Lavoro e sicurezza: tra norme avanzate e cruda realtà

08 Dicembre 2012

Giuseppe Turrisi

 

Come realizzare nei luoghi di lavoro la sicurezza?

C’è una convinzione dura da scardinare, che è quella che il lavoro sia una cosa e la sicurezza sia un’altra cosa. – Il “cappello di protezione”, l’esposizione e  la protezione dai rischi,  la (inesistente) prevenzione.

 

Lo stesso dicasi per l’intera vita, del resto il lavoro è parte del tempo della vita. Non esiste il lavoro da una parte e la sicurezza dall’altro, non esiste “quello” che si occupa della sicurezza. Esiste il lavoro sicuro esiste la vita sicura ed esiste che tutti ci occupiamo di sicurezza. La sicurezza è prima di tutto cultura, è conoscenza. La famosa frase che si dice: “non lo voglio neanche sapere” è il riflesso giusto che la mente esercita verso un fatto che potrebbe cambiare la vita. L’uomo è un animale con l’uso della parola che reagisce alle azioni ma sopratutto alla conoscenza. La parola è azione, cosi come la conoscenza è comportamento. L’epistemofobia della sicurezza diventa enorme poiché dietro c’è proprio nascosto il meccanismo della responsabilità e sopratutto la inesorabile spinta al cambiamento. La sicurezza è sistema, ciò significa che concorrono necessariamente più fattori al successo e all’ottenimento della stessa. La sicurezza si fa insieme, non la fanno solo gli addetti. L’incarico di “concorrere” alla sicurezza non è solo degli addetti ma di tutti. Gli addetti hanno semplicemente delle mansioni particolari e specialistiche rispetto agli altri, ma la responsabilità è di tutti. Per ottenere il “sistema sicurezza” quindi significa interferire, e spesso pesantemente, con l’organizzazione che produce processi, e sopratutto comportamenti. La sicurezza come è noto poggia su diversi basamenti che poggiano uno sull’altro e se questi basamenti non sono fatti bene e nell’ordine giusto alla fine non producono effetti.
 [secondo uno schema piramidale: al vertice c’è il controllo, seguito via via a scendere da: gestione, protezione, prevenzione.]
Dobbiamo immaginare la sicurezza come un “capello di protezione” che se manca di alcune parti non produce gli effetti desiderati. La sicurezza è quella scienza che analizza tutti i rischi per eliminarli, ridurli e se non si riesce a ridurli si adopera a creare delle “misure ” atte a confinare il rischio con il principio della riduzione dell’esposizione Tutto questo si fa con l’analisi del rischio in tutte le sue forme. La prevenzione è il primo basamento che deve essere fatto e su cui è necessario investire impegno e risorse affinché poi la sicurezza nel suo insieme abbia effetto. La sicurezza non è improvvisazione, cosi come non è un semplice adempimento e tanto meno una esplorazione, ma al contrario è progetto. La sicurezza va progettata e va progettata seriamente. C’è però un problema che cozza con la pigrizia umana, ossia il fatto che la sicurezza non è un “progetto statico”, ma un “progetto dinamico” che si adegua all’organizzazione nel tempo. Se l’organizzazione cambia nel tempo deve cambiare anche il progetto della sicurezza, ecco perché tutti sono incaricati della sicurezza e sopratutto non c’è distinzione tra lavoro (vita) e sicurezza ma solo lavoro sicuro. Il secondo basamento è la protezione che deve essere predisposta in fase di prevenzione, sia di carattere “attivo” che di carattere “passivo” o entrambe certamente fanno parte dell’architettura di misure pensate ed “organizzate” per rispondere al “rischio residuo” che come sappiamo per quanto si possa ridurre non può essere mai uguale a zero. L’architettura della sicurezza è una rete dinamica di protezioni, persone, procedure, controlli, manutenzioni, informazione, formazione, addestramento, esercitazioni, impianti, strutture, illuminazione, cartellonistica sistemi di estinzioni, ecc Tutte queste cose insieme sono il sistema che compone la sicurezza, se