Storia taroccata e legione camicie nere “Tagliamento”. Dalla Russia alla guerra civile, uno spiraglio di verità

 16 Dicembre 2014

 Fonti:  Agenzia Stampa Italia www.agenziastampaitalia.it/ ,  Istituto di Politica www.istitutodipolitica.it/, archiviostorico.info, La Legione Tagliamento in Russia webmaster@tagliamentoinrussia.org.  segreteria@tagliamentoinrussia.org., Wikipedia,   ControStoria, www.controstoria.it/articoli/legionetagliamento.html , la Domenica di Vicenza.it

Fabio Polese, redazione de “La Legione Tagliamento in Russia”, redazione di archiviostorico.info, compilatori di Wikipedia, AlessandroScandale, Sonia Residori

 L’eufemismo del revisionismo serve a poco.

Quanto e cosa c’è ancora da riscrivere da cima a fondo?

La pubblicazione di questa importante ricerca storica di Stefano Fabei sulle vicende che presenta è rilevante innanzitutto sul piano stesso degli studi storici. Poi, proprio in funzione della sua validità su quello che ha ritrovato e che racconta, è illuminante  perché fa capire quanto sia molto difficile svolgere e concludere ricerche storiche sull’Italia del primo ‘900  e del secondo ‘900  a causa dei vigenti, pesantissimi condizionamenti di un regime che ha imposto in modo generalizzato rimozioni, veli e falsificazioni storiche, per cui più che mai si avverte la discrasia tra la retorica ufficiale e le storielle spesso ancora presenti nei libri e nelle riviste a larga diffusione e in particolare nei manuali scolastici e l’ininterrotta quantità di “novità” che le ricerche storiche e le interpretazioni storiografiche hanno prodotto già da prima di De Felice e poi dagli anni dell’ampia e rivoluzionaria produzione storica di questo emerito studioso fino ai nostri giorni.
La produzione editoriale tuttavia non smette di presentare libri il cui contento risulta ancora legatissimo, anzi assolutamente dipendente dai derelitti e vieti cliché resistenzialisti, ancora inappagati della sterminata mole di produzione  di fantastoria ideologica sino ad oggi realizzata. E’ questo il caso del libro di Sonia Residori?
Anziché cominciare da Fabei, iniziamo e soffermiamoci proprio per questo, in questa breve nota, solo sulla Residori.
<< Perché non ci fu mai giustizia? >> Alla domanda posta dall’intervistatore, Sonia Residori risponde così (il corsivo e sottolineato è nostro) :
«Finita la guerra, nelle aule giudiziarie italiane i procedimenti penali permisero la ricostruzione di quanto era accaduto durante i venti mesi di occupazione tedesca e di guerra civile. Ne uscì la condanna del fascismo e della Rsi, ma i procedimenti giudiziari portavano a galla la colpa collettiva di un regime che nessuno voleva accettare, chiamavano in causa le responsabilità individuali che troppa gente non voleva vedere. D’altra parte non poteva essere diversamente in quanto l’esperienza partigiana, e ancor più quella antifascista, aveva coinvolto solo una minoranza degli italiani, troppo pochi per rappresentare tutto il Paese. In sostanza una società rimasta in gran parte fascista si trovò a dover giudicare se stessa, impresa davvero troppo difficile per una collettività dalla coscienza ancora fragile. L’attività giudiziaria non consentì l’elaborazione del lutto sociale, che attraverso la condanna dei crimini commessi e la punizione dei colpevoli avrebbe avuto la sua catarsi individuale. Ne derivò una lacerazione nel tessuto sociale e un contributo pesante che coltivava odio, risentimento e desiderio di vendetta».
In realtà, Sonia Residori, come abbiamo appena letto,  è in grado di rispondere a se stessa e a porre  – se lo volesse – al banco di prova della veracità storica quanto l’apparato bellico-ideologico comunista – di cui gli istituti “storici” della resistenza (!) rappresentano una delle punte più mistificatorie – ha prodotto con lo snaturamento ab imis del quadro storico operato per fini ideologici. Nella volgata dell’invenzione resistenzialista, si legge sempre che i cattivi fascisti di Salò, per sadico autocompiacimento, si accanivano contro dei cittadini italiani molto per bene che si appellavano partigiani, superando perfino l’esercito “invasore” nell’individuare e catturare questi anonimi e inoffensivi cittadini.
Sarebbe interessante sottoporre tutta la produzione apologetica dei resistenzialisti a una verifica statistico – lessicografica e storica per verificare quante volte hanno scritto che questa gente per bene era costituita da persone armate che con la tecnica del terrorismo, degli agguati, del mordi e fuggi, dell’aggredire alle spalle reparti regolari di soldati e del coinvolgere volutamente, premeditatamente e direttamente come inermi ostaggi nelle rappresaglie di guerra gli abitanti delle terre in cui costoro operavano; che questi partigiani, dunque, non erano soldati e agivano al di fuori dalle convenzioni internazionali di guerra. Erano banditi, nient’altro che banditi. A dir poco. E il nome che scelsero, del tutto appropriato, li ha bollati per sempre.
Non solo. Sarebbe non di meno interessante verificare quante volte hanno scritto, in libri libelli articoli e discorsi celebrativi, che le tecniche terroristiche da loro attuate miravano al coinvolgimento della popolazione non combattente attraverso la dinamica dell’agguato consumato, del non costituirsi giammai i colpevoli partigiani cittadini molto per bene, dell’imporre la susseguente rappresaglia … al fine di coinvolgere psicologicamente le vittime della violenza non assassinate … obbligandole così a piegarsi ai loro fini, nel desiderio di vendetta.
Ci sarebbero tante altre cosa da verificare, che questi storici resistenzialisti e soprattutto comunisti sanno, meglio di noi, essendo insuperabili maestri nell’impiego della strategia indiretta e delle tecniche di manipolazione dell’informazione e della cultura. Una cosa fra le altre sarebbe di particolare importanza verificare: essi combattevano una “guerra di liberazione” a pro degli invasori anglo-americani a cui si era arreso il re in segreto e senza condizioni (il fantasioso “armistizio” di Cassibile) ? Erano davvero obbedienti al re a cui il nuovo governo, dopo quello badogliano, rifiutò il giuramento? Essi combattano una “guerra di liberazione” a pro di una strategia precisa e di assoluta connessione con gli obiettivi perseguiti  dal partito comunista italiano e dall’Unione Sovietica?
Non ritengono questi diuturni, indefessi studiosi della  settantennale fantastoria che sarebbe giunto il momento di convertire le loro ricerche agli obiettivi del prossimo settantennio?  Ossia quelli di documentare le violenze inenarrabili e gli assassinii anche atroci commessi dai partigiani cittadini per bene? Non si tratta solo di “Moranino” e di altre poche e isolate bestie, comprese quelle che “giustiziarono” Mussolini (negli inconfessabili accordi con potenze straniere e nelle vigliacche e bugiarde molteplici versioni fornite nei decenni successivi solo per falsificare persistentemente le conclusioni delle ricerche storiche), o dei sitibondi giustizieri di Schio e del triangolo di San Possidonio e di tutte le costellazioni del martirologio delle vittime, soprattutto quelle civili e minorenni. Quante cose ancora “distratte” nascoste, rimosse, sottaciute? Chi uccise i sette fratelli Govoni, e perché? Come si intuisce, sulle spalle degli istituti storici per la resistenza grava un carico di lavoro immenso. Saranno in grado di iniziarlo, proseguirlo e portarlo a termine? Saranno in grado di denunciare pubblicamente le coordinate ideologiche che hanno mosso sinora i loro studi e il livello di alterazione degli avvenimenti da essi compiuto? Saranno in grado di denunciare pubblicamente come e quanto ciò che essi osano chiamare coscienza civile e coscienza individuale sia stato nient’altro che un mero strumento demagogico in funzione dei loro obiettivi politici, nel tempo diventati anche obiettivi di “rendita politica “?  Saranno in grado di farlo con altruistica dedizione non votata a causa ideologica e con diretta responsabilità di autofinanziamento delle spese occorrenti?   – Domenico Cambareri

