Politica. Governance d’innovazione e sviluppo e le metodologie appropriate

 20 Gennaio 2012

Alberto Savastano    

 

 

 

 

Linee guida e Sistema applicativo delle metodologie scientifiche della Progettualità e dello Sviluppo

 PROPOSTA PER LA REALIZZAZIONE DI  “PROGRAMMI DI INNOVAZIONE DELLA GOVERNANCE DELLO SVILUPPO”

 

 

 

 

Marchio collettivo depositato Zagarolo (RM) CAP: 00039 Via Colle Lauri, 3 – Tel./Fax:(+39) 06.9575510–Cell. (+39) 328 7051894 alberto.savastano@libero.it –  La proposta riguarda iniziative programmatico-progettuali diversificate destinate alle Istituzioni e agli Attori dello sviluppo (persone fisiche e giuridiche del settore pubblico e privato) mirate a innovare la cultura in materia di governance dello sviluppo.
Per raggiungere tale obiettivo, si suggerisce la creazione di istituzioni specializzate e profili professionali qualificati nelle Metodologie dell’Economia dello sviluppo attraverso la realizzazione di intense attività di sensibilizzazione, informazione, formazione, assistenza tecnica e affiancamento consulenziale imperniate sui principi cardine di tali Metodologie:
Ø la redditività, ossia il valore aggiunto prodotto dai progetti d’investimento, pubblici e privati, produttivi, infrastrutturali e sociali;
Ø l’accertamento preventivo di tale redditività condotto sull’intero’arco temporale di vita del progetto (la durata di vita del progetto coincide con quella della sua componente fiscalmente più longeva);
Ø la stima del tasso di redditività finanziario e sociale, quale indicatore della validità continuativa del progetto, cioè durante il suo intero arco temporale di vita;
Ø la Programmazione per progetti (selezione dei progetti prioritariamente più redditivi) per la massimizzazione della crescita economica e sociale nonché per la corretta allocazione delle risorse finanziarie pubbliche e private destinate agli investimenti;
Ø il project financing, per le opere pubbliche a carattere economico;
Gli elementi di concreta e oggettiva attualità della Proposta risiedono nei requisiti scientifici e tecnici di tali metodologie il cui impiego consente di poter attuare agevolmente una sana Governance dello Sviluppo, non solo in periodi di ordinaria crescita economica ma anche in periodi patologici, come quello di bassa crescita che affligge da decenni l’Italia e che, attualmente, ha raggiunto livelli preoccupanti anche a causa degli effetti negativi prodotti sull’economia reale dai necessitati provvedimenti messi in atto per fronteggiare la grave crisi dei mercati finanziari che, esplosa nel 2008, si è riversata sul mondo intero.
La bassa crescita è, comunque, il vero tallone d’Achille dello Sviluppo economico e sociale del nostro Paese, e il ricorso all’impiego delle Metodologie dell’Economia dello Sviluppo, fino ad oggi disatteso in Italia, rappresenta il presupposti indispensabile per affrontare la crisi.
Tali Metodologie, infatti, formulate da lungo tempo da Centri di ricerca, Organismi e Organizzazioni finanziarie internazionali, sono, universalmente considerate, come il risultato più avanzato della ricerca economica, espressione del più elevato livello di attendibilità scientifica, le sole in grado di assicurare la razionalizzazione dell’impiego delle risorse finanziarie pubbliche e private destinate agli investimenti.
La contestualità della Proposta rispetto alla situazione economica e finanziaria attuale è ampiamente certificata dalle emergenze che travagliano oggi il nostro Paese
L’emergenza congiunturale, che impone misure dirette a tamponare, nei limiti del possibile, le punte drammatiche dello squilibrio economico e finanziario che la crisi finanziaria del 2008 ha reso evidente in tutta la sua dimensione;