anche un solo anello non funziona la catena non può più esercitare la sua funzione. Il gradino superiore è la gestione, non basta avere un sistema, occorre che questo sistema si gestito da persone con incarichi e formazione speciale al fine di “mantenerlo” efficiente, ma la gestione è comunque una responsabilità trasversale che impegna tutti, per fare un esempio se si vede un estintore scarico o una via d’esodo ostruita non è solo l’addetto che se ne deve accorgere perché ha una formazione specifica ma anche la “persona normale” con una sufficiente sensibilizzazione che deve segnalarlo se ha ricevuto una formazione base. La sicurezza non ammette riparazioni ma solo interventi predittivi, ossia se la mia macchina della sicurezza è rotta io non posso permettermi di accorgermene nel momento che mi serve, ma la devo costantemente e periodicamente controllare perché nel momento che mi serve sia nella massima efficienza. La gestione quindi prevede la rivisitazione dello stesso progetto della sicurezza (dinamico), della analisi, di tutte le protezione, dei protocolli ed una verifica periodica da registrare con cadenze programmate. Tutto questo potrebbe anche diventare una “routine” (l’uomo facilmente cade nell’abitudinarietà) ed è per questo che serve anche un controllo che verifichi periodicamente ma anche sporadicamente tutta l’architettura della sicurezza. Tutto questo prevede un impegno intellettuale non indifferente da parte di tutti, che se fatto seriamente produce cambiamento, produce sicurezza. Poiché spesso si ha paura di cambiare spesso si ha paura pure di conoscere, perché la conoscenza vera produce sempre cambiamento. Se si è compreso che la sicurezza è sistema e che tutti siamo il sistema si comprende per banale sillogismo che tutti siamo incaricati in prima persona al cambiamento verso una vita e un lavoro sicuro. L’alibi di non volersi occupare della sicurezza perché non ci si capisce niente o perché c’è la paura della responsabilità non può reggere più specialmente oggi che la tecnologia ci ha tolto molti “rischi”, certamente mettendocene altri, ma la sicurezza come già detto si deve adeguare al processo storico. In un contesto in cui c’è una interattività e sopratutto una interdipendenza tra organizzazioni, anche la sicurezza diventa sempre più complessa e certamente questo aumenta l’epistemofobia della sicurezza, ma del resto non si può fermare il mondo. Il problema serio è che oggi le interferenze economiche producono un massacro della sicurezza poiché si è anteposto il profitto a tutto il resto. C’è poi l’assurdo ideale della competizione quando invece dovrebbe esserci solo la cooperazione. Si confonde spesso la competizione con competenza, la competizione brucia il tempo mentre la competenza vuole tempo. Per quanto si sforzino certe linee di pensiero, la qualità non ha niente a che vedere con la frenesia della produzione e tutto questo a scapito della sicurezza. Oggi la sicurezza è un dettaglio nel grande trituratore della economia che fa chiudere migliaia di imprese. La sicurezza nel lavoro è ormai superata nel avere un posto di lavoro sicuro per vivere degnamente. Se si volesse veramente applicare alla lettera il testo 81/08 dovrebbero chiudere l’80% delle imprese compreso moltissime amministrazioni pubbliche. Se il benessere del lavoratore va oltre la mera sicurezza aziendale. Con una mortalità delle imprese cosi alta e sopratutto con la vita media delle imprese ridotta a pochi anni far partire la sicurezza con progetto dinamico che evolve nelle piccole e medie imprese è una grossa presa in giro, ammesso che la facciano partire, ora che va a regime l’impresa quando parete la sicurezza (se parte) l’impresa ha già chiuso. Per questo, sopratutto con questo tipo di mercato folle del neoliberismo dove mancano sempre i soldi (e nessuno si chiede perché e gli imbecilli continuano a dire che se li sono mangiati i politici) la