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Giuseppina Gherzi, ragazzina seviziata dai partigiani gente per bene, viene condotta alla fucilazione
Da e su: LA “LOTTA” PARTIGIANA Una mezza verità è una menzogna intera di Filippo Giannini (in “L’Europa della Libertà”).
L’autoritratto più immediato della natura più profonda della barbarie terroristico ideologica partigiana, ripreso da un’ancora non scritta crestomazia criminalpartigiana, è condensato nelle parole di Giorgio Bocca (nato, vissuto e morto quale violento fanatico fuorviante e sbavante mistificatore, prima fascista e poi antifascista) e di Benigno Zaccagnini (cattolico democristiano utile idiota per chissà chi). Benissimo fa Filippo Giannini a riprenderle spesso. Esse andrebbero sistematicamente pubblicate quale premessa di ogni scritto riguardante i partigiani, la resistenza, la guerra civile e … gli antifascisti. Risulterebbero di prezioso e insostituibile aiuto per ogni lettore di qualsiasi estrazione politica e culturale al fine di potere inquadrare la linfa e la genesi nascoste di quegli atroci avvenimenti sotto la giusta luce, e capire cosa ebbero davvero a soffrire gli italiani che vivevano soprattutto dispersi tra borghi e piccoli villaggi nelle campagne e sui monti. Queste parole costituiscono tanto un autoritratto quanto un superba e non mistificabile epitaffio sulla reale natura dei crimini partigiani, scritte non da due banditi di poco conto, quanto da uomini che esercitarono l’attività giornalistica e la saggistica politica (uno) e l’attività politica sino ai massimi livelli l’altro, quello che qui, con un atteggiamento psicologico pseudo giustificatorio, potrebbe essere definito l’ utile idiota. – Domenico Cambareri

<< Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. E’ una pedagogia impietosa, una lezione feroce >>. (“Storia dell’Italia partigiana”)

<< L’ostacolo più grande da sormontare per il timore delle rappresaglie contro la popolazione, il pensiero che per un’azione militare compiuta contro un tedesco o un fascista decine d’inermi e di innocenti sarebbero stati giustiziati. Allora non era ancora evidente a tutti che l’unico modo per stroncare il terrorismo (!) dei nazifascisti fosse quello di non dar tregua al nemico, di raddoppiare i colpi (…) >>.

 << La rappresaglia che veniva compiuta era un mezzo per suscitare maggiore spirito di rivolta antinazista e antifascista, e quindi si giustificava >> (Dalla parte dei vinti di Piero Buscaroli).

 E su Marzabotto … cosa accadde realmente? .… nel momento in cui i civili tentarono di fuggire dalla zona, che poi sarebbe diventato il teatro delle stragi, i partigiani della ”Stella Rossa”, lo impe­dirono minacciandoli e rassicurandoli: «Se non vi uccidono loro vi uccidiamo noi se andate via: qui ci siamo noi a difendervi»! …

(ASI) PERUGIA – Finalmente, a tanti anni dalla fine della Seconda guerra mondiale un saggio ( «TAGLIAMENTO» La legione delle Camicie nere in Russia (1941-1943) , Editrice in Edibus, Vicenza 2014, euro 20), ricostruisce, senza nostalgismi e fini apologetici, il contributo offerto alla campagna di Russia (1941-1943), dalla legione, poi gruppo “Tagliamento», ovvero da una unità della milizia fascista, quarta forza armata dello Stato allora aggregata al fianco di esercito, aeronautica e marina.

Il ruolo svolto dalla milizia, soprattutto dalla «Tagliamento», durante la Seconda guerra mondiale è stato finora fino a oggi minimizzato o, addirittura, di proposito ignorato, sia dalla saggistica storico-militare sia da quella che ha studiato il fascismo sotto l’aspetto politico. L’argomento è invece affrontato nel libro dello storico Stefano Fabei con un approccio nuovo e scrupoloso, mirante a   comprendere le ragioni, ideali o di altra natura, per cui combatterono i militi in camicia nera, i quali non furono nella maggior parte dei casi inferiori ai fanti, ai bersaglieri o agli alpini, anzi; l’elevato tributo di sangue versato e le medaglie al valore e le decorazioni lo testimoniano.
Riconoscere tali fatti, spiegarli, indagare le tensioni ideali che ispirarono questi combattenti, non significa fare l’apologia di un regime finito nel 1943, ma comprendere una fase della nostra storia nazionale. Per quanto ci sia stata la volontà di rimuoverlo o dimenticarlo, si tratta di un capitolo che è e rimane, comunque, una parte di quest’ultima e in quanto tale costituisce oggetto di indagine, opportunità e strumento di riflessione.
Il saggio, presentato da Franco Cardini e arricchito da molte fotografie, è stato scritto sulla base di un’ampia documentazione finora inedita e soprattutto del diario storico della «Tagliamento» conservato presso l’archivio del generale Niccolo Nicchiarelli, che della legione fu il primo comandante e del quale Fabei ha pubblicato lo scorso anno la biografia ( Il generale delle Camicie nere , Macchione Editore, Varese, 2013, euro 25). Un capitolo della guerra sul fronte russo avvincente, rivolto agli specialisti e a chiunque sia interessato alla storia del fascismo e della Seconda guerra mondiale.
Fabio Polese – Agenzia Stampa Italia
 
