Il dopo Referendum. La Lega e il gioco del domino

16 Giugno 2011

Domenico Cambareri

 

Il Dopo Referendum. Politica bloccata. Rilanciamo il governo PdL – PD

 

I risultati dei referendum, da noi considerati scontati, non cambiano nulla sullo scenario politico a breve termine, nonostante l’inarrestabile frenesia del non più inamidato Bersani.
Ciò non significa che nulla è accaduto, ma l’acqua che scorre sotto i ponti ci indica che alcunché di radicalmente nuovo è avvenuto.
Prima dell’analisi politica, iniziamo dal motivo specifico dei diversi quesiti referendari. I due relativi all’acqua, non sono altro che la coda di scelte all’inizio motivate (parliamo di quindici anni addietro) ma poi via via rese inidonee e fonte di ulteriori sprechi per le molteplici forme di connivenza instaurate tra il pubblico e il privato, con società miste o affidatarie in esclusiva, in cui la voce profitto è prevalsa in maniera sfacciata e incontrollata, assieme alla vecchia e mai morta strada dei rivoli e dei canali di soldi buttati al vento (si fa per dire), dei clientelismi e dei costi dei consigli di amministrazione. Ciò che doveva essere manifestazione di efficienza, di oculata e virtuosa amministrazione diventò subito qualcosa di completamente diverso che contribuì ad accrescere le “spese allargate” del sistema politico-burocratico parassitario. Il PD non ha motivo di gioire in quanto, nella realtà della cronaca, vediamo coinvolte amministrazioni locali di ogni colore e di ogni alleanza. Inoltre, perché fu il PD a cavalcare demagogicamente, direi in maniera forsennata, la via del liberismo e delle privatizzazioni “all’americana” per dare il più possibile l’immagine di un partito nuovo in tutto, ad iniziare dalle scelte in ambiti in cui il suo comunitarismo e il suo populismo proletario venivano completamente rimossi dalla realtà quotidiana e dalla memoria. Ottimo concorrente nella retorica senza fine del liberismo berlusconiano e, a onor del vero, dei suoi fasti a livello di Unione Europea. La nuova legge del governo avrebbe voluto immettere nel mercato nuove fasce di imprenditoria che nulla avrebbero rischiato e che avrebbero voluto vivere di rendite sicure. Ancora una volta, vediamo che in Italia nulla è cambiato: una parte degli imprenditori non è tale che di nome, volendo vivere solo di sussistenze garantite, a condizioni di privilegio.
Sul nucleare, non vogliamo ripeterci. Riteniamo che negli anni a venire dei futuri governi (ma forse, perfino una opinione pubblica e un elettorato più maturi e più reattivi di fronte all’odierna condizione di passiva, supina recezione degli slogan martellanti e profetizzanti solo sciagure degli antinuclearisti “ambientalisti” verde petrolio) si riterranno completamente svincolati dal risultato di questo referendum, a pro dell’assicurare fonti certe di produzione energetica e dell’evitare di incorrere in imprevedibili gravi rischi di qualsiasi natura, legati alla fluidità degli scenari internazionali, in tema di rifornimenti di petrolio. Fermo rimane che l’utilizzazione su larga scala di petrolio, gas e carbone per le esigenze dell’industria rimane una scelta gravissima perché produce un impatto quotidiano terribile sulla salute dell’uomo, degli animali e di tutta la biosfera, su cui i verde petrolio preferiscono tenere la bocca cucita. Il ricorso alle fonti di energia pulita, che va comunque incentivato al massimo, non può produrre quello che sembra promettere per bocca dei demagoghi, quindi per molti anni non potrà che soddisfare in misura marginale le esigenze dei consumi energetici nazionali. Inoltre, questa scelta produrrà effetti collaterali su cui non è stata richiamata affatto l’attenzione dei cittadini e su cui siamo del tutto impreparati come -per un quarantennio – per i sacchetti di plastica, ma su cui già da un po’ di tempo ci siamo imbattuti. E su cui vediamo sempre i soliti “ecoambientalisti” verde petrolio alzare le barricate. Si tratta comunque in generale di problemi obiettivi, come ad esempio la rumorosità delle pale eoliche per l’ambiente antropico e per quello zoologico, ad iniziare dal patrimonio avicolo. L’utilizzazione di sempre più ampie superfici da dedicare alla realizzazione di centrali di pannelli solari non è cosa da nulla e così come il caso precedente produce la conseguenza diretta e immediata di dove e come stoccare e possibilmente trattare / riciclare i materiali inquinanti impiegati per realizzare pannelli e pale eoliche. Ci accorgiamo che anche queste scelte comportano e generano problemi non indifferenti. Come quelli relativi all’impatto con la preservazione storico-archeologico-artistica del paesaggio. O come nel caso della produzione di carburante generato da alcoli da prodotti vegetali, che ha determinato la sottrazione all’agricoltura di superfici sterminate e che ha provocato la vertiginosa crescita dei prezzi della pasta e dei prodotti cerealicoli e affini su scala mondiale. Il semplicismo demagogico, dunque, di fronte a paventate minacce di apocalissi radioattivi, ha vinto alla grande.