L’emergenza strutturale, che impone l’introduzione di misure dirette a innovare la Governance dello Sviluppo in modo da assicurare la razionalizzazione dell’impiego delle risorse finanziarie pubbliche e private destinate agli investimenti ed evitare gli sprechi.
Tutto il Paese è, infatti, schiacciato da due pressioni oggettivamente complesse e di difficile rimozione:
1- L’enorme debito pubblico accumulato nel tempo.1
La gravità della situazione finanziaria ed economica del Paese, in generale, e delle Regioni e degli Enti locali, in particolare, impone ai rispettivi Governi, Autorità amministrative e, quindi, a tutti gli Attori dello Sviluppo del settore pubblico e privato, di prendere decisioni sagge, tecnicamente appropriate e, soprattutto, urgenti e prioritarie.
L’URGENZA  riguarda gli interventi immediati da porre in essere prevalentemente sul piano finanziario e fiscale (innanzitutto dismissione del patrimonio pubblico inutilizzato, soppressione degli Enti inutili, privatizzazioni in generale e, in particolare, privatizzazione delle municipalizzate ecc.)per contrastare la forte pressione che sul Paese sarà sempre più esercitata dai Fondi speculativi internazionali interessati a partecipare alle aste del debito pubblico (nuove emissioni, scadenze e rinnovi).
LA PRIORITA’  riguarda il rilancio della crescita economica che non va subordinata, nei tempi e nella consistenza, all’“URGENZA”, bensì, seguita in contemporanea, in ragione delle considerazioni che seguono.
Molti Osservatori hanno paragonato l’operato degli Agenti finanziari internazionali a quella degli strozzini, per cui, in base a questa colorita similitudine, si può facilmente affermare che per tali soggetti:
il debito pubblico costituisce l’humus naturale di operatività per lucrare alti interessi;
l’entità del debito e la impossibilità di un suo abbattimento a breve/medio termine non rappresentano un deterrente purché sussistano concrete condizioni che garantiscano le attese lucrative ;
la bassa crescita economica dell’Italia che si protrae da decenni (nella nota a piè di pagina n. 5 abbiamo documentato quella degli ultimi 15 anni), costituisce, purtroppo, una condizione che scoraggia i voraci appetiti degli speculatori finanziari internazionali. La gravità della recessione in fieri, inoltre, rappresenta un’aggravante seria e pericolosa che non solo scoraggia ma rischia di provocare l’abbandono dei mercato finanziario italiano.
All’attuale stato delle arti, appare, dunque, in tutta evidenza, come gli interventi sul debito pubblico rappresentino delle necessarie e obbligate manovre di difesa, anzi di arginamento del minacciato pericolo di fallimento finanziario dell’Italia.6
4 Per quanto riguarda, invece, il rilancio della crescita economica, il recepimento,di innovative misure metodologiche (nuova Governance dello Sviluppo) rappresenta l’unico strumento tecnico-politico valido sul quale le Autorità decisionali centrali e periferiche dello Stato possono concretamente contare per affrontare con successo la crisi e vincere su entrambi i fronti, quello finanziario e quello economico-sociale.
Questo risultato sarà possibile a condizione che si segua una innovativa strategia di governance dello sviluppo, incentrata sui seguenti passaggi:
1. Inizialmente, il ricorso alla “redditività degli investimenti”, alla realizzazione, cioè, di progetti d’investimento di cui sia stata preventivamente accertata la reale capacità di produrre “valore aggiunto”, sarà offerto ai mercati finanziari internazionali come la proverbiale “carota ”: l’incentivo all’interesse lucrativo, condizione favorevole a propiziare la continuità della presenza e dell’attenzione dei Fondi speculativi internazionali al mercato finanziario italiano, condizione estremamente vitali per l’ Italia;