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TAGLIAMENTO». La legione delle Camicie nere in Russia (1941-1943)

di Fabio Polese
tagliamento«Quando scoppia una guerra, la prima vittima è la verità», scriveva nel 1917 l’americano Hiram Johnson, commentando l’entrata degli Stati Uniti nel Primo conflitto mondiale. Giustissimo: certe volte, tuttavia, anche dopo che le armi sono state deposte, la verità continua a essere, per lungo tempo, vittima di occultamenti e reticenze dovute a faziosità. Bugie prefabbricate o bugie involontarie dilagano attraverso i mass media entrando spesso nella Storia. In molti casi non c’è più modo di ristabilire la verità, sia perché, come diceva Goebbels, una bugia ripetuta insistentemente, diventa essa stessa una verità, sia perché solo le bugie inventate dai vinti sono alla fine smascherate. Quelle dei vincitori di solito sopravvivono…
I propagatori di queste menzogne, strumentali o no, sono spesso i politici e alcuni storici, magari perché coinvolti personalmente o condizionati dalla censura, accecati dall’odio di parte o dalla frenesia dello scoop. Certi resoconti, spesso avvincenti o intriganti, incidono sulla memoria collettiva solchi profondi che le successive analisi storiche difficilmente riescono a colmare.
Quando a distanza di anni dagli eventi bellici che l’hanno vista coinvolta, una personalità politica di rilievo rilascia una testimonianza con la quale riconosce certi aspetti positivi del nemico contro il quale ha combattuto, la percezione del nemico stesso cambia e diventa possibile una lettura diversa della storia. È questo il caso delle Camicie nere italiane impegnate tra il 1941 e il 1943 sul fronte russo contro i sovietici. Nel 1961, intervistato dall’onorevole Codacci Pisanelli per la rivista andreottiana Concretezza, Nikita Sergeevič Chruščëv dichiarò: «Tra i soldati italiani contro i quali ho combattuto ammiro soprattutto le Camicie Nere; esse si sono battute eroicamente e mi sono potuto accertare attraverso gli interrogatori che non avevano odio contro il nostro popolo». Ci si potrebbe chiedere se sia stato un revisionista ante litteram il leader sovietico, il quale tra il 1941 e il 1942 ricoprendo la carica di capo del Partito comunista, combatté contro gli uomini della milizia fascista in Ucraina, dove operò la 63ª legione CC.NN. d’assalto «Tagliamento», oggetto oggi di una approfondita indagine da parte di Stefano Fabei, autore di molti saggi storici, il penultimo dei quali è la biografia del generale Niccolo Nicchiarelli che della suddetta unità fu il primo e più importante comandante (Il generale delle Camicie nere, Macchione Editore, Varese, 2013, euro 25).
Corredato da un ampio e in gran parte inedito apparato fotografico, dotato della Presentazione di Franco Cardini, «TAGLIAMENTO» La legione delle Camicie nere in Russia (1941-1943) è il frutto di un’approfondita indagine condotta dallo storico Fabei attingendo alla documentazione depositata presso vari archivi fra cui quello privato del generale Nicchiarelli, l’Archivio centrale dello Stato, quello dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, oltre a quello dell’Associazione reduci della legione.
In questo libro, rivolto agli specialisti e a chiunque sia interessato alla storia del fascismo e della Seconda guerra mondiale, l’autore ricostruisce la storia della legione, originariamente costituita su base territoriale da soldati friulani, ai quali si erano quindi aggiunti emiliani: volontari in gran parte, tra i 30 e i 40 anni, veterani che, dopo aver fatto le loro esperienze belliche in Africa orientale, Spagna, Albania e sul fronte occidentale e che quindi erano almeno dei trentenni, spesso addirittura quarantenni, dal 1941 si ritrovarono sul fronte russo per combattere con coraggio e subendo forti perdite, partecipando a episodi come la battaglia di Natale» del 1941. Vestendo la camicia nera, combatterono con un coraggio e un’abnegazione che guadagnò al loro reparto e al suo originario comandante riconoscimenti e decorazioni. I militi della legione, poi gruppo «Tagliamento», come avrebbe riconosciuto Chruščëv, si distinsero, per tutta la durata di quella crudele campagna, anche per un costante atteggiamento di correttezza e di rispetto nei confronti dei nemici e delle popolazioni civili. I «soldati fascisti», considerati come le SS, e in quanto tale odiati e temuti, s’imposero all’ammirazione dei russi oltre che per il valore, per le doti di umanità. L’autore mette non a caso in evidenza la gelosia di cui questi uomini, dei quali i tedeschi si fidavano molto più di quelli degli altri reparti e che pertanto volevano al loro fianco, furono vittima da parte delle divisioni del Regio esercito cui di volta in volta furono aggregati. Come ha scritto Franco Cardini nella presentazione al volume, sarebbe «un’autentica ingiustizia e un’offesa nei confronti dei probi ricercatori che dedicano alla storia la loro fatica, se questo libro finisse nel limbo delle opere considerate di curiosa erudizione o, peggio, di memorialistica “di parte”». Fabei, servendosi di una documentazione di diversa provenienza e attentamente soppesata, sempre sottoposta al necessario confronto, dopo aver ripercorso le vicissitudini di cui fu protagonista la legione in Russia, ne ripercorre la storia fino al rientro in patria e al crollo del regime, anticipando le vicende di cui altre formazioni, costituite coi pochi reduci dal fronte russo, furono protagoniste durante la RSI, assumendo il prestigioso nome di «Tagliamento».
Un testo prezioso di storia militare, che contribuisce a gettare una luce ulteriore e per molti versi nuova su una pagina importante della Seconda guerra mondiale.
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Redazione de La Legione Tagliamento in Russia

Tagliamento – La Legione delle Camicie nere in Russia (1941-1943), di Stefano Fabei (Edibus comunicazione, Vicenza 2014, pp. 301, € 25)