Su Silvio e il suo scudo, abbiamo poco da dire. Questa seconda fase della storia della Repubblica (impropriamente ed erroneamente detta seconda Repubblica) era iniziata con la quasi generale accettazione del modello politico bipolare e dell’alternanza. Esso fu condiviso alla grande dai maggiori attori e dai maggiori partiti. Ma poiché l’alternanza, in base ai risultati elettorali, è stata poca per le aspettative di governo della nuova sinistra (il “dopo” Quercia: PdS e PD), essa non ha esitato ad abbracciare in toto o quasi le campagne accusatorie messe in atto con chiara strumentalità politica da certi pubblici ministeri. Non è una stupidità affermare che il PD, con Di Pietro, è un vero e proprio alleato politico di questi pubblici ministeri. In tutto ciò, i corpi rappresentativi della magistratura hanno fatto quadrato lasciandosi purtroppo coinvolgere nella difesa corporativa, spalla a spalla, di alcuni magistrati ed ha inteso porsi come potere e non come ordine specifico di funzionari pubblici che adempie e attua, nell’esercizio delle leggi, il potere giudiziario. D’altronde, Berlusconi le tante assoluzioni le conseguite in Italia, in tribunali italiani, con giudici italiani. Quanto qui viene detto è un qualcosa di constatazione spassionata e serena e nulla ha che vedere con le attività imprenditoriali o di qualsiasi altra natura di Silvio Berlusconi. In questo incessante accerchiamento giudiziario, politico e mediatico, Berlusconi ha fatto quello che altre persona di buona tempra avrebbero fatto. Uno degli errori più evidenti da lui commessi è quello di aver fatto preparare una legge con cui lo “scudo” veniva esteso, oltre al capo dello Stato e al presidente del consiglio, ai presidenti delle camere e a tutti i ministri. Assurdo.
In realtà, oggi, di fronte ai fremiti del PD stranamente smorzati da un concorrente di norma più impetuoso, Di Pietro, non possiamo non rilevare come il panorama politico italiano permanga completamente bloccato. Infatti, anche se Bossi e i suoi accoliti volessero fare ricorso allo stiletto per liberarsi di Silvio, le cose non potrebbero minimamente cambiare. E ciò il testardo di Bersani, testardo fino alla stupidità completa, non lo vuole capire. Si tratterebbe di realizzare solo un cambio di formula e di alleanza, non di contenuti politici, in quanto a dettare le regole sarebbe sempre la Lega. Ed allora il PD, con Bersani o senza, deve dire agli italiani cosa vuole fare e se le sue priorità coincidono con quelle del Paese. Il PD ha come prima ed esclusiva priorità far fuori Berlusconi? Per conseguire questo obiettivo è pronto a sacrificare gli interessi del Paese? Vuole perciò continuare e accentuare e accelerare le scelte imposte da Bossi? Vuole la cuccagna del federalismo alla Bossi e l’ulteriore crescita di nuove caste e sottocaste di boiardi e burocrati? Vuole allargare e accentuare le responsabilità per i disastri causati nel recente passato da D’Alema, Bassanini e Berlinguer? A queste domande e a tante altre il PD e le sue correnti son tenuti a dare risposte precise. D’altro canto, come non vedere gli ulteriori intrinseci limiti del governo Berlusconi, soggiacente ai rigurgiti populistici della Lega (e anni addietro esclusivi della CGIL, come nel caso delle adozioni dei libri di testo nelle scuole), e alle sue sempre rinnovate rincorse demagogiche e secessioniste sino alla sclerotica imbecillità di buttare altri soldi per creare “rappresentanze” dei ministeri nelle regioni (come? Non avete già creato centinaia di direttori generali regionali e di dirigenti e funzionari al seguito?). Dopo le ronde padana a sicurezza dell’ordine pubblico, miseramente fallite, oggi Berlusconi e domani Bersani sono pronti a concedere alla Lega i battaglioni regionali, in apparente ma bestiale similitudine della guardia nazionale degli Stati degli USA (i deputati della Lega hanno presentato un disegno di legge)?
I politici nostrani continuano a giocare sulla pelle degli italiani. A rigore, continua ad essere valida la nostra proposta di realizzare, nella seconda fase di questa legislatura, un governo di coalizione obbligata, diciamo pure come la “grande coalizione” in Germania, che comprenda esclusivamente i due maggiori partiti. Individuare di comune accordo una piattaforma di programma estremamente sintetica, in cui siano presenti le vere impellenze del Paese. Dei ceti sociali e delle categorie dei lavoratori che hanno avuto sinora tutto in perdita, e in cui figuri primariamente un vero colpo di scure alle spese politiche comunque camuffate, in cui si annida non ultima la Rai. Solo così si può uscire dallo stallo apparente che non è altro che caos senza fine, per guidare in condizioni di maggiore stabilità il Paese alle elezioni. Ciò comporterebbe non solo l’estromissione immediata della Lega dal palazzo e dai centri di potere più importanti, quanto anche il sottrarre il nuovo esecutivo di transizione ai molteplici, incrociati e inarrestabili ricatti e veti che verrebbero a nascere ogni giorno con l’imbarcare nel governo tanti altri partiti i cui vertici, quadri e fiancheggiatori risulterebbero non meno famelici di poltrone. Questa è l’unica via più che plausibile, concretamente e spassionatamente realistica. Quella con cui le poche forze che hanno ancora il senso dello Stato all’interno dei due grandi schieramenti potrebbero dimostrare di volere e sapere fare qualcosa insieme, in una situazione generale in piena deriva, oltre ogni distinguo e oltre ogni grande differenza esistente.