2. successivamente, proseguendo nella strategia della “carota”, le Autorità decisionali centrali e periferiche dello Stato potranno avvantaggiarsi di una nuova e progressiva potenzialità negoziale
rappresentata da risultati concreti di crescita economica ottenibili dall’impiego, sistematico e generalizzato, delle Metodologie dell’ Economia dello Sviluppo.
3. in continuità, spingere contestualmente e con uguale determinazione nelle due direzioni (risanamento finanziario ed incremento della crescita economica e sociale) fino a ridurre sostanzialmente se non ad abbattere le cause che hanno determinato l’elevato debito pubblico e la bassa crescita.
Le iniziative per l’innovazione della Governance dello Sviluppo di cui si propone la realizzazione, vogliono rappresentare, pertanto, lo strumento tecnico e applicativo delle logiche strategiche descritte.
Lo scopo di questa nota, infatti, non è la mera indicazione della necessità di rilanciare la crescita economica e sociale del Paese – argomento quotidianamente evidenziato da tutti gli osservatori, politici ed economici, nazionali, regionali e locali – bensì quello di offrire indicazioni concrete sul “Come rilanciare la crescita” e, nello specifico, di quale cultura e professionalità dotarsi, di quali strumenti tecnici e metodologici avvalersi.
I Programmi di Governance dello Sviluppo, di cui si propone la realizzazione, puntano, infatti, sui concetti del “Valore aggiunto” e della “Redditività” degli investimenti che, come sostiene l’Economia dello Sviluppo, costituiscono il presupposto fondamentale della crescita economica.
ü La crescita economica/o del P.I.L. e/o dello sviluppo socio-economico di uno Stato o di sue frazioni territoriali è uguale alla sommatoria del valore aggiunto prodotto dai progetti d’investimento pubblici e privati, produttivi, infrastrutturali e sociali;
ü La redditività degli investimenti va calcolata:
a. al netto della remunerazione dei fattori produttivi (natura, capitale e lavoro) impiegati per la realizzazione del progetto
b. sull’intero arco temporale di vita dello stesso. 5
 Per queste ragioni, il percorso metodologico suggerito dall’Economia dello Sviluppo disegna un “circolo economico virtuoso” perché il “Valore aggiunto” prodotto è esteso “erga omnes”, ossia della redditività finanziaria e sociale ne beneficiano tutte le categorie sociali classificate dalle Statistiche nazionali: imprese non finanziarie, imprese finanziarie, famiglie e Stato.
Con la rinuncia irrevocabile , nel 1977, alla Programmazione economica, l’Italia ha di fatto abbandonato l’idea di avvalersi di metodologie di razionalizzazione della spesa pubblica e privata in conto capitale e di qualificazione degli investimenti ispirate alle Metodologie dell’Economia dello Sviluppo, di standard tecnico internazionali8, privilegiando:
per i progetti infrastrutturali e sociali, le metodologie “discrezionali” che portano all’approvazione dei progetti sulla base del giudizio soggettivo di coloro che si alternano, di volta in volta, nell’esercizio del potere decisionale;
per i progetti produttivi, le metodologie gestionali (aziendali o aziendo-gestionali) centrate sull’analisi dell“utile netto” aziendale e/o imprenditoriale”
Con la realizzazione dei Programmi di Governance dello Sviluppo , vengono, di fatto, annullati i limiti tecnici delle metodologie tradizionali rappresentati:
nel caso della discrezionalità, dall’assenza assoluta di una valenza scientifica e dalla valenza meramente “soggettiva” delle scelte decisionali operate;
nel caso dell’aziendalismo, dalla valenza scientifica, certamente ineccepibile ma finalisticamente impropria, delle metodologie aziendo-gestionali. I risultati progettuali conseguiti con l’impiego di queste metodologie sono, infatti, e si rivelano espressione di interesse molto circoscritto: attribuzione dei benefici prodotti dal progetto limitata alla sola impresa e/o all’imprenditore.