Abbiamo letto in anteprima questo libro di Fabei che, consultato il Diario storico della Legione, in quattordici capitoli ha potuto e saputo illustrare, in modo puntuale, circostanze e fatti: La partecipazione dell’Italia alla «lotta contro il bolscevismo», Il Corpo di spedizione e l’Armata italiana in Russia, Le unità italiane sul fronte russo (1941-1943), Mobilitazione e addestramento della 63a legione CCNN d’assalto, La «Tagliamento» dall’Italia al fronte russo, Dalla manovra di Petrikovka alla presa di Stalino, La battaglia di Natale, La mancata riconoscenza della patria fascista, Dalla 63ª legione al gruppo CCNN «Tagliamento», Il gruppo CCNN «Tagliamento», La prima battaglia difensiva del Don, L’offensiva russa e la ritirata dell’Asse (Dicembre 1942 – Marzo 1943), I reduci del «Tagliamento» nella divisione corazzata CCNN «M», I legionari di Mussolini traditi dai vertici della milizia.
Meritevole l’elenco – pur incompleto a causa della «distruzione dei documenti esistenti presso i centri di mobilitazione» (soprattutto per gli appartenenti al 63° battaglione AA) – dei 1.045 Caduti e Dispersi in Russia (oltre ai 32 Legionari caduti successivamente), con i nominativi riportati nel “nostro” Dal Dniepr al Don (Loris Lenzi, 1972) e quelli del Prospetto riepilogativo relativo ai Caduti e Dispersi sul fronte russo, del Gruppo CCNN “Tagliamento” fornito da Previmil Difesa e aggiornato al Marzo 2011.
Dalla splendida prefazione del prof. Franco Cardini ricaviamo e sintetizziamo qualche considerazione: «E’ un contributo prezioso di storia militare. In una macrostoria drammatica, che fa da adeguata cornice, Fabei magistralmente inserisce, ricostruendola puntigliosamente, la microstoria delle vicende della “Tagliamento”. Una storia anche amara, fatta di ordinarie reticenze ministeriali, di ordinari cavilli formali e procedurali, di ordinaria “distrazione” delle istituzioni e degli uffici che alla storia documentata delle Forze Armate sarebbero pur burocraticamente preposte: una storia ostentatamente dimenticata, che era giusto oltreché opportuno restituire alla nostra memoria collettiva».
e qualche passaggio: «…erano ormai sul fronte russo da oltre un anno e avevano preso parte, con forti perdite, a episodi come la “battaglia di Natale” del ’41. Combattevano con un coraggio e un’abnegazione che avevano già guadagnato al loro reparto e al suo originario comandante, il console Nicchiarelli, riconoscimenti e decorazioni. Sapevano bene del resto di non potersi mai permettere il lusso di mollare: i sovietici distinguevano anche da lontano le loro camicie nere dalle grigioverdi dei loro commilitoni dell’esercito, e i commissari politici di reparto, i politruk, avevano l’ordine di trattare “i soldati fascisti” alla stregua delle SS germaniche, cioè di fucilarli sul posto se li avessero catturati in combattimento […]. Nonostante ciò, pare che i militi della “Tagliamento” si distinguessero in generale, per tutta la durata di quella crudele campagna, anche per un costante atteggiamento di correttezza e di rispetto nei confronti dei nemici e delle popolazioni civili: il che parrebbe attestato non solo dalle fonti d’archivio italiane che Stefano Fabei ha consultato per redigere lo studio che qui presentiamo […], ma anche dalle testimonianze dell’altra parte: come da una straordinaria intervista rilasciata nel ’61 da un personaggio almeno in ciò insospettabile, Nikita Krushev, in cui si conferma come i “soldati fascisti” fossero gli italiani più temuti e odiati dai sovietici, ma altresì che le Camicie Nere si fossero talora imposte alla loro ammirazione non solo per il valore, ma anche per le doti di umanità. Raccogliendo anche le testimonianze, che appaiono attendibili, di alcuni cappellani militari l’autore del saggio qui presentato, Stefano Fabei, ha potuto sottolineare anche la loro diffusa, profonda, sincera fede religiosa. E tutto ciò – pur tenendo presente che nessuna fonte storica è mai certa e che ogni legge ha le sue eccezioni – significa pur sempre qualcosa. Magari molto. […] Dalla lapide collocata a Padova a cura dell’Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia in ricordo dei 200.000 combattenti italiani caduti in Russia, si evince che il maggior contributo di sangue sia stato versato dalle divisioni degli Alpini; dei reparti della Milizia, nessuna traccia; ad essi non spetta alcuna menzione. E’ così che, secondo i dettami esposti in 1984 di Orwell, si “riscrive” la storia. Anche questa, in fondo, è una forma di “revisionismo”. L’accurata, per certi versi addirittura ostinata, ricerca di Stefano Fabei ricostruisce invece puntigliosamente la storia della “Tagliamento”: […] Siamo dinanzi a un contributo prezioso di storia militare, che contribuisce a gettare una luce ulteriore e per molti versi nuovi su una pagina importante della seconda guerra mondiale.»
Lettura consigliata, anzi… obbligatoria!
P.S. Non rinunciamo a segnalare che, provenendo la maggior parte delle immagini dall’archivio del Gruppo Reduci ed Eredi della Legione Tagliamento e dall’archivio Nicchiarelli, sarebbe stato corretto e opportuno che Autore ed Editore non si fossero dimenticati di segnalarlo. Inoltre, le didascalie di alcune immagini non sono corrette: la seconda fotografia di pag. 149, non di provenienza dagli archivi citati, ritrae i bersaglieri e il loro comandante Aminto Caretto, non il comandante della legione; la prima fotografia di pag. 214 (Labaro decorato rientrato in Italia) è stata scattata a Bologna, non a Udine il 12.4.1943.
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redazione di archiviostorico.info

«Tagliamento». La legione delle camicie nere in Russia
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Stefano Fabei

«Tagliamento» La legione delle camicie nere in Russia (1941-1943)