sicurezza non più essere delegata e scaricata completamente sull’azienda e sull’imprenditore che in testa ha solo di sopravvivere il più possibile. Del resto la stessa costituzione all’articolo all’articolo 35 dichiara che, soggetto “la repubblica” oltre a tutelare il lavoro in tutte le sue forme, “cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, non credo ci siano dubbi di interpretazione su questo. Oggi, avendo adottato il neoliberismo e la moneta debito dell’euro, si sta avviando una metodica e scientifica distruzione dello Stato, e la formazione dei lavoratori è lasciata alle più ampie interpretazioni con l’inserimento di una quantità di organi (molti perfettamente inutili) che mettono bocca su un argomento cosi delicato e portante per la salute e la sicurezza dei cittadini. Tutto è lasciato in mano al mercato assassino che distrugge ogni ideologia che abbia come interesse l’uomo. L’impresa deve comportarsi come una belva in mezzo ad una giungla ed è costretta a mutare la sua forma (anche giuridica spesso) per rispondere al mercato a cui lo stato (con diversi governi di diversi colori) ha aperto la porta principale. L’impresa che dovrebbe avere una natura tendenzialmente sociale diventa una macchina organizzativa che tritura tutto ciò che c’è nella sua organizzazione per rispondere ad una sola legge il PIL e tritura talmente tutto da mandare al suicidio anche lo stesso imprenditore. Tornado alla sicurezza si evince che l’impresa non ha un potere decisionale indipendente nell’attuare la propria organizzazione, ma dipende fortemente dai flussi di cassa, dal fatturato, dalle banche che chiedono i rientri forzati, le commissioni sul massimo scoperto, ed interessi che spesso sono di usura. Ogni impresa è una organizzazione all’interno di organizzazione più grossa, fino ad arrivare al sistema industriale nazione, e il sistema economico europa, se questo sistema è malato nella gestione, nella direzione, nella progettualità, negli obbiettivi, nella politica monetaria, diventa veramente difficile poi parlare seriamente di sicurezza, quando poi l’unica cosa che serve è la sicurezza di un lavoro per i milioni di disoccupati, più tosto che un lavoro in sicurezza. La famosa ricorsa al PIL che gli stessi stati sono obbligati a rincorrere a causa della moneta debito e del neoliberismo sfrenato, produce danni enormi proprio nelle imprese che non potendo fare margine in un sistema economico viziato che produce fallimenti in maniera matematica, all’inizio è indotto a corrompere e fare il furbo, poi va a toccare inevitabilmente la propria organizzazione “stressandola” cominciando a tagliare chiudere, aumentati i ritmi, fin quando i più deboli falliscono. In questa situazione parlare di sicurezza che fa tagli anche alla scuola che dovrebbe essere portatrice sana di sicurezza e conoscenza della sicurezza sembra quasi di raccontare delle favole. Sono anni che si dice che nelle scuole dell’obbligo per esempio, si facciano corsi di primo soccorso e antincendio, ma i governi pensano più a rispettare i mercati che la sicurezza e salute del proprio popolo. La sicurezza in uno stato civile (non certo quello snello che vuole il neoliberismo) deve essere a corico dello stato cosi come la sanità. Quando l’imprenditore è obbligato a valutare tutti i rischi, e quelli più furbi valutano il rischio fallimento in un sistema debito come quello italiano nel contesto dell’euro-zona e quindi decidono di andare via dall’Italia a non hanno tutti i torti. L’europa infatti è bicefala ha un parlamento che impone direttive e regole di sicurezza sempre più restrittive ma l’altra testa (commissione) governata dalla finanza internazionale che non si parla con la prima testa impone le regole del libero mercato che ha un nemico che si chiama proprio sicurezza che vuol il benessere per il cittadino europeo. Se poi c’è paura della sicurezza una ragione forse c’è.