La differenza tra le Metodologie tradizionali e quelle, suggerite, dall’Economia dello Sviluppo diventa abissale se si considerano le condizioni di sostenibilità del progetto.
Mentre il tasso di redditività è molto affidabile in quanto indicatore strutturale e stabile della validità del progetto per il suo intero arco temporale di vita, l’utile aziendale si rivela volubile in quanto indicatore congiunturale e temporaneo di consecutive fasi annuali di gestione dell’azienda.
Conseguentemente:
Ø l’ impiego delle Metodologie dell’Economia dello Sviluppo dà luogo ad una cosiddetta “Crescita nello sviluppo e/o Realizzazione del Bene comune” , grazie alla distribuzione continuativa nel tempo ed estesa “erga omnes” dei risultati derivanti da una corretta progettualità.
Ø L’impiego delle Metodologie della discrezionalità e/o dell’aziendalismo dà luogo, ad una cosiddetta “Crescita senza sviluppo”, ossia una crescita basata su operazioni prevalentemente speculative perché hanno come conseguenza naturale l’arricchimento dei pochi (gruppi sociali specifici e pre-selezionati, imprese e Imprenditori) a detrimento delle legittime aspettative dei più.
Conclusivamente
L’introduzione delle Metodologie dell’Economia dello Sviluppo, che si intende avviare con i Programmi di Governance dello Sviluppo proposti, si conferma come la soluzione ideale da adottare per rilanciare la crescita economica e sociale del Paese ,in generale, delle Regioni e degli Enti locali, in particolare.
Infatti, l’innovazione, la ricerca e il rinnovamento tecnologico, da tutti invocati per rilanciare la crescita, costituiscono, senz’altro, un prezioso arricchimento del patrimonio industriale e produttivo del Paese ma, se non assoggettati, insieme alle altre componenti progettuali, ad una preventiva analisi di redditività del progetto che ne dimostri inequivocabilmente la redditività, rischierebbero di trasformarsi in uno sterile aumento dei costi se non addirittura in vere e proprie perdite.
Allo stesso destino sarebbero assoggettate le varie proposte invocate in favore della crescita, quali gli incentivi finanziari e i contributi a fondo perduto in favore delle imprese, le liberalizzazioni, l’ampliamento della concorrenza, le privatizzazioni ecc,.se non fossero configurate come concrete misure di accompagnamento di programmi e progetti di sviluppo di cui, però, sia stata accertata preventivamente la redditività.
Una considerazione finale va, d’obbligo, riservata al problema dell’occupazione, vera piaga sociale dell’Italia.
Come ci si può permettere di parlare seriamente di “creazione e/o di tanto auspicata sostenibilità (continuità) dell’occupazione”, oppure, come ci si può permettere di pretendere “contratti di lavoro a durata indeterminata” quando nessuno e, in particolare, nessuna delle Parti sociali, si è mai presa la briga (dal 1947 ad oggi) di accertare preventivamente, con l’impiego delle Metodologie dell’Economia dello Sviluppo, se i progetti d’investimento pubblici e privati, produttivi, infrastrutturali e sociali. sui quali operano le Imprese, siano:
Ø Realisticamente capaci di produrre redditività finanziaria e sociale;
Ø Concretamente capaci di produrla per l’intera loro durata di vita;
Ø Conseguentemente,capaci di garantire, una occupazione concreta e continuativa.
1 Il Debito pubblico dell’ Italia:
Si richiamano qui di seguito gli indicatori significativi del debito pubblico dell’ Italia
Anno di riferimento 2010 (in miliardi di euro) RUBRICHE
Valore
assoluto
%
sul P.I.L.
Parametri di
Mastritch sul P.I:L:
Eccedenza in % su
consentito Mastritch
P.I.L.
1.548
DEBITO PUBBLICO
1.843
119 %
60% pari a 92880
+100%
INDEBITAMENTO
– Avanzo primario
– Interessi/Debito
– TOTALE
-1,1
70,2
71,2
4,6
3%
+1,6
TASSO DI INFLAZIONE
3,10% (in linea UE)
3%
 