In edibus Edizioni, pagg.304, € 20,00
  IL LIBRO – Ignorata o sottovalutata dalla storiografia ufficiale, la partecipazione alla campagna di Russia delle Camicie nere della Legione e del Gruppo «Tagliamento» è stata tutt’altro che simbolica, al punto di meritarsi medaglie d’oro e d’argento, sia a livello individuale sia a livello di unità. Non solo: come avrebbe riconosciuto in seguito Nikita Kruscev, le Camicie nere, tanto temute dall’esercito di Stalin, che volle fossero considerate alla stregua delle SS germaniche, combatterono bene e mostrarono oltre a coraggio e abnegazione umanità e correttezza verso il nemico e la popolazione civile. “Il Fabei – scrive Franco Cardini nella Presentazione – ci offre senza alcuna pietà un quadro desolante dello stato dell’armamento degli italiani in Russia, antiquato e inadeguato rispetto non solo a quello dell’alleato germanico, ma ohimè soprattutto a quello del nemico sovietico; e ricostruisce in modo attendibile e ben documentato le ragioni generali che presiedettero alla decisione mussoliniana d’un intervento sul fronte russo ancora una volta tutt’altro che auspicato e incoraggiato da Hitler e dall’OKW.”
  DAL TESTO – “Operando nel quadro della «Pasubio» con altre unità di rinforzo, la «Tagliamento», durante le manovre fra il 1° e il 14 ottobre, aveva avuto 3 morti e 36 feriti e aveva catturato, oltre a notevoli quantità di armi, munizioni e materiali, 373 prigionieri dei quali 166 erano stati avviati alla «Pasubio» e i rimanenti alla 198° divisione di fanteria tedesca. Tra l’8 e il 15 ottobre essa aveva costituito il nucleo più importante della colonna del generale Garelli, suscitando l’ammirazione del comandante della 198° divisione di fanteria tedesca, generale Roettiz, e del generale Kleist. Rifiutando qualsiasi sosta nell’avanzata a est, questi, fin dall’8, aveva ordinato alle sue forze di continuare la marcia nella duplice direttrice di Stalino e di Taganrog sul Mar d’Azov per poi proseguire su Rostov. Insieme al XLIX Gebirgskorps, gli italiani avrebbero dovuto procedere alla conquista di Stalino, compiendo un rapido balzo in avanti di oltre 200 chilometri, per un fronte di 100: compito tutt’altro che facile considerando che, se punto di partenza era uno schieramento lineare di 150 chilometri, le divisioni qui collocate si trovavano scaglionate a diversa profondità ed erano equipaggiate in modo tutt’altro che organico. “L’avanzata su Stalino iniziò il 13: in testa marciavano i reggimenti di «Savoia Cavalleria» e «Lancieri di Novara» oltre al 3° bersaglieri del colonnello Aminto Caretto, tutti appartenenti alla «Celere». La «Tagliamento», operante insieme alla «Pasubio», il 16 ottobre raggiunse Dmitrievka riuscendo a superare i ponti interrotti dai guastatori sovietici, combattendo contro le retroguardie russe, determinate a ostacolare in ogni modo e a qualunque costo l’avanzata nemica, e contro un fango che aveva trasformato la steppa ucraina in un immenso pantano, in cui per avanzare non si poteva fare altro che spingere a mano gli automezzi bloccati nella melma.”
  L’AUTORE – Stefano Fabei (Passignano sul Trasimeno, 1960), insegna a Perugia. Già autore di saggi per «Studi Piacentini» e «Treccani Scuola», collabora a «I sentieri della ricerca», «Eurasia» e «Nuova Storia Contemporanea». Tra le sue opere recenti: “Il fascio, la svastica e la mezzaluna” (2002), tradotto in Francia nel 2005, “Una vita per la Palestina. Storia del Gran Mufti di Gerusalemme” (2003), “Mussolini e la resistenza palestinese” (2005), “I cetnici nella seconda guerra mondiale” (2006), “Carmelo Borg Pisani. Eroe o traditore?” (2007), “La «legione straniera» di Mussolini” (2008), “Operazione Barbarossa. 22 giugno 1941” (2009), “I neri e i rossi. Tentativi di conciliazione tra fascisti e socialisti nella Repubblica di Mussolini” (2011), “Fascismo d’acciaio. Maceo Carloni e il sindacalismo a Terni, 1920-1944” (2013), “Il generale delle Camicie Nere” (2013).
  INDICE DELL’OPERA – Presentazione, di Franco Cardini – Premessa – Capitolo I. La partecipazione dell’Italia alla «lotta contro il bolscevismo» – Capitolo II. Il CSIR e l’ARMIR – Capitolo III. Le unità italiane sul fronte russo (1941-1943) – Capitolo IV. Mobilitazione e addestramento della 63° Legione CC. NN. d’assalto – Capitolo V. La «Tagliamento» dall’Italia al fronte russo – Capitolo VI. Dalla manovra di Petrikovka alla presa di Stalino – Capitolo VII. La battaglia di Natale – Capitolo VIII. La mancata riconoscenza della nazione – Capitolo IX. Dalla 63° legione al gruppo CC. NN. «Tagliamento» – Capitolo X. Il gruppo CC. NN. «Tagliamento» – Capitolo XI. La prima battaglia difensiva del Don – Capitolo XII. L’offensiva russa e la ritirata dell’Asse (dicembre 1942 – marzo 1943)- Capitolo XIII. I reduci del «Tagliamento» nella divisione corazzata CC. NN. «M» – Capitolo XIV. I legionari di Mussolini traditi dai vertici della Milizia – Appendice – Bibliografia – Indice dei nomi
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Legione “Tagliamento”

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1ª Legione d’Assalto “M” “Tagliamento”
Descrizione generale
Attiva
19411945
Nazione
Repubblica Sociale Italiana Repubblica Sociale Italiana
Alleanza
Potenze dell’Asse
Servizio
Guardia Nazionale Repubblicana
Tipo
Polizia Militare
Ruolo
Attività anti-partigiana
Dimensione
1 600 militi
Guarnigione/QG
Udine
Soprannome
“Tagliamento”
Reparti dipendenti
Comandanti
Comandanti degni di nota
1° Seniore (Tenente colonnello) Merico Zuccari[1]
[senza fonte]
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La Legione “Tagliamento” è stata un’unità militare del Regno d’Italia e, successivamente, della Repubblica Sociale Italiana operativa tra il 1941 ed il 1945. Trae origine dal LXIII Battaglione M “Tagliamento” della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN).

