popoli, oltre errori colpe e nefandezze. E oltre gli schermi di una storia surrogato di fanatismi e di fissazioni patologiche, da cui il popolo libico si sta liberando grazie alle giovani generazioni non drogate dagli osanna verso il leader indiscusso, nelle piazze  ma non nelle carceri, sino a poche settimane addietro.

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