 
 
 
 
 
 
PRENDITORI DEL DEBITO : : Circa 50% Italiani e 50% stranieri
CRESCITA ECONOMICA : 0,86% (Valore medio annuo sugli ultimi 15 anni:1996-2010)
PRESSIONE FISCALE : 43,2% sul P-I-L-
2 L’Economia
Pur trattandosi dell’unica e, quindi, preziosa fonte di benefici e di reale di entrate, l’economia del Paese non è stata oggetto delle dovute cure ed attenzioni tecniche e giuridiche coerenti con le risultanze della ricerca scientifica e dei principi dell’Economia dello Sviluppo che il Paese avrebbe potuto e dovuto meritare;
3 La fiscalità
E’ stata privilegiata una politica dalle alte aliquote impositive nella presunzione di massimizzare il gettito fiscale e di assicurare, nel contempo,l’ incasso anche di quel gettito potenzialmente evaso. Tale strategia ha prodotto, però, l’ effetto contrario: il potenziamento dell’ evasione, e la creazione di improduttive quanto dolorose iniquità morali e sociali;
4 L’indebitamento pubblico.
La politica del debito pubblico è stata condotta come leva per favorire un benessere crescente ma illusorio perché, oggettivamente, non prodotto dal Paese e con dissennata lucidità dell’impossibilità del suo rientro che ha reso sempre più vincolante e iniqua la dipendenza dalla speculazione dei mercati finanziari internazionali..
55 La bassa crescita dell’ Italia:
Si richiamano qui di seguito gli indicatori significativi della bassa crescita dell’Italia
Crescita percentuale annua del PIL: 1996 +2,1% 1997 +1,9% 1998 +1,4% 1999 +1,7% 2000 +3,9% 2001 +1,8% 2002 +0,3% 2003 +0,1% 2004 +1,1% 2005 +0,6% 2006 +1,9% 2007 +1,5% 2008 -1,4% 2009 -5,1% (Dato Istat diffuso il 01/03/2010) 2010 +1,3% (Dato Istat diffuso il 01/03/2011:Wikipedia).                                                                                                                                                                                                                                         6 Tra le opinioni e i suggerimenti più autorevoli espressi sulla gravissima situazione economica e finanziaria dell’ Italia spiccano quelli espresse da due dei più illustri Economisti del Paese che, sintetizzati,riportiamo volentieri in questa nota. PAOLO SAVONA Né deflazione né crescita offrono la soluzione. Un fondo comune contro gli eccessi del debito.                                                 Superato il 70%, il rapporto debito pubblico /PIL raggiunge il punto di non ritorno perché il taglio del deficit di bilancio avvenga dal lato della spesa o da quello delle entrate ha effetti deflazionistici e e il costo dell’indebitamento s’innalza creando un circolo vizioso che stiamo toccando con mano. E’ forte la tentazione di passare ad un’altra illusione, dopo quella della sostenibilità, insistendo sul fatto che il riassorbimento degli eccessi del debito pubblico possa avvenire con la crescita. Non vi è alternativa a quella di cedere il patrimonio pubblico,nazionale e locale. ….Se l’UE decidesse di fare le cose serie, invece di trascinare da una crisi all’altra i Paesi più esposti agli attacchi speculativi, mettendo in serie difficoltà l’euro, la soluzione sarebbe di collocare gli eccessi del debito pubblico, il cui rimborso deve essere garantito in una delle forme conosciute e nei tempi accettati dal mercato.(da Il Sole 24 Ore del 17 Agosto 2011). ANDREA MONORCHIO “Tre mosse per dimezzare il debito” C’è un altro modo – ….oltre la Patrimoniale… che come diceva Einaudi per essere efficace deve essere sostanziosa, e oggi una patrimoniale sostanziosa le famiglie italiane non se la possono permettere – per mobilizzare l’enorme patrimonio immobiliare delle famiglie, il cui valore ammonta a oltre 4 mila 800 miliardi, ed è gravato da mutui per circa 350 miliardi: in sostanza per 4 mila 500 miliardi si tratta di un patrimonio libero. La proposta è di chiedere alle famiglie di fare un mutuo con ipoteca sul 10 per cento di quel valore, 450 miliardi euro, che sarebbero impiegati per acquistare titoli pubblici speciali con un rendimento dell’ 1,5 per cento. Lo stato pagherebbe integralmente l’ammortamento di quel mutuo e intanto le famiglie incasserebbero quell’ 1,5 per cento l’anno sui titoli di stato ventennali acquistati».Da dove arriverebbero quei 450 miliardi?