Indice

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Storia[modifica | modifica wikitesto]
Esercito Regio[modifica | modifica wikitesto]
La 63a Legione CC.NN.[2] d’Assalto “Tagliamento” fu mobilitata nel febbraio 1941 e avrebbe dovuto essere inquadrata nella Divisione di Fanteria “Pistoia”. Fu successivamente trasformata in Legione autocarrata ed aggregata al C.S.I.R. in formazione. Era composta da 1.191 fra ufficiali e Camicie Nere, da 284 fra ufficiali e soldati del Regio Esercito e da 133 autieri. Fu successivamente promossa sul campo ad unità scelta “Emme” e il labaro decorato di Medaglia d’Oro e di Medaglia d’Argento sul campo.
Tra il 9 ed il 10 agosto 1941 i cinque treni che trasportavano la Legione passarono il confine del Brennero ed il 23 dello stesso mese, in una sola colonna, aveva inizio il suo trasferimento per via ordinaria (a piedi) da Trusesti (Romania) a Perwomajsk, dove il 27 la 63a era messa alle dipendenze della Divisione di Fanteria autotrasportabile «Torino». Il 9 settembre la Legione sostituiva il Reggimento «Lancieri di Novara» nel compito di difendere un tratto della sponda occidentale (destra) del Dnepr, passando alle dipendenze tattiche della 30a Divisione Celere «Principe Amedeo Duca d’Aosta». Successivamente parteciperà a tutte le maggior operazione delle truppe italiane operanti sul fronte russo fra cui la celebre “battaglia di Natale” combattuta fra il 25 e 31 dicembre 1941.
Per dare un’idea dello sforzo fornito dalla legione riportiamo le cifre delle perdite subite dal 9 settembre 1941 al 31 gennaio 1942: 126 caduti (7 ufficiali), 262 feriti spedalizzati (12 ufficiali), 97 feriti curati presso la Legione (9 ufficiali), 379 congelati (11 ufficiali) e 95 dispersi (5 ufficiali). La percentuale delle perdite rapportata alla forza della Legione presente all’atto del passaggio del confine al Brennero, in sei mesi di operazioni era stata del 65 per cento (44 ufficiali e 915 legionari e soldati).
Nel corso dei successivi mesi invernali la Legione «Tagliamento» non ebbe più occasione di essere impegnata in combattimento. Essa rimase in secondo scaglione, dislocata nel settore della 3a Divisione Celere, dipendendo per l’impiego da quel comando. Alla metà d’aprile, l’arrivo della Legione Croata determinò la assegnazione di questo reparto alla 3a Divisione Celere in sostituzione della «Tagliamento», che venne concentrata a Makejewka perché vi si riordinasse. Il problema del ripianamento delle fortissime perdite subite dalla Legione si poneva in quello più vasto dell’ampliamento della forza spedizionaria italiana al fronte orientale. Durante i primi mesi del 1942 era stato deciso che il C.S.I.R., avente costituzione e forze di un corpo d’armata, venisse affiancato da altri due corpi d’armata (II e Alpino) nella costituzione dell’8a Armata. La deliberazione comportò modifiche organiche allo stesso C.S.I.R. non soltanto con la trasformazione della 3a Divisione Celere in unità interamente motorizzata (con l’acquisto del 6º Reggimento Bersaglieri e del 120º Reggimento Artiglieria Motorizzato) e con il passaggio delle unità a cavallo (Reggimenti «Savoia», «Lancieri di Novara» ed «Artiglieria a cavallo») in un omogeneo raggruppamento direttamente dipendente dal comando del Corpo d’Armata, ma pure con provvedimenti che riguardavano le unità di CC.NN. Il C.S.I.R., divenuto XXXV Corpo d’Armata, avrebbe inquadrato, tra le proprie unità suppletive non indivisionate, un Raggruppamento di 6 Battaglioni di CC.NN., ripartiti fra due gruppi di Battaglioni, ciascuno di due Battaglioni di assaltatori e di un Battaglione Armi di Accompagnamento. La Legione «Tagliamento», conservando l’antico nome, si sarebbe trasformata in Gruppo «Tagliamento», costituito sempre dalle stesse unità. Il Gruppo «Montebello» sarebbe poi giunto dall’Italia. L’uno e l’altro avrebbero costituito il Raggruppamento «3 Gennaio». In quello stesso periodo di tempo fu anche avvicendato nel comando della «Tagliamento» il Console Nicchiarelli, sostituito dal Console Domenico Mittica.
Nel 1943 combatte contro l’Armata Rossa sul Dnepr e, a seguito della Ritirata di Russia, sono pochi i reduci che riescono a fare ritorno in Italia. La mattina del 26 agosto il Gruppo «Tagliamento», ridotto ad una forza complessiva di 14 ufficiali e 420 CC.NN., schierato sui costoni a nord-ovest di Gorbatowo, riceveva l’ordine di spostarsi a nord-est della stessa località per presidiare la q. 228, sulla dorsale fra le valli Kriuscha e Zuzkan. Ma la località, contrariamente alle previsioni, risultava essere già occupata dal nemico. Al Gruppo restava comunque affidata la difesa di un fronte di 15 km. e ad essa provvedeva con occupazione nucleare collegata, nei suoi elementi fissi, da pattuglie mobili con armi automatiche. Il 2 settembre tutto il Gruppo «Tagliamento» veniva ritirato dalla linea ed era trasferito in riserva divisionale.
Esercito della R.S.I.[modifica | modifica wikitesto]
Dopo l’Armistizio di Cassibile, prima ancora che fosse costituita la Repubblica sociale italiana, il 63° Battaglione (composto perlopiù da uomini provenienti dall’Italia centrale e dalle regioni del Nord-Est), assieme ad altri reparti, entra a far parte della 2ª Divisione Paracadutisti tedesca e i suoi componenti avevano pronunciato il giuramento militare tedesco. Con la costituzione della Repubblica Sociale Italiana assume la denominazione di 1ª Divisione d’Assalto “M” Tagliamento, inquadrata nell’ambito della Guardia Nazionale Repubblicana in regime di collaborazione con le truppe di occupazione della Germania nazista. Ne assumerà il comando [3] Merìco Zuccàri con il grado di 1° Seniore (tenente colonnello). La Divisione “Tagliamento”, dapprima impiegata sulle montagne appenniniche in operazioni di rastrellamento degli ex prigionieri angloamericani fuggiti dai campi di concentramento, alla fine di novembre viene destinata in provincia di Brescia e il 19 dicembre 1943 nel Vercellese. Qui, fin dai primi giorni, tramite l’affissione di bandi, minaccia la fucilazione di dieci ostaggi per ogni uccisione di militi della RSI o di soldati tedeschi: la minaccia viene attuata la prima volta a Borgosesia il 22 dicembre, a seguito dell’uccisione il giorno precedente di due militi della Legione[4].

Minaccia di fucilare tutto il paese della Legione Tagliamento[5]

La legione rimane nel Vercellese-Biellese fino a tutto il maggio 1944, dopo di che viene spostata sull’Appennino tosco-marchigiano, operando tra la provincia di Arezzo e quella di Pesaro, per coadiuvare lo schieramento tedesco in quel tratto di Linea Gotica. Nella circostanza emergono frizioni con i comandi tedeschi nella conduzione della repressione antipartigiana ed anche con le organizzazioni di lavoro coatto (Todt e Organizzazione Paladino) nella ricerca dei renitenti alla leva repubblichina.
Di lì nel settembre 1944 la Tagliamento si disloca nell’alto Trevigiano, sul confine con l’alto Vicentino, dove verso la fine del mese opera la più feroce repressione antipartigiana in particolare nella zona del Monte Grappa. Quasi 500 sono le vittime di questo massiccio e prolungato rastrellamento, e pressoché altrettanti i catturati poi inviati nei campi di concentramento tedeschi. Contemporanea è l’azione dimostrativa operata a Bassano, dove 31 ribelli o supposti tali vengono impiccati agli alberi dei bastioni nord della città. In ottobre la Legione si sposta fra le province di Bergamo e di Brescia, presidiando per l’intero autunno-inverno le valli Camonica e di Scalve. Nel 1945 si trova a combattere le Battaglie del Mortirolo ed a condurre azioni contro la resistenza vicentina.

Militi del Battaglione Tagliamento

Un milite della Tagliamento nel 1944

Note[modifica | modifica wikitesto]
  1. ^ [1]Fondazione RSI – scheda Merico Zuccari – visto 3 marzo 2009
  2. ^ Camicie Nere
  3. ^ Piero Ambrosio, Una biografia di Zuccàri.
  4. ^ Piero Ambrosio, [2], dal sito dell’Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.:”Infine la minaccia contenuta nel bando: “l’uccisione di un militare della Guardia Nazionale Repubblicana o di ogni altro agente della forza pubblica o di un militare germanico costerà la vita a 10 individui del luogo” fu attuata in seguito all’uccisione avvenuta a Borgosesia il 21 dicembre di (non uno ma) due militi del 63º battaglione”
  5. ^ La minaccia fu tracciata su una serranda in seguito all’eccidio di Borgosesia, ivi consumato il 22 dicembre 1943.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
  • Leonardo Malatesta, La Legione Tagliamento dal 1923 al 1945. La nascita, il suo impiego bellico nella seconda guerra mondiale e la guerra civile, Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur”, Pordenone, 2012;
  • Giuseppe Rocco, L’organizzazione militare della RSI: sul finire della seconda guerra mondiale, Greco&Greco, 1998. ISBN 88-7980-173-2
  • Sonia Residori, Il massacro del Grappa: vittime e carnefici del rastrellamento, 21-27 settembre 1944, Nordest — nuova ser., 71, Ricerche / ISTREVI — 7, Ricerche (Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza-Ettore Gallo) ISBN13 9788883144424
  • Carlo Mazzantini, A cercar la bella morte, Mondadori, 1986 e poi Marsilio, 1995.
Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]
Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
  • [3] Sito dell’associazione dei reduci “Associazione Tagliamento”
  • [4]Legione Tagliamento – visto 3 marzo 2009
  • [5]Storia 900 – La sentenza contro Zuccari e altri ufficiali della legione “Tagliamento” – visto 3 marzo 2009
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ControStoria il sito di riferimento sulla storia della Seconda Guerra Mondiale

Il testo. molto esteso, va letto direttamente dalla fonte
Le Camicie Nere della Legione Tagliamento nella battaglia di Natale del 1941
Fonti e bibliografia..
‘Archivio Documentale’, Ufficio Storico – Stato Maggiore E.I.
‘Nel nostro cimitero di guerra di Mikailovka’, Biasutti Guglielmo.
‘Le operazioni delle unità italiane al fronte Russo (1941-1943)’, Ufficio Storico – Stato Maggiore E.I.
‘Emme Rossa!: le Camicie Nere sul Fronte Russo 1941-1943’, Pierluigi Romeo di Colleredo, Associazione Culturale Italia, 2008
la DOMENICA DI VICENZA.it

Tagliamento: una Legione in armi

In un libro la storia del reparto delle camice nere che dopo il 1943 fu protagonista di azioni di terreno in viarie zone del vicentino

di Alessandro Scandale a.scandale@gmail.com

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Sonia Residori, ricercatrice vicentina dell’Università degli Studi di Verona e dell’Istituto Storico della Resistenza di Vicenza, ha pubblicato da poco per l’editore veronese Cierre il libro Una legione in armi: la Tagliamento tra onore, fedeltà e sangue. Presentato qualche settimana fa al Centro Studi Storici di Montecchio Precalcino, il volume tenta di fare luce su uno dei fatti più controversi della seconda guerra mondiale e che coinvolse direttamente buona parte del Vicentino. La Tagliamento, un reparto rimasto impresso nella memoria collettiva per la ferocia dei metodi usati, si formò subito dopo l’8 settembre 1943 per volere dei Comandi germanici, attorno ad un nucleo di circa duecento Camice Nere che si staccarono dalla Divisione corazzata Centauro alla notizia dell’armistizio italiano e che giurarono fedeltà a Hitler. La Legione mise in atto una dura controguerriglia, alla quale era stata addestrata dai tedeschi, nei territori dove fu inviata durante i venti mesi di occupazione nazista: in Valsesia, a Vercelli; in prossimità della Linea Gotica, nel Pesarese; nell’Alto Vicentino e in Valcamonica, in territorio Bergamasco e Bresciano. Nel ripercorrere il filo degli eventi, il libro ricorda gli episodi più importanti che raccontano come la repressione fosse indirizzata contro i partigiani, ma soprattutto contro la popolazione, tra devastazioni, incendi di case, razzie di bestiame e uccisioni di persone di ogni età.
Tagliamento: una Legione in armi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Pur essendo stata incorporata nella Guardia Nazionale Repubblicana nel dicembre ’43, la Legione operò esclusivamente agli ordini dei tedeschi e fu considerata una delle migliori unità naziste. Come le formazioni tedesche, anche la Legione si dotò di servizio informazioni e di ufficio politico investigativo, che resero pratica corrente l’esercizio della tortura negli interrogatori. Sevizie e crudeltà, comunque, non furono riservate esclusivamente a questi uffici, ma diffusi tra le diverse compagnie e tra molti legionari. La Tagliamento dal Pesarese si sposta in provincia di Vicenza l’8 agosto ’44, partecipando a vari rastrellamenti a Staro, Recoaro, Monte e S. Tomio di Malo, S. Vito di Leguzzano, Monte Magrè, Torrebelvicino, Valli del Pasubio, Tretto di Schio e Posina, Selva di Trissino, Piana di Valdagno e Alta Valle del Chiampo nell’Operazione Timpano, nella Pedemontana e sulle Bregonze, a Granezza nell’Operazione Hannover e sul Massiccio del Grappa con l’Operazione Piave.
Il comando della Tagliamento lascia la zona dell’Alto Vicentino il 29 ottobre 1944 e si trasferisce a Pisogne, una cittadina sul Lago d’Iseo (Brescia), all’imbocco della Val Camonica, operando vasti rastrellamenti. Quando il 29 aprile ’45 il Comando partigiano delle Fiamme Verdi intima alla Tagliamento la resa, il colonnello Merico Zuccari risponde: “Non è possibile accettare nessuna resa e nessun patto, poiché noi tutti soldati d’onore manteniamo fede ad un solo giuramento e non tradiremmo mai l’alleato, con il quale per tre anni abbiamo combattuto fianco a fianco”. Ancora una volta l’unica spiegazione data da Zuccari, il Comandante Ussari, era la stessa di quando offrì i suoi servigi all’esercito tedesco dopo l’8 settembre ’43, la fedeltà all’alleato e alla parola data. Una fedeltà in nome della quale si può rinnegare la propria Patria, perché l’unica Patria che conta è quella delle armi.
Anche dopo aver saputo della resa dei nazifascisti, la Tagliamento si renderà protagonista dell’eccidio di molti partigiani, ma nel dopoguerra tutto questo venne negato. Tutti i legionari dichiararono che nel luogo dove si trovavano non era successo nulla e che, comunque, loro non avevano sparato. C’erano i morti ma non c’erano gli assassini. I procedimenti avviati contro i principali responsabili non ebbero neppure inizio e le punizioni di coloro che furono processati e riconosciuti colpevoli vennero cancellate dalle diverse amnistie. Le vittime, dopo l’ingiustizia dei massacri, subirono l’ulteriore ingiustizia dell’assenza di giustizia, dando vita a gesti violenti dettati dalla rabbia. A Schio, dove fu affossato il processo ai massacratori del Grappa, nella notte tra il 6 e 7 luglio ’45 una decina di ex-partigiani, esasperati dall’ennesimo colpo di spugna della Giustizia Italiana, penetrarono nel carcere e fecero fuoco sui prigionieri fascisti uccidendo 54 persone. Il Tribunale Militare di Milano, nel 1952, giudicò Zuccari in contumacia perché latitante in Sud America: lo ritenne colpevole e lo condannò all’ergastolo. Ma lui tornò dieci anni dopo per l’amnistia, senza aver scontato un solo giorno di carcere.
Residori, chi erano quelli della Tagliamento?
«La legione era un reparto della Repubblica Sociale italiana che si formò subito dopo l’8 settembre 1943. Quella sera stessa, alla notizia dell’armistizio italiano con gli eserciti Alleati, due gruppi distinti di uomini della divisione corazzata Centauro offrirono i propri servizi ai tedeschi. Mussolini era ancora prigioniero e la Rsi non era ancora nata. Il 13 settembre questi uomini costituirono, per espressa richiesta germanica, la prima legione M (solo l’anno successivo si chiamerà Tagliamento) che giurò fedeltà a Hitler e che, come scrive più volte il suo comandante, fu agli ordini esclusivi dei nazisti. Addestrata fin dall’inizio da istruttori tedeschi alla lotta contro i partigiani, ma anche alla repressione più dura della popolazione, la legione lasciò dietro di sé una scia di sangue e dolore nei territori dove venne mandata. Sevizie e crudeltà di ogni tipo: dall’appendere agli alberi uomini, vecchi e ragazzi all’uso di tagliare a zero i capelli a maschi e femmine, agli stupri anche di branco, alle dosi di olio di ricino somministrate ai sospettati che venivano fermati».