«Da un consorzio di banche italiane, che cartolarizzerebbero quei mutui e li darebbero come collaterale alla Banca Centrale Europea e applicherebbero a quei mutui lo stesso tasso, più qualcosa, da loro pagato alla Bce».Quali sarebbero i vantaggi di questa operazione? «La drastica riduzione del costo del debito, che scenderebbe dall’oltre cinque per cento attuale a meno del 3. Due punti e mezzo su 450 miliardi sono oltre 10 miliardi l’anno, da utilizzare insieme all’avanzo primario ad ammortizzare il mutuo.
Con questo sistema in vent’anni e in maniera indolore, si ridurrebbe il debito di 450 miliardi di euro, metà di quello che dobbiamo fare. Nel frattempo almeno per quei 450 miliardi il debito tornerebbe in mani italiane».(intervista di Marco Panara – Repubblica,7novembre2011).                                                                                                                                                                                                                                                                                             7 , La posizione esplicitamente filosovietica di un grande partito come il PCI ( anche se più sul piano puramente politico che su quello della politica economica) rendeva particolarmente ambigua agli occhi degli avversari la parola “pianificazione”. Del maggio 1947 è un episodio emblematico: alcuni esponenti della sinistra (tra cui Foa, Pesenti, Pajetta) all’Assemblea Costituente presentarono un emendamento che così recitava: “lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l’attività economica secondo un piano che dia il massimo rendimento alla collettività”.Sulle parole “dirigere” (poi inutilmente modificata in “orientare”) e “piano” scoppiò un enorme polverone giornalistico in cui si sventolava lo spettro dello stalinismo sovietico: l’avversione della DC fu netta e decisa. L’emendamento fu poi bocciato con l’astensione di pochi isolati democristiani tra cui Fanfani, Dossetti, La Pira. Per anni non si parlò più di programmazione e se sul momento un rifiuto del genere fu giustificato dalla peculiare collocazione politica del PCI, col senno di poi è difficile negare che l’attribuzione di un valore costituzionale al principio della programmazione economica avrebbe contestualmente stabilito un principio di responsabilità del governo rispetto agli obiettivi programmatici. Negli anni successivi lo Stato sarebbe intervenuto ugualmente – e spesso pesantemente – nell’economia del paese, ma in modo del tutto disorganico e disordinato, dunque inefficace e inefficiente. Questa mancanza di responsabilità, cioè di verifica dell’avvenuto raggiungimento di obbiettivi precedentemente stabiliti, è una tara che ha pesato sull’economia italiana sino ai giorni nostri. Constateremo quanto fu difficile governare il “boom” economico senza strumenti adeguati di pianificazione.(Valentino NECCO Ricercatore della Regione Lombardia)
8 Di qui alcuni inquietanti interrogativi che datano fin dagli anni ‘40:
Quante imprese grandi, medie e piccole hanno operato, in tutti questi anni, su progetti redditivi e quante su progetti non redditivi?
Quanti Progetti non redditivi sono stati inutilmente realizzati per mancanza di un doveroso accertamento preventivo della loro redditività?
Quanti progetti non redditivi sono riusciti temporaneamente a sopravvivere grazie agli inutili aiuti di Stato, incentivi, finanziamenti bancari ecc.?
Quanti progetti valutati con le metodologie aziendo-gestionali hanno prodotto utili agli imprenditori ma non hanno contribuito a incrementare il P.I.L.?
Si è trattato, certamente, di politiche scellerate dello Sviluppo – quelle applicate da sempre in Italia – perché le Regole dell’Economia reale o dello Sviluppo che da molto tempo esistono non sono state applicate.(Da “Le regole dell’ Economia reale” di Alberto Savastano).