Come si spiegano metodi così feroci e disumani? Solo con il pretesto che “eravamo in guerra”?
«Eravamo in guerra non è un pretesto. La guerra è feroce e disumana. Non esiste una guerra umana. Ed è vero però che per alcuni ‘la guerra è bella anche se fa male’, la guerra diventa la ragione stessa di vita, un abito mentale dal quale non si riesce a staccarsi. La legione era composta da un nucleo iniziale di vecchi soldati e di giovani e giovanissimi volontari, ai quali si aggiunsero coloro che rispondevano o erano costretti a rispondere ai bandi di arruolamento della Rsi. I vecchi soldati erano Camicie Nere, ma anche soldati del regio Esercito, reduci dai vari fronti, uomini che avevano provato il legame di fratellanza che si forma tra gli uomini in guerra, uomini che amavano troppo la guerra per tornare a casa l’8 settembre. I giovani, invece, erano coloro che appartenevano alla generazione creatura del regime, esposta precocemente a dosi massicce di retorica e ideologia. A fungere da modello di aggregazione e di mobilitazione sia per i vecchi che i giovani, più che gli eroi del Risorgimento nazionale ai quali spesso i legionari fanno riferimento, furono gli Arditi squadristi del primo fascismo dei quali si consideravano gli eredi e dai quali ripresero l’aggressività che sfociava in violenza di guerra, ma anche politica».
Perché l’ostinazione a uccidere anche a guerra finita?
«Il 29 aprile 1945 il corpo di Mussolini giustiziato dai partigiani era stato appeso a piazzale Loreto eppure all’intimazione di resa offertagli dal comando delle Fiamme Verdi, il comandante della Tagliamento rispose che non era possibile accettare nessuna resa e nessun patto. Ancora una volta, l’unica spiegazione data da Zuccari era la stessa di quando offrì i suoi servigi all’esercito tedesco dopo l’8 settembre 1943, la fedeltà all’alleato, alla parola data, in definitiva, al compagno d’armi. Una fedeltà in nome della quale si può anche rinnegare la propria Patria, perché l’unica Patria che conta è quella delle armi».
Tagliamento: una Legione in armi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Chi era il colonnello Merico Zuccari e perché si parla di Comandante Ussari?
«Il colonnello Zuccari è il comandante Ussari, il personaggio romanzato, ma non troppo, che compare nel bellissimo romanzo di Carlo Mazzantini A cercar la bella morte. Zuccari era un soldato nato, aveva sempre amato la vita militare e fin da giovane ne percorse la carriera. I testimoni parlano di lui come di un uomo assolutamente privo di pietà nei confronti delle vittime, un uomo che odiava il genere umano, anzi gli faceva schifo. Aveva una grande passione per gli incendi e amava bastonare la gente».
Entriamo in territorio locale e parliamo delle azioni in ambito vicentino.
«Nelle autobiografie degli ex legionari – tra cui anche il noto attore Giorgio Albertazzi – su quanto accaduto nel territorio vicentino è calato il silenzio, un silenzio che si è trasformato in amnesia, con la cancellazione di luoghi e vittime. La Tagliamento lasciò dalle nostre parti terrore e sgomento: dal rastrellamento della Piana di Valdagno all’operazione Timpano fino al massacro del Grappa, il reparto affiancò le truppe tedesche in modo attivo e solerte. È la prima compagnia che distrugge contrà Battistini dove furono passati per le armi undici partigiani e quattro civili, mentre venivano date alle fiamme le case e le stalle con dentro gli animali. Ed è sempre lo stesso reparto che aiuta il vicebrigadiere delle SS, Karl Franz Tausch, ad impiccare i 31 giovani a Bassano del Grappa mentre altri legionari dentro la caserma Reatto si alternavano ai tedeschi nelle fucilazioni. Nella zona di Schio gli stupri delle ragazze furono così frequenti da causare lo sciopero di un migliaio di operaie e operai mentre il Vescovo di Vicenza Zinato, nella lettera all’ammiraglio Sparzani, denunciava gli stupri e la pratica di appendere agli alberi anche uomini anziani».
Perché non ci fu mai giustizia?
«Finita la guerra, nelle aule giudiziarie italiane i procedimenti penali permisero la ricostruzione di quanto era accaduto durante i venti mesi di occupazione tedesca e di guerra civile. Ne uscì la condanna del fascismo e della Rsi, ma i procedimenti giudiziari portavano a galla la colpa collettiva di un regime che nessuno voleva accettare, chiamavano in causa le responsabilità individuali che troppa gente non voleva vedere. D’altra parte non poteva essere diversamente in quanto l’esperienza partigiana, e ancor più quella antifascista, aveva coinvolto solo una minoranza degli italiani, troppo pochi per rappresentare tutto il Paese. In sostanza una società rimasta in gran parte fascista si trovò a dover giudicare se stessa, impresa davvero troppo difficile per una collettività dalla coscienza ancora fragile. L’attività giudiziaria non consentì l’elaborazione del lutto sociale, che attraverso la condanna dei crimini commessi e la punizione dei colpevoli avrebbe avuto la sua catarsi individuale. Ne derivò una lacerazione nel tessuto sociale e un contributo pesante che coltivava odio, risentimento e desiderio di vendetta».
Sonia Residori, storica e laureata in lettere all’Università di Venezia, è membro del Direttivo dell’Istrevi (Istituto Storico della Resistenza di Vicenza) Ettore Gallo. Si è occupata di storia sociale, di demografia storica e di storia della criminalità. Da alcuni anni si occupa di storia delle donne e di temi legati alle vicende della Seconda Guerra mondiale. Tra le sue pubblicazioni principali: Donne in guerra. La quotidianità femminile nel Polesine del secondo conflitto mondiale; E all’alba venne il gelo. La deportazione di quattro fratelli nei lager nazisti; Il massacro del Grappa. Vittime e carnefici del rastrellamento (21-27 settembre 1944); Il Guerriero giusto e l’Anima bella. L’identità femminile nella Resistenza Vicentina (1943-45); Il coraggio dell’altruismo. Spettatori e atrocità collettive nel Vicentino 1943-1945.